I Sacri Monti / Un pellegrinaggio gerosolimitano in surplace

1 Luglio 2019

Alla fine del quindicesimo secolo, mentre la flotta ottomana spadroneggiava sul Mediterraneo orientale rendendo impossibile ai cristiani il pellegrinaggio verso i luoghi santi di Gerusalemme, due furono i modi, entrambi dettati dalla fede e presieduti dalla capacità immaginifica, con cui, nelle nostre terre, si ovviò all'impedimento: il primo, più solipsistico e riservato ai pochi alfabetizzati, consistette nel figurarsi ciascuno da sé il proprio viaggio inventandoselo a partire dalle suggestioni evocate dalla lettura dei diari di chi lo aveva realmente compiuto; il secondo, invece, molto più teatrale, corale e popolare, fu quello di ricostruire in patria gli scenari dei luoghi della passione di Cristo, con microarchitetture popolate da statue policrome a grandezza naturale, preferibilmente erette in siti montuosi, da cui derivò loro il nome di Sacri Monti.

L'inventore di questo Gran teatro montano, come cinque secoli dopo lo avrebbe soprannominato Giovanni Testori, fu Bernardino Caimi, vicario dell’ordine dei frati minori del Comune di Milano e già Custode del Santo Sepolcro; mentre il primo a credere in quell'impresa e a finanziarla largamente fu Ludovico il Moro (anche se quei baluardi, poiché posti esclusivamente a guardia della fede, non avrebbero fermato l'avanzata dell’esercito francese che di lì a poco avrebbe causato la sua rovina e ciò contro ogni –  per fortuna da lui mai avanzata – pretesa di ‘Gott mit uns‘ ante litteram). Luogo prescelto fu l’alta valle della Sesia, allora facente parte del ducato sforzesco, oggi invece amministrativamente piemontese.

 

Lo scopo era quello di far sì che, senza solcare il periglioso mare, i fedeli potessero beneficiare della medesima indulgenza plenaria insita nel pellegrinaggio in Terra Santa semplicemente visitando la Nuova Gerusalemme, come Bernardino Caimi aveva battezzato la sua opera che doveva sorgere super parietem a Varallo. 

L'idea fu salutata con entusiasmo da papa Innocenzo VII che il 21 dicembre 1486 concesse al frate milanese l’autorizzazione ad accettare la donazione dei terreni da parte dei maggiorenti varallesi, così che questi, ottenuti dal compiaciuto e illuminato Ludovico Maria Sforza una parte dei fondi necessari, poté dare avvio al cantiere per la costruzione del cammino devozionale.

I lavori, iniziati nel Rinascimento e conclusisi a metà Ottocento, hanno dato origine a cinquanta cappelle, al cui interno sono ‘cinematograficamente’ allestite le scene della Vita e della Passione di Cristo, con più di ottocento personaggi a grandezza naturale, abbigliati con abiti in tessuto vero e con capelli veri, ospitati in ambienti con arredi essi pure veri, in una drammaturgia carica di pathos inducente l'empatia. 

Nei quattro secoli in cui è durata la costruzione del Sacro Monte, a Varallo si sono alternati innumerevoli artisti, alcuni eccelsi, le cui opere hanno reso, tra l'altro, questo luogo sacro un autentico museo di Arte Lombarda che vale sempre la pena di visitare. 

 

Soprattutto in epoca post tridentina, l'esempio di Varallo fu largamente imitato, al punto che oggi si possono contare ben nove Sacri Monti in Lombardia e in Piemonte, dedicati alla rappresentazione degli eventi o misteri della vita di Cristo, della Vergine e di alcuni santi, tutti entrati a far parte, dal 2003, del Patrimonio dell'Unesco. Oltre a quello valsesiano, il sito dell'Unesco comprende anche il Sacro Monte di Santa Maria Assunta di Serralunga di Crea; quello di San Francesco, di Orta San Giulio; quello del Rosario, di Varese; quello della Beata Vergine, di Oropa; quello della Beata Vergine del Soccorso, di Ossuccio; quello della Santa Trinità, di Ghiffa; il Sacro Monte del Calvario, di Domodossola e quello di Belmonte, di Valperga.

 

Orografia e mappa dei nove Sacri Monti, dal 2003 inseriti nel Patrimonio dell’Unesco.


Narratore della loro storia devozionale, delle loro vicende culturali e artistiche e delle vicissitudini politiche che li hanno riguardati è Guido Gentile che nel suo bel libro Sacri Monti, recentemente pubblicato da Einaudi (pp. 280, € 38) approfondisce dottamente ognuno di questi aspetti in uno studio di avvincente lettura, redatto consultando documenti originali conservati in archivi pubblici e privati, nonché mettendo a confronto i sermoni e i testi teologici ispiratori della iconografia di queste narrazione figurate, di questi luoghi della memoria, quali le singole cappelle vengono ad essere. E così, a dar sostanza a quelle concepite dal Caimi per Varallo, scorrono tra le righe le immagini evocate dalle omelie di Bernardino da Siena, accanto a quelle dei predicatori milanesi, molto ammirati dal frate loro conterraneo, quali Michele Carcano e Bernardino de Busti. O ancora le suggestioni suscitate sul suo immaginario dalle opere dei Padri della Chiesa che trattano dei misteri della passione e morte di Cristo, non ultime quelle dello Pseudo Bonaventura. Nel libro, ad esempio, è riportata un’appassionata omelia del Caimi, datata 1488, che sembra essere la prefigurazione del programma teologico-artistico della sua Nuova Gerusalemme, una sorta di rievocazione della mappa mentale dei luoghi santi da lui visitati in prima persona e narrati ai fedeli riuniti per ascoltarlo:

 

«Voglio raccontarvi ciò che vidi con i miei occhi e toccai con le mie mani della passione del nostro amabile Redentore. Vi prego, ascoltate tutti e intendete con gli orecchi del cuore, percepite i luoghi della passione del nostro Redentore secondo l’ordine bellissimo che io, peccatore, fra Bernardino Caimi di Milano, vidi più volte e secondo i quali narreremo la passione. Primo: vidi la casa in cui si incontrarono Scribi e Farisei per trattare la morte di Cristo. Secondo: vidi la casa in cui Cristo andò per essere unto da Maria Maddalena [la leggenda medievale della Maddalena la identifica con la donna che nella casa di Levi unse di balsamo i piedi di Cristo]. Terzo: Vidi il tempio in cui andò Cristo per esservi accolto con onore dalle folle. Quarto: vidi la casa [di Betania] in cui Cristo andò per discorrere con la sua benedetta madre della sua passione. Quinto: vidi la casa in cui Cristo andò per cenare con i discepoli. Sesto: vidi l’orto in cui Cristo andò per essere preso dai soldati. Settimo: vidi la casa di Anna in cui Cristo fu condotto perché si decidesse di lui. Ottavo: vidi la casa di Caifa dove Cristo fu condotto per essere schiaffeggiato. Nono: vidi la casa di pilato dove Cristo fu condotto per essere accusato dai giudei. Decimo: vidi la casa di Erode dove Cristo fu condotto per essere condannato. Undicesimo: vidi il palazzo di Pilato dove Cristo fu condotto per essere dileggiato.  Dodicesimo: vidi il Monte Calvario dove Cristo fu condotto per esservi crocifisso. Tredicesimo: vidi il Sepolcro in cui Cristo fu posto per la sepoltura.»

 

Ma i testi di riferimento nel volume di Gentile sono moltissimi e non vi compaiono soltanto quelli di scrittori ecclesiastici; molte, infatti, sono le suggestive citazioni tratte dalla letteratura laica dei resoconti del pellegrinaggio gerosolimitano che descrivono i luoghi santi e che sono stati indubbie fonti di ispirazione per il Caimi. E neppure vi manca la menzione dei trattati di meditazione che parlano dei ficta loca, o luoghi ideali, in cui era opportuno che il buon cristiano si ritirasse a meditare. Vi si fa inoltre cenno ai procedimenti dell'ars memorandi trasmessi dalla retorica classica a San Tommaso, a Bartolomeo da San Concordio, a Iacopo Publicio e Iohannes Romberch e a come essa potesse essere indotta anche da “luoghi reali come quelli in cui si fissavano immagini emblematiche o allegoriche di nozioni e di argomenti da rammemorare.” Esattamente come accade nei Sacri Monti, che sono al contempo luoghi reali e ficta loca perché frutto di immaginazione.

 

Sacro Monte di Varallo Sesia. Cappella XXXIII, Ecce Homo, con trentasette statue in terracotta policroma opera di Giovanni D’Enrico, coadiuvato dal fratello Melchiorre, realizzate nel 1610 e affreschi di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone, 1610-1616; veduta d’insieme e dettagli.


Dopo una prima parte di carattere introduttivo, in cui Guido Gentile si diffonde lungamente sul Sacro Monte di Varallo (a cui sono dedicate moltissime pagine, con un incondizionato omaggio all'arte e alla drammaturgia di Gaudenzio Ferrari), prototipo di tutti i sacri monti successivi, nel suo libro affronta la lettura dei restanti otto inseriti nel sito dell’UNESCO e di molti altri ancora, esclusi da quella lista ma presenti su tutto il nostro territorio nazionale, dal Piemonte alla Calabria, ed anche quella di luoghi santi europei, facendoci scoprire nessi e contraddizioni, identità e splendide disuguaglianze rispetto al loro modello. Al di là delle differenze, ad accomunarli è comunque l’intento didattico, quello stesso anelito di proselitismo così ben individuato fin dal 1881 dallo studioso inglese Samuel Butler, uno dei primi ad essersi occupato dell'argomento:

«Lo scopo è quello di mettere nel modo più vivace la scena sotto gli occhi della gente che non è capace di immaginarsela da sé, gente che non ha viaggiato e non ha coltivato le facoltà immaginative. Un contadino italiano, come potrebbe figurarsi l’Annunciazione meglio che guardando la cappella del Sacro Monte di Varese? Il senso comune avverte che o non bisogna dir nulla dell’Annunciazione a un contadino, oppure bisogna facilitargli con ogni mezzo la possibilità di concepire quell’idea con qualche chiarezza.»

I Sacri Monti, come scrive Guido Gentile, “rispecchiavano l’istanza di una messa in scena dei misteri tale da renderli attuali nella percezione dei destinatari e da favorirne la persistenza nella loro memoria.”

 

Il suo libro si configura, insomma, come un vero e proprio atlante dei Sacri Monti, ma è anche il trattato filosofico e storico-artistico più completo che sia mai stato scritto fino ad oggi su queste realtà devozionali. Negli ultimi due capitoli, contempla, addirittura, i sacri monti mancati e analizza tipologie di sacri monti particolari, come, ad esempio, il Varallino di Galliate, la Via Crucis di Cerveno e il monte sacro di Monselice con le stupende cappelle progettate da Vincenzo Scamozzi e le tele di Iacopo Palma il Giovane, siti che meritano, tutti indistintamente, una visita ma soprattutto, anche grazie a questo studio, una rinnovata attenzione. 

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