Erro dunque sono?

21 Ottobre 2023

Si compie errore nel momento in cui si agisce. La progressiva evidenza del primato dell’azione e del movimento nel processo intersoggettivo di individuazione mostra che le basi della nostra autoconsapevolezza corporea sono motorie. Una volta riconosciuto il primato dell’azione nel conoscersi e nel conoscere [Ago ergo sum, ha sostenuto recentemente Vittorio Gallese], ci raggiunge come una doccia gelata la considerazione di Bachelard che ritiene l’errore l’elemento motore della conoscenza. Ancora più provocatorio e per certi aspetti ardimentoso è il percorso intrapreso da Joselita Ciaravino che nel suo libro Una storia tutta sbagliata. Errori e fallimenti nell’arte [postmedia•books, 2023], si domanda quale sia il senso dell’interrogare l’esperienza dell’errore nel campo dell’arte. «Parlare di errore in relazione all’arte sembra un paradosso: l’arte da un certo punto di vista non conosce regole, è il territorio delle rivoluzioni, della libertà e della trasformazione, è il territorio dell’immaginazione e della fantasia» [p. 10].

L’interrogazione che l’autrice si propone, dopo averne indicato la dimensione paradossale, alla fine della lettura del libro lascia aperti più interrogativi di quanti ne risolva. Non tanto sull’excursus nel campo della storia dell’arte che è interessante ma non è lo scopo del libro, ma proprio riguardo alla categoria interpretativa prescelta per analizzare l’esperienza creativa ed artistica. Posto l’errore come criterio per interpretare l’arte e le sue espressioni, Ciaravino compie uno sforzo dimostrativo per sostenere la scelta fatta, che rischia di divenire un tentativo di dimostrazione di una tesi preconcetta. Il punto critico principale sta nel fatto che studiando il testo non si riesca a liberarsi dalla sensazione di un’insistenza nel fare un uso troppo estensivo della categoria interpretativa dell’errore, fino a far rientrare e forzare in quella categoria una tale varietà di fattori che riguardano l’arte, la creatività e l’esperienza estetica che la categoria mostra di non riuscire a contenere. Ad essere assimilate o associate all’errore sono fenomeni come la creatività, l’erranza, il fallimento, il deviare da un canone, il processo trasformativo, la creazione di una nuova cornice estetica, le impreviste costruzioni di senso, la stessa immaginazione dell’inedito, il conflitto estetico e molte altre. È probabile che questa impostazione generale del contributo dell’autrice nasca da una eccessiva analogia con il ruolo dell’errore nella ricerca scientifica e nell’apprendimento e nella conoscenza. Del resto, l’intento educativo più volte ribadito, dell’educazione artistica come via per ampliare gli orientamenti e le prospettive degli studenti e delle studentesse, è una delle chiavi del libro. La stessa autrice definisce l’errore un vero campo minato che «si apre ad un orizzonte immenso, senza centro, un orizzonte non circoscritto che spazia dall’imprecisione all’approssimazione, dal fallimento alla caduta, dal perdersi al deviare, dal pentirsi al correggere al ripensare, al trasformare cambiare abbandonare, in un proliferare di declinazioni che fanno una sola cosa: moltiplicano la via, moltiplicano le strade percorribili, incrinano la perfezione». Tenendo a bada questa problematica struttura a tesi che indebolisce il costrutto di errore nello svolgere una possibile e proficua funzione di ipotesi di ricerca, il libro di Ciaravino assume le caratteristiche interessanti di un attraversamento dell’arte, in particolare contemporanea, e del ruolo che la discontinuità svolge nel processo creativo e nell’esperienza estetica. Le tipologie di errori che si possono incrociare nello specifico dell’arte, secondo l’autrice, sono almeno tre e ad esse sono dedicate le tre parti del libro, dopo l’introduzione. Il percorso tematico è guidato da un proposito di una certa ambizione: «osservare e studiare esperienze e figure dell’arte attraverso la prospettiva di una sorta di estetica dell’errore».

La prima tipologia di errori nell’arte, secondo l’autrice, riguarda “errori in primo luogo che non sono tali ma che come tali vengono percepiti, perché si tratta di azioni con cui ci si vuole allontanare da una qualche tradizione, norma, canone, schema, modello. Scelte che sono solo la ricerca di libertà, di nuove e audaci modalità di espressione che si propongono dunque come trasgressioni”. Così l’autrice. Appare evidente che si sta parlando dei processi di discontinuità e di breack-down creativi che sono detti abbastanza bene dalla definizione precedente, ma proprio per questo difficilmente possono essere considerati errori se sono scelte. Essendo l’errore caratterizzato soprattutto e prima di tutto dalla non intenzionalità. Il rischio principale è quello di ridurre la creatività a un’istanza riparatoria, mentre essa è una manifestazione propositiva della tensione generativa delle forme vitali umane. La seconda tipologia, secondo Ciaravino, riguarderebbe gli errori che sono perdite, come la perdita del capo di una scultura o del braccio di un’altra, a causa dell’usura del tempo o delle azioni dell’uomo. Come la stessa autrice riconosce “allora non si tratta propriamente di errore ma di una frattura, di una rottura del disegno preesistente che si traduce in una rovina, in imperfezione. Né la precarietà, né la manchevolezza, e tantomeno l’incertezza, pur evocate, sono associabili o riducibili all’errore. La terza tipologia di errori nell’arte, sempre secondo l’autrice, va dai falsi, ai pentimenti, alle défaillances della progettazione e della tecnica, “tutte quelle forme di deviazione rispetto alla via maestra di un qualche progetto”. 

Laddove emerge con maggiore evidenza la difficoltà di ingabbiare nel concetto di errore l’esperienza creativa e artistica, è quando la categoria di errore viene applicata alla biografia e al percorso di alcuni artisti come Van Gogh e Giacometti, per fare solo due esempi affrontati nel libro. La frase di Vincent Van Gogh, contenuta in una lettera al fratello Theo, riportata: “È meglio essere audaci e fare più errori che non troppo prudenti e di mente ristretta”, pare proprio un anelito di libertà creativa oltre i canoni dominanti, dove la parola “errori”, a ben ascoltare, richiama il rischio dell’audacia generativa, ma la tensione è verso la creazione dell’inedito. Per cui sostenere che quella di Van Gogh “si configura come biografia dell’errore” (sic!) diviene un’affermazione che induce a domandarsi rispetto a quale normalità sarebbe sbagliata una vita come quella, che pur nella sofferenza, nell’ossessione e nell’inquietudine fino al gesto estremo ha prodotto quello che ha prodotto. Se l’ottocento e il novecento in arte sono stati uno scandalo dietro l’altro, creando opere che non si attenevano al gusto, alla morale e ai modi della società, in che senso quegli scandali sono errori? Sono stati piuttosto una rottura della semiosi, o un’esplosione culturale, come la definirebbe in uno dei suoi più importanti contributi il grande Jurij Lotman [La cultura e l’esplosione, Mimesis, Milano 2022].

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Il disprezzo del senso comune, la provocazione, l’audacia e la rivoluzione che caratterizzano spesso l’evoluzione della creatività e del gusto in arte, generando una collocazione o ricollocazione in una nuova cornice l’intero significato del processo estetico, difficilmente possono essere ricondotti all’orizzonte semantico dell’errore. Anche quando, come accade nelle avanguardie, opportunamente considerate con ampiezza da Ciaravino, l’errore diventa appetibile, qualcosa da cercare per la trasformazione del senso, in quanto in quei casi è lo stesso errore l’oggetto del gesto creativo a partire da un progetto e da un’invenzione che assumono dimensioni estetico-esistenziali. 

Il fallimento e lo scacco a cui l’autrice associa la ricerca di Alberto Giacometti, costituiscono un’ulteriore opportunità per approfondire i temi affrontati nel libro. In molte testimonianze scritte e interviste, ma soprattutto in un noto e famoso video, Giacometti, mentre lavora la creta con le mani continua a fare e a distruggere una testa affermando con concitazione e rabbia che quella non è la testa che voleva scolpire. Non è possibile però confondere l’insoddisfazione e la mancanza, che sono alvei cruciali della creatività, con l’errore. Così come non ha davvero senso domandarsi se “Possono dei corpi così distanti dalla nostra esperienza essere belli?” riferendosi all’Uomo che cammina di Giacometti. Se la bellezza non è ridotta alla forma esteriore o alla cosmesi, possiamo considerarla come un’esperienza che emerge da una risonanza particolarmente riuscita tra noi e gli altri e tra noi e il mondo, tale da estendere la nostra sensibilità e la nostra capacità di sentire noi stessi in modi che senza quella esperienza non si verificherebbero. Allora la bellezza, l’attrazione magnetica e incontenibile di un’opera di Giacometti ridefinisce il canone della bellezza ed è l’esito della sua ossessiva ricerca generativa, nonché della spinta che egli trae dai vissuti di fallimento.

È forse proprio un approfondimento del costrutto di fallimento che può aiutare a distinguerlo dall’errore e ad emergere da una sorta di mistica dell’errore nell’arte e nella creazione artistica. Il fallimento è riconducibile all’impossibilità e incapacità di raggiungere gli scopi fissati, rinunciando definitivamente alla lotta, all’azione. Dobbiamo prendere sul serio il fallimento, sostiene nel suo libro Costica Bradatan [Elogio del fallimento, Il Saggiatore, Milano 2023]. Basta con il culto del successo, con le storie di persone che ce l’hanno fatta, con l’idea che siamo tutti destinati a grandi cose. «Pare non ci sia niente di peggio al mondo che fallire – la malattia, la sfortuna, persino la nostra stupidità congenita sono nulla al confronto. Eppure, il fallimento merita di più», sostiene l’autore.  Il testo è un’approfondita esplorazione della fallibilità umana. «Siamo, a tutti gli effetti, quasi niente.» Ciò che facciamo nella vita – che ne siamo consapevoli o meno – è un tentativo di affrontare il malessere che nasce quando comprendiamo la nostra condizione di prossimità al nulla. Non possiamo far finta di non sapere che quel lampo di luce che è la nostra vita esiste tra due istanti di tenebra e che ciò che ha avuto inizio è destinato a una fine. Bradatan analizza i diversi ambiti del fallimento: fisico, politico, sociale e biologico. Nel corso della storia vari pensatori si sono allontanati dalla spinta ossessiva verso il successo mondano per fare i conti con il fallimento, ed è proprio da loro che il filosofo inizia il suo elogio. Simone Weil mal tollerava le storie felici e si sentiva sempre «fuori posto». Il Mahatma Gandhi ricordava sempre a sé stesso: «Posso imparare solo quando inciampo e cado e sento il dolore». Emil Cioran considerava l’inazione l’unica risposta logica a un’esistenza priva di senso.

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Se l’errore è allontanarsi dalla verità, dal giusto o dalla regola, e in senso morale può essere colpa, peccato, o nelle scienze sperimentali può essere considerato come differenza fra il valore effettivo e quello rilevato dagli strumenti di misura, o ancora nel diritto si configura come mancata o imprecisa conoscenza di un fatto o di una disposizione di legge, Ciaravino ha forse voluto associare l’arte all’errore, intendendo richiamare il vagare lontano dal vero con la mente, con la fantasia, con lo smarrimento, con l’illusione. La questione che forse rimane più aperta di tutte le altre, alla luce della prospettiva che il libro di Ciaravino propone, è di natura epistemologica e riguarda la forma vitale della creatività che, in modo inconsapevole e consapevole, muove più o meno intenzionalmente e generativamente verso l’espressione artistica. Non pare sia così per l’errore che, se è tale, accade non solo non intenzionalmente, ma spesso contro le intenzioni di chi lo produce. Assumerlo come categoria esplicativa della creatività e dell’arte pone interrogativi probabilmente proprio per queste ragioni. Se però l’errore, come categoria utilizzata in questo libro, è servito per evidenziare e definire quello che nell’arte, pur non essendo errore, agisce sia nella creazione che nella fruizione, è valso alla maniera della scala di Wittgenstein: basta buttarlo via dopo esservi salito. “Le mie proposizioni fanno chiarezza in questo modo: colui che mi comprende, infine le riconosce sensate, se è salito per esse – su di esse – oltre esse. (Egli deve per così dire, gettar via la scala dopo che vi è salito). Egli deve superare queste proposizioni; allora vede rettamente il mondo” [6.54, Tractatus logico-philosophicus].

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