Olivier Favier / Esilio e ospitalità

29 Novembre 2017

Nel 1974 avevo vent'anni. Ho fatto il servizio militare di leva, allora era obbligatorio, e ricordo, durante quei giorni di silenzio e assenza – avevo un incarico che mi permetteva di restare quasi tutto il tempo inerme, escluse le marcette mattutine – la lettura di una quantità di romanzi e racconti. 

Mi identificai con Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi, che parlava di esilio e ospitalità. L'esilio fascista e l'ospitalità dei contadini lucani.

Ero di stanza a Foggia, non lontano da quelle zone, anzi ci andammo a fare un campo. Ospitalità, perché Carlo Levi fu ospitato, come noi soldati, durante il campo, da quei contadini poveri, gentili, che non erano cambiati dagli anni Trenta fino agli anni Settanta e forse il progresso li sta ancora lasciando in pace. Ma che significa ospitalità? Agire sui minuti particolari, non guardare chi arriva, offrirgli quel che hai, dividerlo, chiunque sia.

Il libro che ho letto adesso invece si intitola Chroniques d'exile et d'hospitalité - vies de migrants, ici et ailleurs, di Olivier Favier, edizioni Le passager clandestin. 

Favier rievoca i tempi della gioventù, quando, in condizioni migliori, anch'io vivevo un anno e mezzo di separazione dalla famiglia, dagli amici, dal mondo. Il nonno materno di Olivier Favier, arrivato in Francia nel 1924, a 16 anni, oggi sarebbe un minore straniero non accompagnato:

“... osservo questo adolescente dagli occhi malinconici e i capelli all'indietro, mentre contempla un futuro incerto”. 

 

Quegli occhi del giovane nonno, in fotografia, appartengono alla prima pagina del libro, ma ritornano ancora e ancora in Mamadou, Mohamed e tutte le persone che Favier incontra durante il suo tragitto e la sua ricerca. Persone che raccontano il viaggio, giovani esuli, in un tempo che non è di guerra, ma è lontano dalla pace, il tempo che stiamo trascorrendo ora nel mondo, tempo minaccioso. Un viaggio supposto essere dalla morte alla vita, dalla guerra alla pace, dalla povertà alla ricchezza, dalla dittatura alla democrazia. Quel viaggio che smaschera definitivamente i conclamati principi umanitari europei: libertà, uguaglianza, fraternità. In Chroniques d'exile et d'hospitalité si parla del nomadismo contemporaneo, del ripudio, da parte dell'animale uomo, delle sue origini, della sua specificità. 

Uomo: animale nomade. Animale delirante che, a un certo punto, molto recente, della sua esistenza come specie, ha dichiarato che chi vive in una certa parte del territorio della Terra ne è proprietario e ha creato confini che giustificano l'assassinio, la guerra, l'oppressione, l'ostilità. Un animale stupido, l'unico animale stupido, e ostinato, che produce migranti, esuli, esiliati, richiedenti asilo, rifugiati, deportati, come nella canzone di Woody Guthrie

 

 

 

 

Dopo alcune pagine di ricordi delle origini, l'autore racconta la storia nascosta del colonialismo, quel sotto-testo che si legge solo nei libri di storia universitari, in modo freddo, e che va supplementato con i pochi articoli, in gran parte nascosti, dei quotidiani italiani. Infatti la storia dell'emigrazione italiana all'estero si intreccia con la storia del colonialismo italiano.

L'Italia, paese doppio, paese di emigranti e potenza coloniale, ha sempre mantenuto questa doppiezza, anche in casa propria. Il Sud colonia del Nord, l'immigrazione interna per sopravvivere. Ma anche i rapporti “diplomatici” con la Libia, l'Eritrea, la Somalia, rapporti coloniali che perdurano ben oltre il secondo dopoguerra, fino agli anni Settanta e oltre, fino ai tempi recenti.

 

 

Poi arriva l'immigrazione in Italia e il nostro paese si trasforma da paese di emigrazione in paese di immigrazione. Arriva dopo, dopo la Francia, la Germania, la Svizzera, il Belgio, il Regno Unito. 

Mi accade di ascoltare, da un'angolatura clinica, storie uguali a quelle raccontate da Favier. 

Alcuni media scriteriati stanno già facendo lo schema narrativo degli esuli. Per costoro, si tratta di impostori che cercano di venire in Europa a “rubare” il lavoro. Questi scriteriati sono spesso gli stessi che hanno i loro rappresentanti nelle commissioni per il rilascio dell'asilo politico, che impongono di raccontare storie convincenti alle commissioni, che possono conferire il diritto di asilo. Come un gatto che si morde la coda, in un imbroglio. Gli operatori che assistono i richiedenti asilo cercano di aiutarli a rendere “coerente” il racconto per avere un minimo di speranza di essere almeno ascoltati dai burocrati, e i burocrati raccontano che le storie sono poco credibili perché sono tutte uguali. 

 

Che triste storia sta attraversando l'Europa! È questa l'Europa? Allora, se è questa, l'Europa è un insieme di dichiarazioni fasulle: non rispetta le leggi dell'ospitalità, respinge nella clandestinità la gran parte dei richiedenti asilo e mostra solo stupidità. La clandestinità – per una persona che, se torna indietro, rischia di essere linciata, nuovamente torturata, braccata, in preda a terribili sortilegi, imprigionata, uccisa – è il minore dei mali, e la clandestinità produce manovalanza per la criminalità organizzata. L'imbroglio delle commissioni che rilasciano l'asilo politico si ritorce contro l'Europa. L'Europa sta diventando sempre più un fenomeno di dittatura burocratica.

Questi burocrati europei sono uomini tutti d'un pezzo, come avrebbe detto Mussolini, si dichiarano “liberali” solo perché non sparano, non danno manganellate, non uccidono. Usano le norme, in questo caso le norme per il respingimento.

Il testo di Favier racconta tutto ciò, dopo le premesse storiche; racconta quanto è accaduto tra il 2013 e il 2016, anno di uscita del libro. Dalla Libia, dal Marocco, giungono migliaia di persone. Anche dopo la pubblicazione di questo libro, i morti affogati nel mediterraneo sono aumentati; i racconti clandestini dei richiedenti asilo, che soffrono in misura crescente del trauma del viaggio, parlano di trenta salvagenti per trecento persone, di naufragi in cui donne e bambini muoiono in modo spietato, riemergono sulle spiagge come cadaveri. Chi riesce ad arrivare soffre di incubi notturni, deliri, dolori in tutto il corpo. Spera di rivedere i propri figli, senza sapere dove sono, se sono vivi o morti. 

 

Anche questo è parte di una società psicotica, parcellizzata, priva di connessioni, di governi e burocrazie incapaci di provare vergogna. Tra le famiglie italiane che vanno in rovina per le protezioni governative al gioco d'azzardo, la tratta della prostituzione delle donne africane da parte della criminalità organizzata, gli imbrogli continui da parte del marketing delle compagnie telefoniche e delle multinazionali, l'uso smodato dei farmaci per l'arricchimento di big-pharma, la propaganda sciovinista e nazionalista in politica, e tanti altri eventi terribili che accadono nel mondo, non c'è separazione, si tratta di una struttura che connette, che prepara la fine del Mondo, di Gaia. 

 

Benché non ci sia un grande fratello consapevole, c'è uno “spirito del tempo” (Zeitgeist) distruttivo. Contrastarlo senza riprodurre la stupidità dell'antagonismo, che è parte di questo Zeitgeist, è difficile, ma non impossibile. Si tratta di far riemergere il valore etico della disobbedienza e del dissenso. Si tratta di riprendere le parole di Willam Blake: “To Generalize is to be an Idiot. To Particularize is the Alone Distinction of Merit — General Knowledges are those Knowledges that Idiots possess”, che tradurrei sostituendo il termine “idiota” col termine “stupido”, perché oggi si tratta di stupidità, più che di idiozia: “Generalizzare è essere stupidi. Seguire il particolare è la sola distinzione di merito – La conoscenza generale è l'unica conoscenza che possiedono gli stupidi”.

Ci vuole la fiducia che dal basso, dentro i meandri e le porosità di questo “spirito del tempo” burocratizzato e distruttivo, riemerga l'esperienza della solidarietà e della tenerezza. Questo è il messaggio che questo libro intorno alle vite dei migranti di oggi e di allora ci invia, almeno così l'ho raccolto io, in questo breve scritto.

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