Ballo & Ballo al Castello Sforzesco

31 Luglio 2024

Così come i quadri di Jean Vermeer, anche le fotografie di Aldo Ballo (1928-1994) e di Marirosa Toscani Ballo (1931-2023) della luce catturano persino il pulviscolo atmosferico, tanto è nitida la visione delle cose che vi sono riprodotte. Per di più, sia i due maestri della fotografia milanesi (Aldo d'adozione, essendo nato a Sciacca), sia quelli olandesi della pittura, eccellono nella rappresentazione dell'immobilità, nelle nature morte, insomma, o, come si suol dire nel linguaggio tecnico dei fotografi, negli still-life, nelle cui scene compaiono solamente soggetti perfettamente fermi, in equilibrio stabile, insomma, ma circonfusi di luce, una luce morbida.

E mai fotografie sono state tanto fedeli alla loro etimologia di scritture di luce di quelle dei Ballo.

Per di più, il nitore dei profili delle cose da loro fotografate mi richiama alla mente quello degli oggetti che abitano le nature morte di Baschenis (la Natura morta con strumenti musicali è conservata a Brera, un luogo topico per i due Ballo, come si dirà). Inoltre, le silhouettes dei soggetti fotografati, al pari di quelle del dipinto, sono così nette e pulite da sembrare incise a bulino. Il bianco e nero della maggior parte delle foto dei Ballo, poi, non fa che rafforzare la suggestione.

Aldo e Marirosa si sono conosciuti a Brera nel 1951, dove lei frequentava l’Accademia di Belle Arti e Aldo, studente al terzo anno di Architettura al Politecnico, vi si recava a trovare suo fratello Guido (maggiore di lui di quattordici anni) che lì insegnava Storia dell’Arte.

Anche Marirosa aveva familiari di indubbio rilievo artistico. Suo padre Fedele era, infatti, fotoreporter al Corriere della sera ed era inoltre proprietario dell’agenzia fotografica Rotofoto (dove lei e Aldo avrebbero mosso i loro primi passi di fotografi), e suo fratello era Oliviero Toscani, più giovane di undici anni, che sarebbe presto diventato uno dei fotografi più celebri nel settore pubblicitario.

Tra Aldo e Marirosa fu subito amore. Si sposarono nel 1954 e due anni misero su lo studio fotografico, in uno scantinato di quella palazzina, fresca di costruzione, progettata dagli amici architetti Gianemilio e Piero Monti, con Anna Maria Bertanini ed Enrico Freyrie, al n. 2 di via Tristano Calco, dove avevano anche casa al terzo piano. In quello studio e in quella casa avrebbero lavorato e abitato fino all’ultimo dei loro giorni. E sarebbe stato lì che, per quarant’anni, sarebbero stati immortalati nei loro inconfondibili still-life i più iconici pezzi di design, e non solo (sono magistrali anche le foto dedicate all'architettura milanese contemporanea, insieme a quelle della Metropolitana 1 e 2 e dell’allestimento della Pinacoteca del Castello Sforzesco, progettati da Albini-Helg-Piva; senza dimenticare i ritratti di alcuni architetti e designer con cui han lavorato).

Mai, prima di allora, si era visto a Milano uno studio fotografico tanto all’avanguardia. Così ne scrisse Ettore Sottsass: “In quegli anni lontani soltanto Aldo Ballo aveva uno studio grande, ordinato, pulito. Soltanto Aldo Ballo aveva e sapeva usare tutti gli apparecchi necessari, tutti gli obiettivi, tutte le luci, tutti i flash, tutte le camere oscure, tutti gli acidi e le acque, tutte le pellicole, le lastre, gli ingranditori, e così via. Insomma, tutti gli accorgimenti per fare una bella fotografia, una molto bella fotografia, una fotografia sicura, acuta, splendente, perfetta.”

Che Sottsass abbia nominato solamente Aldo Ballo è motivato dal fatto che la dicitura definitiva di Ballo&Ballo fu assunta dallo studio soltanto nel 1975.

Tra le attrezzature innovative di cui si sono avvalsi i Ballo nel loro lavoro in studio, vanno ricordati il famosissimo fondale bianco (il cosiddetto limbo), il tavolo luminoso, la pedana e l’altrettanto famoso carroponte per le riprese dall’alto.

A proposito del tavolo luminoso, così Marirosa: “La prima foto [della Lettera 22, progettata da Marcello Nizzoli] presa insieme fu con Giorgio Soavi, art director di Olivetti: non poteva sopportare il velluto rosso, voleva rigore e il bianco dietro. Mandò una grossa porta in vetro a noi per lo scatto [da cui verrà il tavolo luminoso].”

In quello studio, Aldo e Marirosa hanno dato vita a un “nuovo stile” di still-life, in cui, come ha scritto Silvia Paoli “l’oggetto diviene scultura monumento, secondo stilemi che hanno origine nella fotografia del secondo ottocento (si pensi al ‘modello’ Alinari), ma che si innestano, più modernamente, sulla New Vision di Moholy-Nagy, per l’uso sapiente della luce, controllata e direzionata all’interno dello studio. Se Moholy-Nagy aveva invitato a superare la semplice riproduzione fotografica, come ripetizione delle relazioni esistenti tra oggetti /spazio/ tempo, per promuovere invece la produzione fotografica, basata sull’uso creativo della luce, trattata come mezzo compositivo, è indubbiamente in questa direzione che vanno le fotografie dei Ballo.”

I primi clienti a rivolgersi al nuovo studio, avendo compreso la portata rivoluzionaria della fotografia in campo pubblicitario (in luogo della tradizionale illustrazione, in auge fin dai tempi di Marcello Dudovich e di Leonetto Capiello), furono La Rinascente, Olivetti e Pirelli (le tre leve della rinascita postbellica, milanese e non), grazie alla lungimiranza dei loro manager. Il successo di pubblico fu immediato, vista l’efficacia comunicativa della fotografia, in generale e nello specifico della “molto bella fotografia” dei Ballo, tanto da indurre altri brand a seguire il loro esempio, e presto, lo studio milanese poté contare su una prestigiosa clientela in continua espansione. La Arflex, la Tecno, la Danese e perfino la RAI, furono tra i primi clienti, quest’ultima per i suoi padiglioni alla Fiera Campionaria, l’appuntamento espositivo annuale che ha visto affermarsi in Made in Italy, e che ha contribuito a fare di Milano la capitale del design, molto prima della Design Week, che è figlia di quella manifestazione.

Insieme alle aziende, clienti dello studio Ballo sono stati anche designer di fama mondiale: Gae Aulenti, Mario Bellini, Cini Boeri, Achille e Piergiacomo Castiglioni, Alik Cavaliere, Michele De Lucchi, Vico Magistretti, Enzo Mari, Alessandro Mendini, Bruno Munari, Renzo Piano, Michelangelo Pistoletto, Gio Ponti, Aldo Rossi, Roberto Sambonet, Richard Sapper, Afra e Tobia Scarpa, Ettore Sottsass, Philip Starck, Marco Zanuso. Ma anche grafici, come Salvatore Gregoretti, Max Huber, Giancarlo Iliprandi, Amneris Latis, Michele Provinciali, Albe Steiner, Pino Tovaglia, alcuni dei quali loro compagni di studi e amici di una vita. Così ha dichiarato Marirosa: “Tutti i nostri amici erano e sono architetti e designer. Il nostro mondo era quello e quindi quella fu anche la nostra specializzazione fotografica.”

Lo studio è stato impegnato anche sul fronte editoriale, sulle pagine e sulle copertine delle riviste che pian piano, dagli anni sessanta in poi, hanno guidato il gusto degli italiani: riviste di moda, come Arianna e Grazia (Mondadori), Gioia (Rusconi), ma soprattutto le neonate riviste di arredamento, come Abitare, Ottagono e Casa Vogue e, successivamente, le prestigiosissime Casabella, Domus, Comunità e Urbanistica.

Ma lo studio dei Ballo era anche luogo di formazione e di crescita culturale per molti giovani fotografi, una sorta di scuola-bottega di stampo rinascimentale, dove imparare sì il mestiere, ma soprattutto dove partecipare e fare proprie le scelte artistiche dei maestri, sempre di ampio respiro. 

Ma i maestri, lì, imparavano anche dagli allievi. Infatti, come scrive Alberto Saibene, quello dei Ballo è stato “uno studio a metà tra il laboratorio artigiano e la sala di montaggio cinematografica, con un molto milanese culto del lavoro ben fatto, e un maestro attorniato da un gruppo di giovani che lo aiutano a captare i segnali di quel che arriva da fuori. Non è un caso che Fabio Cirifino, collaboratore dello studio dal 1964, abbia portato la lezione dei Ballo in Studio Azzurro (1982), di cui è stato uno dei fondatori, che ne è, per una parte, un proseguimento attraverso le installazioni e la videoarte.”

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Studio Ballo&Ballo. Sopra: Marcello Nizzoli, Lettera 22 per Olivetti, Compasso d’Oro 1954, foto del 1957; Osvaldo Borsani, divano D70 per Tecno, 1959. Sotto: Livio Castiglioni e Gianfranco Frattini, Boalum per Artemide, 1969; Luigi Baroli, parete divisoria Cartoon per Baleri Italia, 1994.

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Nella Sala Viscontea del Castello Sforzesco è attualmente in corso (fino al 3 novembre 2024) la mostra Ballo&Ballo. Fotografia e design dal 1956 al 2005. È questa la prima mostra dedicata allo studio fotografico milanese dopo la donazione del suo archivio al Civico Archivio Fotografico di Milano, fatta nel 2022 da Marirosa Toscani Ballo. Si tratta di un fondo (prossimamente consultabile) che raccoglie 184.203 scatti e numerosi documenti relativi ai sessant’anni di attività concentrata sul mondo del design di questa straordinaria coppia di artisti, la cui elevata professionalità ha reso famosa e ricercata in tutto il mondo.

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Milano, Castello Sforzesco, Sala Viscontea, alcuni scorci della mostra Ballo&Ballo. Fotografia e design dal 1956 al 2005.

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Curata da Silvia Paoli (Conservatrice dei Beni Culturali del Civico Archivio Fotografico dei Musei del Castello Sforzesco), la rassegna espositiva è stata prodotta dal Comune di Milano Cultura e da Silvana Editoriale, con il sostegno della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. L’allestimento è di Studio Azzurro (con la consulenza di Oliviero Toscani? Dicunt). Nel catalogo bilingue (Silvana, pp. 239, € 34.00) testi di Silvia Paoli, Alberto Saibene, Paola Proverbio.

“Grazie alle videoinstallazioni di Studio Azzurro” si legge nel comunicato stampa, “che dialogano con le foto e gli oggetti in mostra nella Sala Viscontea, tutto ciò che è memoria e non poteva essere archiviato – i processi fotografici, il rapporto con gli oggetti di design esposti in mostra, la costruzione degli allestimenti in studio – diventa presente e tangibile, rendendo accessibili anche momenti, processi, esperienze di un ‘laboratorio’ unico, lo Studio Ballo, ma anche di un'era conclusa, quella della fotografia analogica.”

Perché in mostra, oltre alle foto che li ritraggono, ci sono anche molti degli oggetti di design fotografati dai Ballo, prestito dell’ADI Design Museum, e le videoinstallazioni rendono visibile al pubblico il lungo e originalissimo processo tecnico creativo di come sono nate le loro fotografie.

La mostra e il catalogo sono dedicati a Marirosa Toscani Ballo. 

 

Vorrei concludere con un pensiero di Alessandro Mendini:

“Mi viene sempre da pensare che cosa ne sarebbe stato della divulgazione del Bel Design italiano se non ci fosse stato Aldo Ballo. A quei tempi nessun mobile né oggetto è sfuggito alla sua costante, coerente, continua e metodica classificazione. Sul candido set, sulla famosa passerella di Ballo & Ballo si sono succeduti tutti i capolavori del nostro design, resi omogenei e comparabili fra loro da una regia, una scenografia, dei giochi di luci ed ombre che sono state vere e proprie invenzioni stilistiche nel campo dello still-life fotografico. Invenzioni che hanno avuto una grande eco, anche attraverso la scuola dei tanti fotografi formatisi nel clima magico di quello studio. Uno stile arioso, pieno di chiarori, quasi evanescente, estremamente rispettoso del soggetto da ritrarre, e perciò delicato e dimesso, ma sempre inconfondibile, intenzionato a creare un'aura carismatica attorno all'oggetto. Ed è proprio attraverso queste immagini gentili, descrittive ma sempre estetiche, immobili e un po' metafisiche, che la bellezza del Bel Design italiano si è imposta nel mondo, propagandata appunto da un suo appassionato protagonista: il maestro fotografo Aldo Ballo.”

Foto di copertina: Oliviero Toscani,  Lo Studio Ballo&Ballo, 1989.

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