No regret: Love Life

26 Maggio 2014

I fatti

Il 12 maggio 2014 l’Ufficio federale della sanità pubblica svizzero (UFSP) lancia in rete e dal vivo la nuova campagna contro l’HIV e altre infezioni sessualmente trasmissibili. Il comunicato stampa che la annuncia ha per titolo: «Nessun rimpianto»: la nuova campagna HIV punta sull’impegno personale.


Un sondaggio rappresentativo condotto dall’istituto di ricerche di mercato e sociali GfK, su incarico dell’UFSP, dell’Aiuto AIDS svizzero e della fondazione Salute Sessuale Svizzera, ha mostrato infatti «che gli svizzeri non si sentono minacciati, o solo marginalmente, dal virus dell’HIV (89%)».


In Svizzera tuttavia, nel corso del 2013, i casi di HIV diagnosticati sono stati 575, l’8% in meno rispetto al 2012. Troppi comunque su una popolazione di 7,997 milioni di abitanti.
L’obiettivo ufficialmente dichiarato è: «Non abbassare la guardia: ridurre le diagnosi a 350 nel 2017».


Per costruire la propria campagna 2014 l’Ufficio federale della sanità pubblica stanzia anche quest’anno due milioni di franchi svizzeri. Una cifra da niente, come ci ricordano con stringente logica amministrativa i promotori dell’iniziativa. «Un confronto mostra», recita con freddezza il comunicato stampa, «che questa somma, che a prima vista può sembrare molto consistente, effettivamente è stata ben investita: la cura di un’infezione da HIV costa alle casse malati 25000 franchi svizzeri per persona e anno. Con una speranza di vita di 40 anni al momento dell’inizio dei trattamenti, il totale dei costi ammonterebbe dunque a circa un milione di franchi svizzeri per ogni nuova infezione da HIV». Elementare, no?


Per fare breccia nella “smemorata” opinione pubblica d’oltralpe l’UFSP e i suoi partner si affidano a una società specializzata in campagne pubblicitarie di grande scala, la Rod Kommunikation AG di Zurigo

 



La campagna

Potremmo, molto in sintesi, definirla al passo con lo spirito del tempo “occidentale”. I pilastri su cui si regge sono, grossomodo, tre: consapevolezza sì/paura no; modelli di vita sì/cifre no; coinvolgimento e partecipazione attiva del cosiddetto target.


La campagna, assai articolata, si rivolge al pubblico attraverso manifesti corredati da slogan a dir poco discorsivi e attraverso un video (su Youtube vietato ai minori) della durata di quarantacinque secondi: immagini fisse che illustrano parole o viceversa e immagini in movimento con tanto di colonna musicale, l’ovvia Non, je ne regrette rien, no, io non rimpiango nulla.

Tema:


«Nessun rimpianto: Ama la vita». Bifronte e ambiguo quanto basta per contenere tanto ciò cui si è rinunciato in passato (per paura delle possibili conseguenze igienico-sanitarie?) quanto ciò cui non si dovrà rinunciare in futuro. Basta insomma con le privazioni dettate dal timore: repressione e (auto)repressione a lungo andare producono una sorta di pericolosa amnesia (sempre secondo i sondaggi di cui sopra, pare che in Svizzera soprattutto le fasce di età più alta non sentano di rientrare in un “gruppo a rischio”).

Messaggio:


- Non c’è nulla di immorale in nessuna pratica sessuale
- Se ci si protegge, si può fare tutto ciò che si vuole
- Bando dunque alle immagini sgradevoli, paurose, persecutorie, perturbanti. Via i volti scarni e i corpi scheletrici dei malati, via i ‘fantasmini’ (vedi campagna del Ministero della sanità, Italia 1990) che hanno perseguitato gli attuali quarantenni nostrani rovinandogli adolescenza e giovinezza, via ogni segno di morte e di malattia.

 

 

Benvenute le immagini di gente sana che sanamente se la gode, consumando sesso come e quanto le pare, con chi le pare, in una sorta di laica sarabanda governata dal principio del piacere e della libertà individuale, la propria e l’altrui.

I manifesti

Amo la mia vita. Perché me lo merito.

Vivo come mi pare e piace, e amo chi voglio. Perché questa è l’unica vita che ho. Se me la godo o no, dipende solo da me. Realizzo i miei desideri e mi assumo la responsabilità delle decisioni che prendo.

 

Das Love life manifest

 

Amo il mio corpo. Per questo lo proteggo.

Per godermi la vita ho bisogno del mio corpo. Perciò lo proteggo dalle infezioni sessualmente trasmissibili come l’HIV: se sono single o infedele oppure se ho appena rotto con qualcuno, uso il preservativo e mi attengo alle regole del sesso sicuro. Se invece la mia relazione si basa sulla fedeltà, una volta fatto il test, io e il mio partner possiamo rinunciare al preservativo.

 

 

Non ho nessun rimpianto. e faccio di tutto per riuscirci.

Di solito non ci si pente delle proprie azioni ma di ciò a cui si rinuncia. Che sia un’avventura, una conversazione o... del sesso sicuro. Ma io faccio di tutto per poter sempre dire: non ho nessun rimpianto.

 

 

Il preservativo rosa che fa da O nella parola LOVE è un gadget che rientra nella campagna: chi ha voglia di esibirlo in formato-anello, trasformandosi dunque in “attivista” o “coda pubblicitaria”, non ha che da richiederlo. «Coloro che si riconoscono chiaramente nel messaggio», spiegano gli ideatori del progetto, «indossano l’anello in silicone LOVE LIFE, creato appositamente allo scopo, e ne veicolano il messaggio tramite i social media (a scelta).

 

Le persone che si riconoscono nel manifesto possono diventare attori della campagna inoltrando la loro candidatura. Da lunedì 12 maggio 2014 le persone interessate possono iscriversi al casting per la ricerca dei protagonisti della campagna cartellonistica».
Al posto del fiocchetto rosso di buona memoria, che parlava di sangue, di morte e dell’infinito dolore collettivamente accumulato negli anni ottanta e novanta, ecco un roseo invito alla jouissance.

Il film

«È solo pornografia, così si banalizza il problema dell’Aids e basta», sentenzia Oliviero Toscani, che negli anni novanta italiani fu uno dei pochi che osarono affrontare, non solo pubblicitariamente, la pandemia da HIV/Aids. E allora guardiamoceli un po’ questi quarantacinque secondi di “pornografia pura” e vediamo cosa mai abbiano a che fare con HIV/Aids e soprattutto con noi e con i tempi in cui viviamo.


In scena ci sono solo coppie “reali” (offertesi volontarie) filmate mentre fanno variamente sesso: etero, omo, lesbo, giovani, anziani, S/M, bianchi, neri, penetrazioni, pompini, molteplici kamasutra. Il tutto per un pugno di secondi per scena: una sorta di allegro Nymphomaniac volume 1 e 2 liofilizzato. Ad accompagnare il ritmo indiavolato del montaggio la voce scherzosa dei protagonisti che a turno cantano la canzone immortalata da Edith Piaf:


Non! Rien de rien ... 


Non ! Je ne regrette rien 


Je me fous du passé!


In chiusura, immobile al centro dello schermo per ben dieci secondi su quarantacinque, una bella bustina targata LOVE LIFE/nessun rimpianto contenente il fatidico preservativo, gadget transizionale di estrema misericordia.
«Non abbiamo dato alle coppie particolari istruzioni su ciò che dovevano fare», ha dichiarato David Schärer, della società Rod Kommunikation, «li abbiamo lasciati liberi di spingersi fino a dove volevano, e alcuni di loro si sono spinti davvero oltre».


Il messaggio arriva limpido e chiaro: in Svizzera, come in altri paesi dell’Europa occidentale, la sessualità è libera e liberata, i tabù sono caduti uno dopo l’altro, non ci sono più giudici, medici, preti e madri/padri di famiglia a dire cosa è bene e cosa è male. Il giudice supremo e clemente delle nostre azioni siamo noi. Da materia oscura, il sesso è diventato un bene d’uso come tanti altri. Niente rimpianti, niente rimorsi, niente colpevolizzazioni. Siamo ricchi, evoluti, democratici, e tutto va bene. Il video è visibile qui.

Il caso Italia

Ma che ci azzecca, tutto ciò, con il nostro bel paese? Perché uno come Toscani sente il bisogno di dire con veemenza la sua su una campagna che parla di libertà sessuale con la stessa placida indifferenza con cui in Svizzera si parla di mucche, orologi e cioccolata? Che sia perché da noi di HIV/Aids non si parla proprio o, se se ne parla, lo si fa con un paternalismo talmente appassito, accorato e goffo da risultare controproducente?


Si veda, per esempio, il video con cui il Ministero della salute ammorba dal 2012 i nostri schermi (in assenza di fondi per fare di meglio, il video è stato ripreso anche nel 2013 e fa testo anche a metà 2014).

 

 

Vi troverete alle prese con trentotto secondi visivamente, musicalmente, narrativamente piatti come un foglio di carta e per di più con un vago odore di sagrestia. Alla faccia del povero Raoul Bova, testimonial innocente incaricato di pronunciare la parola da noi tuttora all’indice: preservativo.


Ah, vi segnalo che il titolo dello spot è: «La trasmissione sarà interrotta il prima possibile». Mamma TV, difendici tu. Io ci ho messo dieci minuti buoni a capire di che gioco di parole si trattasse, forse perché mi auguravo che gli autori si riferissero a se medesimi e al loro bruttissimo spot.


Però il problema in Italia esiste eccome. Secondo il rapporto 2013 dell’Unaids (l’organizzazione dell’Onu dedicata alla lotta all’Aids e al retrovirus Hiv che la causa) l’Italia nel 2012 ha conquistato il primato di Paese europeo con più morti: 1.700. E nel 2012 l’Istituto superiore di Sanità ha registrato 3.800 nuovi casi di persone infette. Complessivamente il numero di italiani sieropositivi tocca quasi i centoquarantamila. Con un pericoloso aumento dei casi fra i giovanissimi e il picco di infezioni – il 36,1 percento dei casi totali – che torna a colpire dopo anni la fascia d’età 25-34 anni.


Mostrare coppie spensieratamente fornicanti non sfiora neanche da lontano il problema. È un semplice invito al “voyeurismo”, così si esprime Toscani, e non ha alcun impatto sull’opinione pubblica. Una buona campagna pubblicitaria su un tema a forte contenuto sociale deve provocare, scioccare, turbare, indurre alla riflessione, obbligare a prendere posizione.


Temo tuttavia che il problema stia esattamente lì: che cosa, e non solo in materia di sessualità, è in grado di provocare una risposta forte da parte dei cittadini italiani? Non siamo forse troppo sedati, sazi, assopiti, inebetiti per reagire a qualsivoglia stimolo?


E se avessero ragione gli svizzeri a postulare la scomparsa del cittadino e l’avvento definitivo del cliente/consumatore, possibilmente verde, bio, equo solidale, capace, come il cane di Pavlov, di rispondere a un solo stimolo/quesito: fa bene o fa male alla mia salute?

Un video alternativo per finire in bellezza e per rilanciare il discorso, non solo sui contenuti ma anche sulle forme, su ciò che arriva ai destinatari della comunicazione e ciò che va a spiaccicarsi contro il muro come una pera marcia. C’è in rete un “video sociale”, di certo non commissionato da governi, ministeri o altre istituzioni pubbliche. È stato messo in rete il 17 marzo 2014 ed è, come i video di cui si è parlato finora, uno “spot sociale contro l’Aids e per l’uso del profilattico”. Guardatelo. È una produzione CulturUp.

 

 

Un minuto e cinquantaquattro secondi di irresistibile scorrettezza politica, un racconto minuscolo, tenero e spiazzante, che potrebbe piacere parecchio a chi ama i graffiti, gli scarabocchi sui muri, i messaggi da latrina ed è stufo del glossy, dei corpi in posa, depilati, statuari, inodori, da guardare e non toccare.
Buona visione.

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