La gioia di scrivere di Enzo Baldoni

28 Luglio 2014

E' successo dieci anni fa in Iraq: il rapimento e l'uccisione di Enzo Baldoni da parte di fondamentalisti musulmani. Copywriter in pubblicità e poi reporter, traduttore di Doonesbury: anche stringando il ventaglio delle sue attività, è chiaro che Baldoni aveva fatto della scrittura un mestiere molto vario, il che è tipico di molti copywriter, per i quali scrivere vuol dire saper scrivere cose diverse in luoghi diversi, seguendo talento, piacere, perché no una paga.

 

Come ha osservato Pasquale Barbella, ripercorrendo la carriera di Enzo Baldoni s'incontra una costante gioia di scrivere. Fu un copy colto come quelli della sua generazione, era del 1948, e al tempo stesso giocoso. Persino la sua attività di moderatore di forum on line aveva una leggerezza tuttora intatta e affidata all'eterno presente del web, mentre le sue corrispondenze, negli anni inviate da Timor Est, dal Chiapas, dalla Colombia, e pubblicate tra gli altri da Diario, il Venerdì, Linus, furono secondo Oreste Del Buono da "fuoriclasse".

 

Tuttavia, da quei giorni di tragedia - tutto successe tra il 20 e il 28 agosto - non sono soltanto le sue parole a tornare. Ricordare Baldoni è infatti anche rileggere quanto scritto allora dai giornali conservatori. Mentre arrivavano poche notizie e si temeva il peggio, Vittorio Feltri su Libero del 27 agosto ancora lo definiva giornalista della domenica, un uomo inebetito dalle ideologie, un bauscia simile a certi tizi i quali, durante il week end, indossano la tuta mimetica e giocano ai soldatini nelle brughiere del varesotto. Lo aveva preceduto tre giorni prima Renato Farina sullo stesso giornale, spingendosi a suggerire che il rapimento di quel simpatico pirlacchione potesse essere una recita.

 

Non credevano a Baldoni. Parlavano di lui non come di un reporter, o di un uomo rapito mentre con la Croce Rossa porta aiuti umanitari. Semmai, come di una specie di turista. Di lì il feroce titolo che quel quotidiano dedicò alla notizia del rapimento, Vacanze intelligenti, titolo nel quale era dichiarata l'intenzione di deridere l'uomo di sinistra, dipingendolo come un velleitario anticonformista.

 

 

Uno sprezzo incomprensibile. Soprattutto se le spiegazioni si cercano nella cronaca. Ciò che stava facendo Baldoni, ai loro occhi, era qualcosa di più. In quella sua vicenda vedevano la profonda antitesi al loro modo di concepire l'industria culturale.

 

Quell'osceno dileggio in un momento tanto drammatico fu quasi un esorcismo, forse proprio per questo così truce nel linguaggio, e si accompagnò non a caso all'invito a rientrare "culturalmente" nei ranghi. Lui e la gente come lui faccia il proprio mestiere di creatore di spot, sottolineò emblematicamente Renato Farina. Non di voler cambiare il mondo, veniva in fondo accusato, ma di voler cambiare il loro mondo. Non tanto a quello spottaro (Feltri) si opponevano, ma a ciò che per loro rappresentava, all'idea aliena di un mondo della comunicazione che si guarda intorno, partecipa alla vita, si mette in gioco.

 

Che razza di pubblicitario è, quello che rivendica un'anima civile? Che creatura assurda, ridicola è mai? Può forse esisterne uno che si appassioni al giusto e all'ingiusto, che si immerga nei conflitti, che dissentendo dai correnti modelli di comunicazione cerchi di coltivarne altri?

 

Un'ostilità proveniente dalle fondamenta, che oggi fa guardare a quegli articoli come all'autentico epicentro del ventennio berlusconiano, la più plastica espressione di una cultura. In fondo, furono il b side degli attacchi a Biagi e agli altri dissenzienti mediatici nel 2002. Quello era stato fattuale, perché ognuno si adeguasse. Questo era culturale, a presidio del proprio nucleo fondante: la comunicazione come contrasto al vero.

 

In questa loro dimensione senza uscita, vivere nel libero mercato vuol dire sposarne ogni perversità, rinunciare a ogni pretesa di giustizia, al senso stesso del riformismo. All'opposto, Enzo Baldoni, con modi forse impraticabili per la maggioranza di noi, incarnava una figura di creativo "industriale", novecentesco, fatta di pura attitudine. Ricercatore empirico di nessi, divertito e coinvolto, venne attaccato da quelle parole mentre dava al suo mestiere il connotato più bello, che è la curiosità del mondo.

 

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