Confidenza, uno sguardo nell’abisso

19 Maggio 2024

Diretto e co-sceneggiato (con Francesco Piccolo) da Daniele Luchetti, Confidenza è ispirato all’omonimo romanzo (2019) di Domenico Starnone. Protagonista è Elio Germano – fresco del David di Donatello come miglior attore non protagonista per Palazzina Laf – nei panni di Pietro Vella, bravo professore di lettere in gioventù e intellettuale mediocre ma di successo in età matura. Lo affianca Federica Rosellini, che interpreta con piglio graffiante Teresa Quadraro, prima studentessa, poi compagna e nemesi del protagonista. 

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Il romanzo di Starnone narra la turbolenta vita sentimentale e le vicende intellettuali di Pietro, che da giovane ha fatto innamorare di sé una delle sue allieve del liceo, Teresa. Lei, giovane libera e incline al sarcasmo, subito dopo il diploma provoca e avvince l’ex professore. I due cercano un amore libero, lontano dagli obblighi borghesi della monogamia, ma ribollono di una gelosia che sfocia in crisi d’ira, al limite della violenza fisica. Decidono allora di rivelarsi a vicenda un segreto che non avevano mai detto a nessuno, per "cercare un modo che fissasse per sempre la reciproca dipendenza". Poi, nel giro di pochi giorni, si lasciano. Anche se i due si vedranno pochissimo negli anni successivi, la loro confidenza non avrà mai fine, nutrita prima di fantasticherie e ricordi, poi di contatti epistolari e minacce silenziose. Con un ampio salto temporale, il romanzo abbraccia le loro esistenze fino alla vecchiaia, comprendendo anche la vicenda di Nadia (sullo schermo, Vittoria Puccini) ed Emma (Pilar Fogliati), rispettivamente moglie e figlia di Pietro. Temendo che Teresa per qualche ragione possa rivelare il suo segreto, rovinando quel poco di notorietà che lui si è costruito scrivendo libri sulla scuola e presentandoli in giro per l’Italia, Pietro si comporterà per tutta la vita secondo i codici di comportamento che lei gli impone dall’America. Tanto che, ormai sposato da anni con un’altra donna, Pietro si troverà a constatare che “la moglie d’ogni giorno mi giovava meno di quella moglie d’oltre Oceano”. 

Rispetto al romanzo, la sceneggiatura di Luchetti e Piccolo è un adattamento nel senso più alto del termine: attraverso minimi cambiamenti di trama, infatti, il film conferisce alla vicenda tonalità nuove, che la fanno virare verso il thriller. Luchetti adopera diversi strumenti per lavorare su tensione e suspense: in primis la colonna sonora (che comprende anche brani originali di Thom Yorke), accanto a simbolismi evidenti (i limoni ammuffiti estratti dal frigorifero di Teresa e Pietro, o il corvo nero che incombe sulle teste di Pietro e Nadia, in procinto di trasferirsi nella nuova casa) fino ad allegorie di decifrazione meno immediata, come quella della scena finale. 

Le vicende dei personaggi, poi, sono punteggiate da piccoli fatti inquietanti – quelle minime sensazioni di paura che capitano a tutti, ombre temporanee che normalmente scacciamo come insetti fastidiosi (si sentono delle voci in casa? chi ha fatto cadere il quadro in camera da letto?). Indugiare su questi istanti di inquietudine, che paiono alludere a presenze estranee e minacciose (probabilmente alle molte vite, consce e inconsce, di Pietro) è forse la trovata più riuscita e originale della reinvenzione filmica. 

Chi andasse a leggere il romanzo di Starnone non troverebbe traccia di tali dettagli, e resterebbe deluso se sperasse di vivere atmosfere thriller. E tuttavia non si può proprio dire che il film abbia tradito il libro: entrambi riescono, con gli strumenti propri dei due linguaggi, a trasmettere una medesima impressione: le cose importanti sono quelle che accadono nelle nostre teste, e non nelle nostre vite. 

Nel film, la centralità della dimensione psichica è rafforzata anche da un particolare espediente narrativo: duplicare certe scene, presentandole in sequenze consecutive con epiloghi diversi. Dopo una lite, Pietro spacca la testa a Teresa lasciandola sfigurata. Stacco, e la scena riprende l’identica situazione di qualche secondo prima, ma con un finale meno tragico. L’omicidio, quindi, era solo una fantasia di Pietro. Confrontato più volte con questo meccanismo, lo spettatore non è più certo se quello che sta vedendo sia reale o avvenga solo nella testa di Pietro. Un po’ come il lettore di Starnone, che non sa mai se e quanto fidarsi dei tre narratori della storia che sta leggendo: nell’ordine Pietro, Teresa ed Emma.

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La scuola, 1995.

È la terza volta che Luchetti dirige un film tratto da un libro di Starnone: il primo, La scuola, uscì nel 1995 e divenne un vero cult per tanti spettatori. Punto forte di quella commedia era il mix irresistibile di ironia e tenerezza, che restituiva il tono dei primi romanzi di Starnone (Ex cattedra, La scuola, Sottobanco). Un tono sì disilluso e scanzonato verso vizi e tic della docenza italiana, ma anche capace di cogliere l’umanità di certi legami scolastici, talvolta fin troppo indissolubili (resta memorabile la battuta dell’anziana professoressa Serino: “I nostri ragazzi non invecchiano mai, vengono qui giovani e se ne vanno che sono ancora giovani. E noi? Noi invecchiamo al posto loro. Ma cos’è, un film dell’orrore?”). 

Già nel suo primo grande successo, Il portaborse (1991), Luchetti aveva attinto a piene mani all’immaginario scolastico. Qui, il professor Sandulli (Silvio Orlando) ama il suo lavoro, ma umiliato dal basso stipendio decide di riciclarsi come ghostwriter al soldo di un politico farabutto (Nanni Moretti). Sandulli vorrebbe solo guadagnare i soldi necessari a restaurare la propria casa (un palazzo storico abitato in passato da Edmondo De Amicis), però l’incontro con la politica d’inizio anni ‘90 gli apre gli occhi sul mondo della corruzione. 

Si disse giustamente che Luchetti con questo film aveva anticipato Tangentopoli. Quattro anni dopo, scegliere Silvio Orlando come protagonista per La scuola sarà stato naturale: nell’onestà di Sandulli e nella sua complicità affettuosa con gli studenti c’era già la maschera del professor Vivaldi inventato da Starnone. 

Quasi trent’anni dopo, le traiettorie di Luchetti e Starnone tornano a incrociarsi e nasce Lacci (2020), anche questo sceneggiato da Luchetti e Piccolo dal romanzo omonimo (2014) dello scrittore napoletano. Ritorna pure Silvio Orlando, che interpreta il protagonista Aldo, in tandem con Luigi Lo Cascio (rispettivamente, da vecchio e da giovane). Alcuni temi di Lacci (i vincoli della famiglia borghese; il naturale desiderio di libertà sessuale, ipocritamente giustificato con motivazioni politiche, il successo di un intellettuale tutto sommato mediocre) sono quelli che troveremo poi in Confidenza, mentre sono ormai lontane le atmosfere di La scuola

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Lacci, 2020.

Nei venticinque anni trascorsi, mentre Luchetti si affermava come regista di rara versatilità, la parabola letteraria di Starnone si muoveva su un percorso coerente, mantenendo uno stretto rapporto con il cinema (quale autore di sceneggiature e di un romanzo sul cinema, come Fare scene), ma soprattutto elaborando una serie di congegni letterari (da Via Gemito, a Labilità, fino alla trilogia Confidenza, Scherzetto, Lacci), che si fondano su narratori poco credibili, da cui i lettori amano però farsi irretire. Alcuni personaggi e situazioni ritornano ciclicamente: la madre sarta, tormentata dalla gelosia del marito; il figlio che sin da bambino assiste alla violenta gelosia del padre, ferroviere e pittore a tempo perso, e ne introietta i demoni; la vertigine sublime di trovarsi davanti a un abisso, un tetto, un balcone e voler saltare.

Intorno a questi archetipi Starnone intesse da molti anni le sue trame, tra introspezioni ed epifanie, con protagonisti che sono almeno in parte maschere dell’autore, se è vero che tutti trafficano in qualche modo con il mondo delle lettere: sono insegnanti, giornalisti, scrittori d’invenzione, talvolta addirittura ex insegnanti diventati intellettuali come il Nico del suo romanzo più recente, Il vecchio al mare (2024)

Ma qual è il segreto di Pietro? Tra chi ha visto il film, si sono sprecate le congetture. Alcuni giurano che vi siano indizi della sua partecipazione all’omicidio di Aldo Moro. Altri ritengono, invece, che i due amanti siano entrambi colpevoli dell’omicidio dei propri genitori (ed effettivamente nel film – ma non nel libro – tutti e due sono orfani, e si trovano a discettare della pena riservata dagli antichi romani ai parricidi). Quando Pietro immagina che la figlia scopra il suo segreto, la vede urlare disperata di fronte a tanto orrore. Nel romanzo, invece, la confidenza sembra meno indicibile: "si trattava di una storia tanto imbarazzante che soltanto a pensarci arrossivo, mi fissavo la punta delle scarpe, aspettavo che il turbamento passasse". Non un crimine quindi, ma comunque qualcosa di molto spaventoso.

“Ecco cosa sei veramente” dice Teresa a Pietro non dopo, ma significativamente prima della rivelazione del segreto. I due hanno appena litigato rabbiosamente, e lui è arrivato a farle del male trascinandola nella doccia per lavarle di dosso i segni di un presunto tradimento. Segno che la sua vera pericolosità non sta nel segreto, ma in altro. Pietro è uno che “osserva il male che nasce da sé stesso” e in quei momenti prova orrore per sé e può essere un pericolo per gli altri. Sa di dover tenere a bada le proprie pulsioni, i malesseri che vengono dalla natura più intima, da radici familiari selvagge, dalla smania di darsi una forma migliore di quella che la nascita ci ha assegnato. Il suo stesso rapporto con la gelosia (negata per aderenza ai tempi dell'amore libero, ma al contempo vissuta profondamente) riflette questo sforzo, lo sforzo di chi cerca spiegazioni razionali, e per tutta la vita “tenta di diventare Jekyll, ma gli è molto più naturale essere Hyde”. 

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Anche la madre di Pietro gli aveva visto un orrore negli occhi. Lui stesso ricorda di essersi come assuefatto alla violenza della famiglia di origine, di aver in alcuni casi aderito alla brutalità del padre, invitandolo (con sguardo muto) ad ammazzare la madre. In alcune occasioni ha ceduto, almeno nella fantasia e nelle parole, anche all’idea della violenza sulle donne amate (Teresa, ma persino Nadia, per gelosia e per paura). Quando Pietro era ancora piuttosto giovane, lo sguardo scrutatore di Teresa è riuscito a scavare il suo io, scoprendone la sostanza contraddittoria. E per tutta la vita il suo timore è che lei possa tornare e rivelare a tutti quel magma. Negli anni, lui ne ha cavato fuori una maschera, una forma, una personalità, ma sa che ciò che è diventato è il frutto fragile di una serie di aggiustamenti. La bestia, per quanto sepolta, potrebbe tornare.

Il grande segreto di Pietro è insomma la scoperta dell’abisso interiore di cui viene a conoscenza chi si guarda vivere. Lo stesso abisso che conosce bene Maurizio, il professore licenziato di Il vecchio al mare, che forse proprio per questo non ha più saputo insegnare:

“Voi avete davanti uno che tanto per calmarsi chiosa le parole di altri. Pensiero mio ne produco poco, mi terrorizza pensare veramente. E se uno non riesce a tollerare di pensare sul serio, come fa a insegnarvi l’unica cosa che conta, la volontà di capire fino a morire di spavento?”.

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