Vladimir Nabokov
Riga, una collana che avvicina ai grandi innovatori del Novecento
Riga è nata nel luglio del 1991 senza nessun particolare programma. Volevamo piuttosto fare la rivista «che ci sarebbe piaciuto leggere». Una rivista dedicata al contemporaneo, ad autori e temi che ci sembravano rilevanti nel corso dell’ultimo secolo, ma non solo. Una rivista che conservasse la memoria del passato, e insieme che si protendesse sul futuro.
Marco Belpoliti, Elio Grazioli
A cent’anni dalla nascita, mentre la critica internazionale lo indica, insieme a Beckett e Borges, nella triade maggiore del secondo Novecento, persiste intorno a Nabokov un alone di elusività. Notissimo il suo nome - legato soprattutto a Lolita - relativamente poco frequentati i suoi testi, molti dei quali scomparsi dai cataloghi editoriali, alcuni appena riaffiorati negli ultimi anni.
Eminente scrittore russo nella Berlino degli émigrés, diventa negli anni ’40, con una stupefacente metamorfosi, un grandissimo scrittore americano, trasferendo negli Stati Uniti lo straordinario impasto di cultura russa, inglese e francese di cui era portatore. Linguisticamente e culturalmente extraterritoriale, Nabokov rappresenta un’idea di letteratura fondata sulla moltiplicazione illusionistica di un’immaginazione centripeta. Estraneo all’impegno sociale e all’insegnamento morale - cari a certo realismo letterario - prende a smantellare con gioiosa iconoclastia i luoghi comuni e le convenzioni letterarie. Dal non luogo del suo esilio picaresco costruisce trame parodistiche, attraversate da giochi verbali, lampi ironici, sgomenti metafisici.
Mentre negli Stati Uniti è finalmente disponibile un’edizione critica di tutti i racconti, in Europa si moltiplicano le traduzioni e le monografie critiche, in Russia circolano ovunque edizioni pasticciate dei suoi romanzi impugnati come stendardo del postmoderno, in Italia continua, sia pur lentamente, la ripubblicazione delle sue opere. Ma l’attenzione resta torpida e un po’ imbambolata, pur nel fervere delle iniziative per il centenario della nascita. Anche la vicenda del secondo film tratto da Lolita, per la regia di Adrian Lyne, non fa che confermare questa tendenza. Sia per le caratteristiche intrinseche del film (formalmente aderente al testo, ne manca abbastanza clamorosamente la sostanza parodistica che era invece presente nel pur meno filologico lavoro di Kubrik; il registro del film resta quello di una drammatica ossessione, laddove nel romanzo il delirio lirico-tragico di Humbert Humbert produce continuamente derive di struggente umorismo), sia per il tipo di interesse scandalistico che continua a suscitare (innumerevoli gli interventi su giornali e riviste in occasione della prima mondiale in Italia del film, piuttosto debole l’interesse del pubblico).
Esiste sì uno «scandalo Nabokov» - e non è certo quello della «ninfetta». Sulle sue caratteristiche e ragioni profonde si è cercato di indagare in questo numero di «Riga», proponendo un invito alla lettura libero da pregiudizi, poiché il vero «scandalo Nabokov», in Italia, è che lo hanno davvero letto in pochissimi.
Il volume si apre come sempre con alcuni contributi letterari. Questa volta tutti sotto il segno dell’omaggio parodistico: dai versi densi di Anthony Burgess, all’esilarante racconti di Stanley Elkin, ai mimetismi di Marco Ercolani.
I testi di Nabokov sono stati scelti tra gli inediti e i dispersi: due racconti attraversati dal mistero, tratti dalla raccolta A Russian Beauty, mai apparsa in Italia; alcune poesie (un versante poco noto e pur importante della sua produzione); un brano dalla sceneggiatura nabokoviana per la Lolita di Kubrik, episodio assente sia nel romanzo come nel film. Concludono questa parte due conversazioni inedite e una ricca cronologia bio-bibliografica.
Segue una sezione di saggi critici e articoli, sia di carattere generale, sia centrati sui romanzi più importanti che privilegia i contributi di scrittori – i più adatti a entrare in contatto con il mondo di un autore difficile da avvicinare con strumenti critici tradizionali. Apre Vladislav Chodasevich con un saggio sul giovane Sirin (pseudonimo di Nabokov negli anni ’30 a Berlino), il primo illuminante testo sul nostro autore. Accanto agli studi che vanno in profondità su alcune singole opere (Mary McCarthy su Fuoco pallido, Gabriel Josipovici su Lolita, Frank Kermode su I bastardi, Brian Boyd su Ada), alcune messe a fuoco su aspetti e modi nabokoviani (da Gorge Steiner a William Gass, ai francesi Philippe Sollers, Gilles Barbedette, Maurice Couturier), inframezzati dalle intense testimonianze di John Updike, Alfred Appel jr. e Dmitri Nabokov. Un’attenzione particolare ai contributi italiani è testimoniata dagli scritti di Alberto Arbasino, Pietro Citati, Giorgio Manganelli e Claudio Gorlier, fra i pochissimi nel nostro paese ad aver colto la grandezza di Nabokov.
Vengono infine alcuni saggi, scritti appositamente per «Riga», di autori italiani che propongono analisi e riflessioni su aspetti poco indagati della sua opera: una prima ricognizione di Stefano Bartezzaghi tra i giochi linguistici di Nabokov in vista di un «sommario nabokoviano» che guidi il lector ludens; cinque rapide messe a fuoco di Marco Belpoliti sui romanzi ripubblicati in Italia; la passione entomologica del cacciatore di farfalle raccontata da Francesco M. Cataluccio; un mobile affresco della Berlino degli émigrés di Caterina Graziadei; e ancora, la fortuna critica in Russia nella mappa tracciata da Mauro Martini; un’indagine sul rapporto tra Nabokov e la critica italiana, cercando ragioni degli equivoci e degli incredibili vuoti, di Elisabetta Porfiri; la passione per i dettagli nelle lezioni di letteratura del professor Nabokov di Massimo Rizzante; la cromoestesia e il colorato mondo delle parole nel saggio di Luigi Sasso; la poesia come luogo protetto e sponda del testo nelle note di Maria Sebregondi.
Chiudono il volume i contributi figurativi di Daniel Dezeuze, che offre le sue farfalle in omaggio al prezioso tema-chiave di Nabokov, e di Vincenzo Cabiati, che affianca l’immagine tratta da un fotogramma del Lolita di Stanley Kubrik alla rigidezza retorica del gesto degli Orazi di David, rimandando il contrasto nel titolo a un’aperta questione del padre.