Pasolini Superstar

22 Marzo 2012

Il 5 marzo ricorrevano i novant’anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini. L’avvenimento, oscurato dalla morte di Lucio Dalla - si sa che nella stessa giornata non si possono accostare morti celebri - è servita ai mezzi di comunicazione generalisti per utilizzare la figura del poeta con i più strumentali intenti. Nel giorno in cui la protesta dei No Tav si infiammava dal punto di vista mediatico grazie all’autogol dei valsusini, innescato a causa della ripresa delle offese di un ragazzo a un suo coetaneo esponente delle forze dell’ordine, molti Tg non perdevano tempo a tirare fuori dal cassetto la poesia di Pasolini scritta all’indomani degli scontri di Valle Giulia del 1 marzo ‘68, Il Pci ai giovani!!, sbandierando ai quattro venti che Pasolini aveva visto lungo e che ancora oggi sarebbe stato dalla parte dei poliziotti. E la commemorazione finiva nel momento in cui la pragmatica demagogica terminava il suo corso, con una poesia decontestualizzata e strumentalizzata al solo scopo di far cambiare l’orientamento di qualche sprovveduto telespettatore sui fatti della Val di Susa. Insomma uno dei più importanti, controversi e sinceri pensatori del novecento italiano per un giorno è stato solo il protettore dei poliziotti, l’intellettuale che difende la “pecorella”. D’altronde meglio non aprirli altri cassetti, meglio non guardare gli ultimi vent’anni di politica italiana attraverso gli occhi di Pasolini, ci si potrebbe bruciare. Cosa è più infiammabile del petrolio?

 

 

Petrolio appunto, antiromanzo per eccellenza di Pier Paolo Pasolini rimasto incompiuto, avremmo dovuto avere 2000 pagine e ne abbiamo 500. Intorno a Petrolio ragiona Pasolini Superstar, folle spettacolo di Kolossal Kitsch Teatro, ovvero Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi, con una parabola che gioca d’azzardo sia dal punto di vista formale che contenutistico. Gli appunti di Petrolio si legano infatti alla mitologia sull’omicidio dell’idroscalo e soprattutto al saggio di Giuseppe Zigaina, pittore amico del regista di Accattone, secondo il quale Pasolini sarebbe l’autore/creatore della propria morte in nome di un sacrificio culturale supremo. “La sua morte come un linguaggio destinato a incrementare di senso la totalità della sua opera” scriveva Zigaina nella prefazione del testo. Sono anni d’altronde che Morgan e Carrissimi girano intorno al controverso dibattito: già in Delitto Pasolini portavano in scena la tesi di Zigaina con un approccio preparatorio e tutto incentrato sul misterioso omicidio. In questo Pasolini Superstar, che ha debuttato la scorsa stagione e replicato quest’anno all’interno di Drammaturgie corsare - rassegna al Teatro Orologio di Roma (gestito in parte proprio da CKTeatro) - e al Teatro Biblioteca Quarticciolo, la morte del poeta è solo il punto di arrivo dell’esplorazione scenica di alcune delle vicende che vedono protagonista Carlo Valletti, maschera vuota e silenziosa indossata proprio dal regista Fabio Morgan.

 

 

La scena è straniante. Morgan fa di tutto per ispessire la quarta parete: le sequenze recitate avvengono dietro a schermi che a seconda di come vengono illuminati diventano velatini trasparenti agli incontri del Valletti con il potente di turno (petrolieri, generali golpisti, Andreotti, un mafioso alla Totò Riina), oppure pareti sulle quali l’occhio dello spettatore deve rintracciare l’origine dell’immagine diluita tra fotografia e dipinto nella quale si muove il silente protagonista insieme a misteriose figure quali sceicchi, famiglie borghesi da mulino bianco, i protagonisti dell’omicidio Moro, fino ad arrivare a quella calda notte d’estate all’idroscalo e al compimento del sacrificio. I video vengono proiettati contemporaneamente alle scene recitate creando un contraltare iconografico fatto di surreali iperboli nelle quali il protagonista si lascia andare a masturbazioni e coiti con i personaggi che della Storia dovrebbero far parte. Il Valletti di Morgan è Pasolini che si sacrifica - tra una scena e l’altra la maschera del Poeta viene illuminata e una voce registrata imita i toni di quella cantilenante cadenza, che in un lirismo posticcio declama i possibili versi di una morte annunciata - ma è anche l’italiano medio che se ne infischia della Storia e che tutto accetta, pure la strumentalizzazione di una poesia, proprio come il Valletti con quell’unica parola che a ogni quadro pronuncia: “accetto”.

 

Andrea Pocosgnich (Teatro e Critica)

 

 

 

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