Songavazzo / Paesi e città

2 Giugno 2011

Da dove vogliamo cominciare? Facciamo così: da quel giorno di primavera del 1991 in cui presi la decisione di venire a vivere a Songavazzo (abitanti attuali 698), uno dei sette comuni alle Falde della Presolana, la Regina delle Orobie (Prealpi di Lombardia, per capirci). La frase fatidica uscì dalla mia bocca alla vigilia del mio primo viaggio in USA dove feci anche la mia prima reading pubblica, all’Earth Day di Albany, stato di New York. A pensarci ora, ehi, andai all’Ovest e come rientrai in Italia, andai al Nord. Va bene, non esageriamo: dopotutto venivo da Monza, e sebbene il mio sangue parli siciliano lì ero nato e lì ero cresciuto, cercando in ogni modo di andarmene. Un grande balzo in avanti. Avevo ventisette anni e da grande volevo fare lo scrittore. E poiché amavo tutto ciò che era vicino alla natura e alla parte spirituale della Vita (e dunque della Letteratura), questa mi sembrò una buona idea.

 

Ciò che mi ha sempre colpito della vita di paese, in montagna, è la forte caratterizzazione degli eventi quotidiani. Magari meno sfumature ma più definizione – più contrasto nei colori, che si fanno tenui quando lo decide la Terra, non lo smog. E tutto questo con la Madre Terra che anche in questa Lombardia devastata dal cemento (seconde case, capannoni, e tutto il resto) ha una pulsazione forte e che in due decenni mi ha dato modo di comprendere.

 

Monza e Songavazzo hanno in comune il fatto di essere provincia. E in Italia, la provincia è tutto. Gran parte degli italiani è provinciale ma si nutre di notizie, modi di essere e di pensare che i mass media scaraventano come olio bollente sulle nostre esistenze di Città–dini. Ma noi non siamo Città–dini, noi siamo Provincia–li. Quando venni qui, la mia serenità scaturiva dal poter aprire gli occhi al mattino e vedere La Presolana. Allora io non ne conoscevo ogni sentiero e quasi ogni angolo come oggi, vent’anni dopo. Ma guardare le montagne, e immaginare cosa stava dietro e come arrivarci, poter leggere, passeggiare, respirare e studiare le cose che amavo e che amo di più, era per me motivo di meraviglia. Mi sentivo in un mondo lontano, al riparo da troppe cose che la mia pelle sottile anche oggi non riesce a reggere a lungo.

 

Il mio paesello sta sotto il Monte Falecchio, luogo ameno al quale si accede da una strada breve e ripida che conduce a un altopiano straordinario. Sotto un noce ho trascorso lunghe ore a ricordare le estati da bambino e a leggere, prendere appunti, cercare di capire i meccanismi di chi vive in paese e ha la casa lassù, a pochissimi minuti di distanza dal paese. Come dalla mia cucina, anche da Falecchio La Presolana e le sue distese di roccia sono una voce che sussurra segreti difficili da carpire circa la vita dell’uomo in montagna, oggi. Ma da lassù vedo anche altri due altopiani: quello di Castione e quello di Clusone: terre sospese, confini e orizzonti. Vicino, ai nostri piedi, pulsa il lago d’Iseo ma a poche decine di chilometri, l’Adamello e i suoi enormi ghiacciai sono un altro respiro fondamentale. E la sera, il silenzio.

Da tutto questo sono nate tante cose: le idee per i miei viaggi, la voglia di esplorare Ognidove, perché io sento – io so – che alla fine, il Canto Invisibile è solo uno, che l’Anima Mundi è sempre quella, che Il Grande Uomo ci parla ogni giorno.

 

Voi direte: ma a Songavazzo, abitanti 698, c’è tutto questo? Chissà. Di sicuro c’è quella cosa che mi permette di alzare ogni giorno gli occhi al cielo e di vederlo; di accarezzare un tronco di larice e di sentirlo parlare. Di attendere la sera e conoscere la forza del silenzio. Di sapere che qui è nato mio figlio, un bambino che sembra avere già assorbito dalla terra alta i messaggi profondi che per lui sono l’imprinting e non qualcosa di acquisito. Qui c’è ancora una voce tenue che al risveglio, ogni giorno, mi assicura che nella Provincia del Tempo ci siamo anche noi.

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