Elsa Schiaparelli moda e fantasmi

29 Aprile 2025

Cosa lega l'oroscopo quotidiano, Roland Barthes e la moda surrealista di Elsa Schiaparelli? Un unico filo: il bisogno umano di creare senso attraverso i simboli. Un viaggio tra segni zodiacali, fantasmi interiori e visioni estetiche, per comprendere come moda e astrologia rispondono alla stessa urgenza: raccontare e affermare la propria identità.

Viviamo andando a caccia di conferme. Scorriamo Instagram alla ricerca di post che ci descrivono, ci interpretano, ci rassicurano. “Il tuo segno zodiacale dice che sei un’avventuriera instancabile”, “Sei Pesci? Allora sei empatica e creativa!”, “Solo gli Ariete capiranno cosa significa non avere filtri”. Frasi come queste, travestite da leggerezza, diventano parte del nostro lessico emotivo quotidiano. Le consumiamo, le condividiamo, le interiorizziamo. Il bisogno di appartenere a una sfera simbolica ci attira, ci consola. E ci spinge a interpretare il nostro carattere come se fossimo frammenti di uno zodiaco infinito, ognuno con la propria scintilla di unicità già scritta nel cielo.

In fondo, vogliamo capire le radici della nostra “diversità” tralasciando il piccolo dettaglio dell’esistenza di altri miliardi di Sagittari che amano l’avventura, detestano le gabbie dorate e si sentono spiriti liberi. All’oroscopo chiediamo rassicurazione e identificazione, perché ambiamo a un ordine, una narrazione che ci sveli l’ignoto. Vogliamo credere che conoscere il sé sia il primo passo per realizzarsi, come recita la nuova spiritualità dell’“arte della manifestazione”, un prodotto culturale confezionato per rispondere al bisogno di radici in tempi di incertezza.

Per queste ragioni, senza boria o snobismo, Roland Barthes classifica l’astrologia come una narrazione collettiva con effetti psicoattivi, un “oppio dei popoli” à la Marx: perché dona speranza in momenti di crisi esistenziale o sociale.

L’oroscopo, difatti, è un sistema simbolico che fornisce una cornice entro cui leggere l’esperienza, decifrare ciò che altrimenti resterebbe incomprensibile e riorganizzare il caos. Le frasi fatte di cui sono popolate le previsioni quotidiane o a lungo termine, secondo Barthes, non sono ingenuità: sono strumenti di significazione usati per esorcizzare il reale, nominandolo. Perché nominare significa dominare, comprendere, incasellare. E questo ci dà sollievo.

Barthes non tratta l’astrologia con sarcasmo da scienziato illuminista: la osserva, la decifra in quanto modo di espressione e di rappresentazione. Un linguaggio che usa frasi fatte, stereotipi, la cui funzione catartica è simile all’attività fantasmatica praticata da Barthes. Costruire un fantasma vuol dire elaborare con l’immaginazione degli scenari che soddisfano un progetto di piacere, dove quotidianità e straordinarietà scorrono dividendo lo stesso tempo, secondo il proprio ritmo. Non un’allucinazione, ma un assemblaggio simbolico, una visione interiore che ci posiziona nel mondo secondo un desiderio.

La capacità immaginativa viene messa in moto dalla volontà di scrivere il proprio “io” usando come foglio le relazioni e come riferimenti i segni identitari

È in questo spazio fantasmatizzante che si inserisce l’universo estetico e simbolico di Elsa Schiaparelli, raccontato in Elsa avant Elsa, Elsa Schiaparelli. Roma, New York, Parigi (Electa 2025). Il libro dalle pagine inconfondibilmente rosa shocking è curato da Alessandra Avagliano e Francesco Pastore di Maison Schiaparelli – rilanciata nel 2010 da Diego della Valle – in collaborazione con le Gallerie Nazionali di Arte Antica e l’Accademia dei Lincei. Pubblicato per tracciare la costellazione formativa della stilista tra Roma, New York e Parigi, nel volume l’influenza degli astri risalta sin dalla copertina, su cui campeggia l’Orsa Maggiore che zio Giovanni Virginio Schiaparelli, astronomo di fama mondiale, direttore dell’Osservatorio di Brera, scopritore dei famosi “canali di Marte” (poi rivelatisi illusioni ottiche), scorgeva sul volto di Elsa, nella disposizione dei suoi nei.

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Giovanni Virginio Schiaparelli ritratto sulla copertina della “Domenica del Corriere”. Milano, Archivio storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera, Fondo G. V. Schiaparelli, cart. 584, fasc. 2.

Elsa omaggia lo zio nella collezione invernale 1938-1939, presentata il 4 agosto del 1938, il cui capo rappresentativo è la giacca Zodiaque, ricamata da Albert e Marie-Louise Lesage, su un fondo blu notte punteggiato da stelle realizzate in perline, pianeti dorati e argentati, lune di strass, comete e stelle cadenti, con l’abbottonatura rifinita dai dodici segni zodiacali in oro. Sulla spalla sinistra, sul lato del cuore, brilla l’Orsa Maggiore, un talismano per Schiaparelli, che teneva con sé anche sotto forma di spilla realizzata da Jean Michel Schlumberger. Il legame tra Schiaparelli e le stelle non è casuale né puramente estetico. È radicato nella sua infanzia, nella sua storia famigliare, nella sua educazione, tanto che, tra il 1935 e il 1940, il tema celeste torna in diverse collezioni. Avagliano e Antenomaso, autrici dei testi sull’infanzia romana di Schiaparelli, raccontano di giornate trascorse in un luogo straordinario: Palazzo Corsini, sede della Reale Accademia dei Lincei. Il padre Celestino, arabista, dirige la biblioteca dell’Accademia, dove Elsa, sin da bambina, accede ad antichi manoscritti, tra cui le “Gesta Lynceorum”, un testo che include una tabella astrologica con i segni zodiacali. Non mancano oggetti suggestivi, sedimentatisi in scenari fantasmatici poi convertiti in archetipi visivi: il globo celeste che Elsa ricorda nella sua autobiografia come “gigantesco mappamondo”, oppure l’astrolabio settecentesco tramite cui Elsa misura distanze siderali o immagina di cimentarsi con la stesura degli oroscopi. E così le collezioni Schiaparelli diventano galassie popolate da corpi celesti, comete, pianeti, la cui funzione non è semplicemente decorativa: si tratta di segni, di unità di misura del tempo, strumenti per navigare la complessità dell’esistenza. Gli astri diventano occasioni d’uso, modi per posizionare il sé nel mondo, trasformando il cielo in una risorsa codificata.

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Disegno di un modello “pigiama” di Elsa Schiaparelli, 1936 Diktats Bookstore.

Visionaria, pioniera della moda surrealista, Elsa crea storie, va oltre il semplice tributo estetico al cosmo, compiendo un gesto simbolico che riflette emozioni, aspirazioni, fragilità. La giacca Zodiaco, dunque, non è solo un capo iconico, bensì diventa una mappa sentimentale. È il punto in cui la cultura dell’oroscopo, la potenza del simbolo, la genealogia e la riflessione filosofica si incontrano. Elsa prende l’antico invito greco – γνῶθι σεαυτόν, gnōthi seautón, conosci te stesso – e lo trasforma in un abito. 

La giacca non risponde all’urgenza di ritrovare il sé, ci invita a inseguirlo, a giocare con i suoi fantasmi e a raccontarci attraverso i segni.

Così ci si ricongiunge con una parte più intima e umana, l’autopercezione. Elsa non si piace: da piccola, per abbellirsi, aveva provato a piantare dei semi nel naso e nelle orecchie, con un esito scontato. Questa insoddisfazione bruciante le rimane e perciò sente la necessità di abitare spazi simbolici più ampi, di travestire l’insicurezza con l’onirico. Attraverso la moda, Elsa crea il proprio fantasma, alla maniera barthesiana: uno scenario ideale, un’identità alternativa, una proiezione di sé nel firmamento dell’immaginario.

Forse è proprio questo il motivo per cui gli astri costituiscono la cifra di Schiaparelli: l’oroscopo ci parla senza rappresentare il reale, proponendo una forma in cui ripararci.

Come Schiaparelli, anche noi cuciamo il nostro immaginario con fili simbolici. E nel farlo, magari, troviamo finalmente un po’ di senso nel caos.

In copertina, Silhouette Schiaparelli hard chic, collezione 1935, “Vogue”, New York, 1 ottobre 1935, disegno di Christian Berard © Maison Schiaparelli

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