Dal corpo della nazione al corpo individuale / Forza Nuova e Casa Pound d'Italia

3 Dicembre 2018

Diverso è il discorso per due altre organizzazioni, la cui visibilità mediatica è senz’altro maggiore rispetto a quella di tanti gruppi che le hanno precedute. Alla fine degli anni Novanta va sviluppandosi Forza nuova. Nel triennio 2005-2008 si consolida il progetto di CasaPound Italia. A tutt’oggi sono le due forze maggiormente significative sul piano nazionale per ciò che resta (o rinasce) dell’ampia galassia neofascista. Entrambe nascono sulla scorta di progetti o comunque di sollecitazioni provenienti dagli ambienti della ex militanza in Terza posizione, ed in particolare con le figure di Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi. Forza nuova data la sua nascita al settembre del 1997. Roberto Fiore e Massimo Morsello (deceduto poi nel 2001) ne sono dall’inizio i maggiori esponenti.

 

La nuova organizzazione si origina come componente interna alla Fiamma Tricolore di Rauti, dalla quale si separa nel momento in cui quest’ultimo si oppone alla distribuzione del bollettino Foglio di lotta, firmato dai due esponenti. L’obiettivo è quello di raccogliere tra il dissenso giovanile interno alla destra radicale organizzata (nella quale le dinamiche conflittuali tra verticismo gerarchico e spontaneismo militante sono sempre state accese), i gruppi di neofascisti alla ricerca di un approdo e i componenti del mondo skinhead. Anche per questo, al di là degli abituali riferimenti al simbolismo della destra radicale, lo sforzo della nuova formazione politica è stato quello di trovare un punto di sintesi tra tre filoni: le componenti sociali e antagoniste, in parte già politicizzate ed in parte no, legate comunque al microuniverso fascistizzato, il circuito nazionalrivoluzionario (di cui per l’appunto Fiore, Morsello e Adinolfi erano stati esponenti nei due decenni trascorsi) e la destra tradizionalista e conservatrice (i rapporti con cattolici di Christus Rex o Militia Christi per iniziative contro l'aborto e l'American way of life, con il boicottaggio contro le multinazionali come McDonald's, Blockbuster, Planet Hollywood).

 

L’attenzione al tema demografico e a quello della criminalità comune ha costituito un valido terreno di incontro. Il modello organizzativo di Forza nuova si rifà ad omologhe formazioni di destra estrema presenti in Europa, orizzonte verso il quale fin dall’inizio la formazione politica orienta la sua attività. Ispirata al tradizionalismo cattolico, alla xenofobia, al nazionalismo, al corporativismo, con un particolare simpatia nei confronti del peronismo, nel suo programma politico indica alcuni obiettivi prioritari: abrogazione dell'aborto; messa fuorilegge della Massoneria; «blocco dell'immigrazione e l'avvio di un umano reimpatrio»; «ripristino del Concordato e difesa delle tradizioni»; «sradicamento dell'usura e del debito pubblico»; sostegno alle famiglie e alla natalità; cancellazione delle leggi Mancino e Scelba. Il sovranismo e l’euroscetticismo sono parte integrante di quello che viene presentato come un processo di «ricostruzione nazionale». Pur nelle sue limitate dimensioni Forza nuova ha concorso ha formare una nuova generazione di quadri neofascisti, soprattutto a Roma, nell’Italia meridionale e nel Triveneto. La sua offerta politica si è poi articolata nell’opposizione militante ai GayPride, nell’invito a «comprare italiano», nell’ostilità verso l’immigrazione, soprattutto se islamica, quindi nel rifiuto opposto alla costruzione di luoghi di culto musulmani, nei richiami continui alla lotta contro la «speculazione finanziaria», nelle manifestazioni contro l’Unione europea e l’«eurocrazia», nell’organizzazione di ronde urbane per la sicurezza e il presidio del territorio, nella richiesta di nazionalizzare le banche e i settori strategici dell’economia nazionale.

 

Omofobia, lotta alla diffusione dell’«ideologia Gender» e antitziganismo sono tre elementi essenziali dell’identità di Fn. Dotata di una buona disponibilità finanziaria, Forza nuova si è ripetutamente impegnata in attività economiche per commercializzare prodotti che richiamino l’ideologia di riferimento. A fronte dei trascurabili risultati elettorali (anche in coalizione con altri gruppi come il cartello Alternativa sociale di Alessandra Mussolini), il partito ha sempre dato molta importanza alle iniziative europee, organizzando incontri con le formazioni politiche omologhe presenti nel Continente e guardando con interesse alla Russia di Vladimir Putin. In questo senso, oltre ad un nazionalismo classico, Fn ha spesso manifestato la sua propensione per una sorta di nazionalismo europeo che riecheggia, ancora una volta, i temi che già il nazionalsocialismo aveva abbozzato durante gli anni della guerra. Rilevante, al riguardo, oltre agli episodi di intolleranza, alle manifestazioni di xenofobia e omofobia, di antisemitismo e di negazionismo attribuite ad alcuni militanti dell’organizzazione, è l’attestato di veridicità attribuito sia al cosiddetto «piano Kalergi», ovvero l’ipotesi di un progetto migratorio di massa dall’Africa all’Europa per colonizzare quest’ultima (in una sorta di colonialismo demografico di segno capovolto), che all’«ideologia gender» (la convinzione che si stia procedendo ad una commistione tra i sessi, volta a stravolgere le differenze naturali).

 

Più in generale il tema del corpo individuale, ossia della sua gestione, autonomia così come trasformazione e manipolazione è tornato ad essere un elemento strategico nella definizione dell’identità neofascista. Dopo decenni di attenzione per le dinamiche collettive, il mutamento di indirizzo della politica – un’arena nella quale l’individualità e l’attenzione a tratti ossessiva per la soggettività hanno ripreso piede – sta influenzando l’agenda della destra radicale, orientandone quindi i contenuti. Alcune di queste considerazioni possono valere tanto più per l’altra organizzazione di rilievo nell’attuale panorama del radicalismo di destra. CasaPound Italia (CPI) si è imposta come soggetto sociale e quindi mediatico, prima ancora che come formazione politica, aspirando, con buone possibilità di successo, ad assumere un ruolo egemonico tra i giovani di estrema destra. Come tale, costituisce un progetto che ha raccolto l’interesse di altri paesi. Il fulcro della sua proposta sta nel qualificarsi prima di tutto come centro territoriale di aggregazione sul piano socioculturale, proponendo argomenti e autori «non conformi», ossia presentati come antagonisti al «pensiero unico» che dominerebbe il resto della società. I temi neofascisti sono riccamente presenti ma declinati non come una dottrina unitaria bensì come ipotesi di costruzione dell’identità di gruppo e, in immediato riflesso, nella formazione delle singole persone che lo compongono. CPI nasce nel 2003 dall’incontro tra Gabriele Adinolfi e alcuni giovani della destra capitolina, già transitati attraverso altre esperienze organizzative (da Alleanza nazionale agli skinhead) ma insoddisfatti dei risultati ottenuti. L’obiettivo comune non è quello di creare un partito bensì una «comunità di destino», un’aggregazione basata sul rimando alla tradizione culturale della destra radicale rivissuta attraverso gli strumenti, i linguaggi e le azioni della modernità. In quest’ultimo aspetto CPI gioca la carte dell’innovazione sistematica. Un altro asse fondamentale della sua proposta, che recupera la vecchia ma inossidabile suggestione della metapolitica, è il dedicarsi ad una pratica tradizionalmente fatta propria dalla sinistra radicale, ossia l’occupazione di edifici e di stabili abbandonati per farne luoghi d’abitazione, di aggregazione e di socialità, tuttavia aperti ai soli italiani, secondo una precisa discriminante etnica. Le «occupazioni non conformi» alle quali il movimento si dedica, si inscrivono dentro una tale piattaforma. La loro non conformità consiste essenzialmente nel non volere essere confusi con i centri sociali autogestiti della sinistra radicale.

 

 

A Roma in un primo tempo, tra il 2004 e il 2008, CPI ha intrattenuto rapporti diretti con la Fiamma Tricolore e di natura elettorale con La Destra di Storace. Il gruppo, che ruota intorno a Gianluca Iannone, si è poi però autonomizzato del tutto, dichiarandosi composto da «fascisti del terzo millennio», depositari del modello avanguardista, sansepolcrista e antiborghese del primo fascismo, quello squadristico che si manifestò tra il 1919 e il 1922. Nel 2008, infatti, l’uscita dalla Fiamma, la costituzione in associazione di promozione sociale e lo sviluppo di una serie di organizzazioni collaterali, di natura sportiva, ambientalista, solidarista, insieme al radicamento della componente giovanile organizzata nel Blocco studentesco, hanno dato forma definitiva all’esperienza indipendente di CPI. La connessione tra il massiccio ricorso alla multimedialità, l’uso della musica come elemento sia di aggregazione che di promozione ideologica nonché l’attività di piazza, dagli inconfondibili connotati militareschi, è una miscela che ha garantito al movimento una buona visibilità mediatica, comunque superiore alle sue effettive forze e risorse.

 

Anche l’ospitare nella propria sede romana dibattiti con “avversari” o comunque con personaggi pubblici non identificabili direttamente con l’area politica radicale, ha costituito un elemento di forte innovazione. La messaggistica e l’iconografia pubblica è modulata con grande scaltrezza, mischiando temi della tradizione neofascista (il futurismo) con soggetti che ne sono invece estranei (ad esempio l’icona di Che Guevara, la figura di Rino Gaetano, quella del militante antimafia Peppino Impastato), in una commistione di generi molto pop, dove però ciò che viene costantemente ribadito è il principio della ribellione individualista, eroica e militante, al «sistema». Di tale ribellione CasaPound dichiara di volersi fare carico, assumendone la rappresentanza politica. In quest’ordine di considerazioni rientrano anche la battaglia per l’istituzione di un «mutuo sociale» (ossia privo di interessi), da offrire agli italiani senza casa, il «tempo di essere madri», assegno integrativo del congedo di maternità, le iniziative polemiche contro le agenzie di riscossione fiscale, la richiesta del controllo pubblico del sistema bancario e finanziario, l’euroscetticismo. Molto più contenuti, invece, sono stati fino ad oggi gli accenti omofobi, xenofobi e islamofobi, così come la posizione in campo religioso rimane tendenzialmente aconfessionale, benché il riferimento alla radici cristiane come ad una sorta di identità di stirpe sia netto. Da tutto ciò non è derivata tuttavia nessuna acquiescenza verso gli avvesari politici né un aperto ed incondizionato rifiuto della violenza. Ripetuti, infatti, sono stati gli episodi che hanno visto protagonisti militanti o simpatizzanti di CPI impegnati in scontri di piazza. Politicamente, dopo i fallimentari tentativi di dare vita a liste autonome, si è arrivati ad un accordo con la Lega di Matteo Salvini, anche se è del tutto plausibile che Casa Pound, che condivide con l’alleato i temi dell’identitarismo e del differenzialismo, cerchi in futuro strade ancora una volta in piena autonomia. 

 

Cosa resta, cosa inizia: prendere i neofascismi e la destra radicale sul serio

 

Posto questo percorso storico, quali possono essere le principali caratteristiche della destra radicale oggi? Essa sussiste senz'altro come arcipelago di gruppi variamente articolati, sospesi tra l'essere partito politico, aggregazioni continuative a sfondo sociale, movimenti più o meno effimeri. Attraverso questo microuniverso di soggetti in mutamento, ha quindi rinegoziato con se stessa i suoi presupposti culturali, ideologici e politici. Oggi, la destra radicale si dà essenzialmente come tentativo di risposta ai processi di globalizzazione, di cui denuncia la logica omologante. Lo fa sollecitando, nelle società in crisi di ruolo e funzioni, il bisogno di recuperare una dimensione comunitaria, su base etnica, basata sul riordino dei due assi spiazzati dalle crisi indotte dalla «mondializzazione», lo spazio e il tempo. Il primo di essi è abbandonato a sé dalle élite e recuperato dalla destra radicale attraverso la sua presenza radicata nel territorio. Al secondo, il tempo accelerato e polverizzato clamorosamente dai mutamenti tecnologici in corso, è contrapposta una prospettiva possibile, quella della restaurazione di un ordine di senso su base rigorosamente gerarchica e verticale. Si tratta di dare vita, dal caos delle contaminazioni, ad un nuovo ordine. Il social housing di CasaPound si ridisegna su queste coordinate, ben sapendo che l’appello politico è in se stesso oramai del tutto insufficiente in tempi di “società liquida”. Il pensare la destra radicale esclusivamente come area politica, o comunque come spazio della politica, di prassi induce a ricondurne i contorni e il perimetro all’interno dell’universo neofascista e, per estensione, a quello neonazista. C’è molto di ciò, in effetti.

 

Ma la nozione medesima di destra radicale, con le trasformazioni intervenute nel campo della politica, è decisamente più composita. Si pensi, ad esempio, alla pervasività del fenomeno populista, alla sua grande rilevanza nell’età che stiamo vivendo, per più aspetti alla sua irriducibilità rispetto a categorie, concetti e pensieri maggiormente rodati. Nel populismo, infatti, precipitano esperienze concrete e significati ideologici tra di loro anche conflittuali, tenuti insieme dal rimando al «popolo» come entità dotata di una sovranità assoluta, diretta, immediata, capace di esprimere una volontà massificata, unificata, onnisciente, unidirezionale, a tratti quasi mistica. Una mistica «del e per il popolo», quindi, di cui già un Mussolini, a suo tempo, nel fare l’elogio dell’«Italia proletaria», capace di contrapporsi energicamente alle «demoplutocrazie», si riteneva depositario. Per buona parte della destra radicale il termine medesimo di popolo rinvia, quanto meno implicitamente, ad un’unità organica di individui etnicamente omogenei. Il populismo comunitario è un’interessante sintesi di questo trend sociopolitico. Il quale, peraltro, si alimenta della specularità tra crisi degli ordinamenti democratici, fatto che si sta verificando un po’ in tutti i paesi a sviluppo avanzato, e loro sostituzione con forme di rappresentanza degli interessi e della collettività attraverso identità “popolari”, che non rinviano ad appartenenze di ceto o di classe ma ad una sorta di comunione degli indistinti, raccolta dalle rivendicazioni di formazioni politiche che nutrono una visione totalitaria dell’azione politica. In essa non c’è conflitto e mediazione ma solo distruzione del nemico, ossia di chiunque non sia identico all’idea che si nutre di se stessi.

 

La centralità del discorso sul mito, in questo caso, è indiscutibile: il mito delle origini, il mito delle tradizioni, il mito dell’identità, il mito dell’unità organica. L’esistenza, quindi, come realizzazione del mito attraverso il sodalizio degli identici. La destra radicale da sempre si è andata facendo aedo e vessillifero della centralità del «politico» – inteso come sfera di realizzazione della dimensione spirituale, organicista e gerarchica della società – di contro alla gratuita brutalità della sfera economica e materiale, di cui la democrazia, come governo della mediocrità, costituirebbe un punto di non ritorno. Enfatizzando quindi la vittoria del primo sulla seconda, si investiva del carattere di portatrice di utopia a venire. Il mutamento in corso a tutt’oggi apre ad inedite possibilità di intervento politico. Il discorso etno-differenzialista, la socialità comunitarista di contro al senso vertiginoso di perdita dei confini che la globalizzazione induce in molti, la difesa dello spazio come del luogo non solo di una tradizione identitaria ma di una più generale comunione tra identici, sono diventati snodi strategici nella riformulazione di una posizione d’intervento politico diretto. Anche da ciò si dipana il tessuto ideologico e simbolico della nuova destra radicale, con le sue articolazioni a rete, a volte ancorando e incorporando anche significati e posizioni tra di loro in conflitto se non antitetiche: sovranismo e comunitarismo identitario; anti-signoraggio bancario e finanziario; nazionalismo e «piccole patrie»; tradizionalismo e religiosità acritica, fondata sulla «guerra dei simboli»; rifiuto dell'immigrazione in quanto atto d'«invasione»; ossessione per il controllo sessuale (rapporti intimi e relazioni sociali tra soli omologhi); riduzione del discorso politico a richiamo emotivo (sulla scia già tracciata, a suo tempo, da Mussolini); elitismo (il governo non degli eletti ma dei prescelti dallo «Spirito») coniugato a populismo (appello al popolo come massa indistinta, alla quale richiamarsi per accreditarsi come sua esclusiva espressione politica); ma anche il socialismo nazionalista; l’interventismo e l’elogio dell'atto di forza; il rifiuto radicale dell'islamismo politico oppure, in specularità rovesciata, l’identificazione integrale in esso, soprattutto nella sua versione sciita e in quella jihadista. Da ultimo, un’irrisolta tensione tra il rimando alla statolatria tipica del vecchio fascismo e il sogno di un «impero» continentale, quest’ultimo debitore del nazionalsocialismo.

 

Una tale intelaiatura di suggestioni si rivolge, non a caso, ad una pluralità di destinatari. La triade composta dal populismo, dal comunitarismo e dall’identitarismo dichiara di volere difendere, a spada tratta, la dignità dei nuovi oppressi, tali perché espropriati prima di tutto del diritto a mantenere e a coltivare la propria specifica identità. All’anarchia del presente, alla sua opacità, alle insopportabili iniquità che lo connotano, elementi funzionali all’ingiusto arricchimento dei pochi, si contrapporrebbe quindi la possibilità di tornare ad un mondo migliore, dove le distinzioni tra giusti e ingiusto, tra superiore e inferiore, tra morale e corrotto, tra sano e insalubre verrebbero così ripristinate. Il condimento di questo modo di vedere le cose, che riesce in parte a dare forma alla crisi di significato che la globalizzazione innesca è ancora una volta la nostalgia per un passato che dovrebbe invece essere ripristinato integralmente. Il passato dove, per l’appunto, vigeva un equilibrio tra le parti poiché ognuna di esse «stava al suo posto». Una sorta di corrispondenza di questa ad un’unità organica, ad un unico centro, di contro al tempo corrente, quello del conflitto senza mediazione, della sopraffazione, della distruzione. Immagine nel suo complesso suadente, seducente, in grado di lenire il senso della deprivazione e che offre una specie di piccolo risarcimento morale, magari da spendere come bonus in politica. Va riconosciuto che si ha a che fare, oggi più che mai, con una destra radicale che è passata da posizioni di mera restaurazione o conservazione (ovvero, come si sarebbe detto un tempo, di collocazione «reazionaria») a soggetto in costante movimento, che ambisce a mobilitare una parte delle collettività non solo sul piano politico ma anche e soprattutto sociale.

 

Quest’area registra, a modo suo, la crisi della “vecchia” politica e della rappresentanza democratica, ossia la loro subalternità rispetto a quei processi decisionali che oggi contano più che mai nel determinare prosperità o declino delle comunità umane. Se la democrazia si riduce a «governance» e se l’esercizio di questa è delegato, nei fatti, a organismi e soggetti che non sono il prodotto di un processo partecipativo bensì di un’auto-attribuzione di potere da parte di gruppi d’interesse corporati, il vuoto di rappresenta reclama d’essere in qualche modo colmato. Così facendo, il radicalismo politico si rivolge a quelle ampie parti di società che si sentono abbandonate a se stesse, dicendo loro: «sarò io a rappresentarvi dinanzi all’indifferenza delle élite traditrici e defezioniste». Non è un caso se la polemica “antiborghese” (i ricchi parassiti, che si ingrassano ai danni del popolo, anzi, della «nazione», la quale sarebbe la verace depositaria interclassista dei più autentici valori della «stirpe») abbia da tempo ripreso pieno vigore nel neofascismo. Il quale, da sostegno per «maggioranze silenziose» iperconservatrici, espressione del comune sentire di una parte del ceto medio dei decenni trascorsi, ha ora invece di nuovo rivestito i panni del plebeismo. Questa destra radicale ambisce in qualche modo a rappresentare il territorio sociale dell’esclusione, ossia gli individui che si trovano ancorati ad esso e che lamentano la loro marginalizzazione dai processi di cambiamento in atto. Lo fa indicandogli delle cause di disagio immediatamente condivisibili: immigrazione, «poteri forti», furto del lavoro e del territorio, complotti e così via. La forza del radicalismo di destra, infatti, è direttamente proporzionale alla crisi della democrazia sociale. Più indietreggia la seconda, maggiori sono gli spazi per il primo, presentandosi come falsa risposta a problemi e disagi invece reali e diffusi. Così è stato nel passato, così sarà ancora per i tempi a venire.

 

Questo testo è estratto dal libro di Claudio Vercelli, Neofascismi, edizione del Capricorno, 2018, p. 188,

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