Social in fabula
Eco vs gli imbecilli, sembra il titolo di una saga dei tempi di Rambo, in cui il personaggio principale, l'intellettuale, con una sola frase ha il potere di scatenare fulmini e saette, scontrandosi con coloro che utilizzano i mezzi di comunicazione sine grano salis. Francesco Mangiapane ha categorizzato il grido eroico di Eco come riduzionismo [Eco e gli imbecilli], e a ben vedere la questione della cittadinanza Internettiana delle forme di ontologia concorrenti ha lo stesso peso di un macigno che schiaccia con "k" di follower e visualizzazioni la ragione.
Non so se è un caso, almeno non credo, ma sia prima che dopo la laurea honoris causa, l'occasione dell'affermazione incriminata, il mondo possibile social è stato lo scenario della condivisione a catena delle 40 regole echiane per scrivere bene, tratte da La bustina di Minerva (Bompiani 2000). Dopo quindici anni ritornano in auge, condivise anche da addetti ai lavori che dovrebbero conoscerle a menadito, come se lo scrittore le avesse appena elencate, e chi ha pubblicato il link, non ha nascosto la volontà di alfabetizzare il suo social graph di riferimento, anche con un pizzico di presunzione.
Forse non tutti sanno, o almeno non ricordano, che Eco aveva trovato queste regole per scrivere bene su Internet, lo strumento che tutti si sono sentiti in dovere di difendere dopo i fatti dell'Università di Torino. Sfogliando di nuovo il volume sopracitato, con i polpastrelli che toccano la carta, non un display, si nota che, all'epoca, Eco esplorava Internet come oggetto di studio, spingendosi addirittura nei meandri delle pagine proibite, arrivando a chiamare "pazzo" De Mauro perché aveva contravvenuto allo stereotipo dell'intellettuale, scrivendo, su la Repubblica di sabato 7 novembre 1992, che i giovani, nonostante il loro status da lavativi e da amanti della musica rock, leggevano più di prima. Insomma, Eco, con il sarcasmo che l'ha sempre contraddistinto, metteva alla berlina il suo stesso ruolo perché era ciò che tutti si aspettavano. E da Eco, ottantatreenne, tutti avevano preconizzato l'attacco ai social network, liquidato con laconiche frasi che rimarcavano il suo status di anziano intellettuale, ormai buono solo per spiattellare giudizi di valore su ciò che non conosce. Insomma Eco ha dato pane e circensi al popolo affamato, esternando esattamente ciò che tutti volevano da lui, anche per espiare il rapporto ossessivo con i social network. Eco è stato più efficace dell'indulgenza plenaria, ha rimesso i peccati a tutti coloro che si sentivano in colpa nei confronti del rapporto tra uso smodato dei social e una certa aura intellettuale: è bastato farsi da parte, ossia posizionarsi nella fazione opposta a quella della legione degli imbecilli.
Non c'è bisogno di un social media manager con un master da diecimila euro per spiegare a Eco come funzionano i social network, lui Internet lo usava prima di loro, solo che, per motivi sconosciuti ai più ha deciso di non invischiarsene, ed è una scelta che rientra nel sacrosanto libero arbitrio.
Umberto Eco non ha una pagina fan ufficiale su Facebook, ma può fregiarsi di quella creata automaticamente in base agli interessi degli utenti, che conta 223.609 like. Come i personaggi famosi del mondo dello spettacolo si avvale di qualche profilo falso e di varie pagine satiriche che ora lo paragonano ad altri idoli totemici dell'era social, su tutti Gianni Morandi e Mario Brega, ora fanno gratuita ironia sul suo cognome, Umberto Eco che ripete le cose sulle montagne, o Umberto, erto, erto, erto. Eco. Lo stesso discorso vale per Twitter, dove un profilo utente con il suo nome, dichiarato ufficialmente falso e inattivo da meno di un anno, ha 75.700 follower. Eco, suo malgrado, è presente sui social network proprio grazie all'imbecillità, la debolezza mentale dalle mille sfaccettature soggettive, che lui stesso ha portato al culmine dell'agenda mediale il 10 giugno 2015. Giusto due giorni dopo, il 12 giugno, Selvaggia Lucarelli ha scritto su Facebook un'invettiva che nonostante non fosse direttamente correlata all'affermazione echiana, ha contribuito a farla diventare ancora più rilevante:
«Abbiamo capito che la Cristoforetti è tornata a casa e mi spiace per lei che ora si ritrovi appiccicato addosso il nomignolo AstroSamanta come una cartomante barese, ma davvero, basta. Non se ne può più. C'è tanta gente che lavora mesi su una petroliera o in cantieri sperduti nel mondo o a tirar su le case in Nepal e quando torna a casa si festeggia senza tutta 'sta melassa spaccacoglioni».
Sui social è stata guerra all'ultimo commento, si è combattuto sotto il vessillo di Umberto Eco vs gli imbecilli, tanto che pure chi aveva attaccato lo scrittore per il suo giudizio di valore, ha poi incominciato a dargli mestamente ragione, e Selvaggia Lucarelli è assurta exemplum per eccellenza dell'imbecille echiano.
Non si tratta di fascismo digitale, o di prosopopea da intellettuale, la questione è lo status di influencer degli imbecilli, ovvero la loro risonanza mediatica, il numero di follower e di contatti che raggiungono, di gran lunga superiore a coloro che, usando gli stessi strumenti, si impegnano per dire qualcosa di sensato. Ognuno di noi ha pensato almeno una volta a quante castronerie vengono scritte sui social media, meravigliandosi del numero di like e dei follower degli utenti-imbecilli, discutendone anche con gli amici al bar dopo più di un bicchiere di vino. Ormai, confidare nella meritocrazia di ciò che nasce dal basso e si autogestisce, è una chimera, ma di certo non si può ridurre l'affermazione di Eco alla lesione della libertà di espressione e asserire, come ha fatto Gianluca Nicoletti in primis, che per combattere il lato oscuro della forza bisogna farne parte. Il livellamento verso il basso è lo scenario peggiore, soprattutto quando superato un determinato numero di contatti si inizia ragionare rispetto a processi di rilevanza economica e pubblicitaria.
Senza risonanza social-mediatica non si arriva da nessuna parte, non importa se i contatti sono profili falsi, o fakebot, Salvini lo insegna, qualora non si superino i tre zeri non si ha diritto né alla vita social(e), né a un posto di lavoro, visto che ai colloqui non chiedono più il titolo della tesi di laurea, ma il numero di follower.
Il massimo delle visualizzazioni su YouTube raggiunte da Umberto Eco è circa cinquantacinquemila, di cui i primi due video sono rispettivamente in spagnolo e tedesco. Un scena de Il nome della rosa, ma probabilmente non vale nel conteggio perché è un film, raggiunge il picco con 163.321. La YouTuber Martina Dell'Ombra, nota per le sue mire politiche e per le sue affermazioni improbabili al limite tra serio e faceto, con i suoi video più cliccati raggiunge le visualizzazioni di Eco. Francesco Sole, che grazie a YouTube è diventato conduttore con Belén Rodriguez di Tú sí que vales, in onda nel 2014 su Canale 5, a poco più di vent'anni ha visualizzazioni che oscillano dal milione ai centomila, e basa la sua retorica su luoghi comuni alla Federico Moccia, Post-it scarabocchiati e canzoni dall'alto tasso patemico. In due parole: aria fritta.
Si tratta di numeri infinitesimali se paragonati alle visualizzazioni raggiunte da Enrico Pasquale Pratticò, star indiscussa della rete contemporanea, che si aggira intorno ai due milioni, senza contare l'ultima performance, ossia l'intervista di Andrea Diprè per il sociale, altro fine rappresentante della legione degli imbecilli, che ne ha ottenute 1.414.554. Qui urge una distinzione: Enrico Pasquale Pratticò, un ragazzo di 23 anni, di Motta San Giovanni, definito da Diprè un linguista moderno (?), è assurto agli onori della cronaca sia come membro di una realtà rurale ritenuta scomparsa e sia per non avere dimestichezza con alcuni termini di uso comune come Facebook, che chiama Fastbook, e Whatsapp, per gli amici Prozapp. Dipré, dal canto suo, è un tossicodipendente, probabilmente danaroso, che esalta gli eccessi della vita propugnando una sua religione, il dipreismo, basata su sesso, droga e rock 'n' roll. Il suo canale su YouTube ha poco più di centosessantotto mila iscritti, ma con le visualizzazioni dei singoli video si sale notevolmente.
Eco, fra le righe, ha voluto sottolineare che se l'intellettuale x, non uno tra i più famosi al mondo come nel suo caso, vuole veicolare un messaggio, arriverà a meno persone di quante vengono raggiunte da un rappresentante a caso della legione di imbecilli. Se Dipré decidesse di indire una raccolta firme o fondi, avrebbe sicuramente più chance del ricercatore Caio o dello scrittore Sempronio. Non tutti hanno la stessa libertà e risonanza di parola, e gli imbecilli hanno più rilevanza degli intelligenti perché stuzzicano le pulsioni di base e i sentimenti irrazionali dell'essere umano, suscitando la risata fragorosa che non richiede l'obbligo di pensare, oppure l'indignazione facile e gratuita.
Selvaggia Lucarelli è seguita su Facebook da 553.000 persone, su Twitter da 301.000, mentre la pagina ufficiale di Samantha Cristoforetti, piace a 488mila persone e il suo video che conta più visualizzazioni, tra quelli girati durante la permanenza nello spazio, ne ha 455.050, gli altri al massimo centomila. Cristoforetti batte la Lucarelli su Twitter con ben 267.000 follower in più.
Si sta insistendo su contatti sui social network e visualizzazioni perché si tratta dell'esplicitazione dei reali interessi degli utenti del web e di ciò che dirige il mercato economico e del lavoro. Chiara Ferragni, la fashion blogger italiana più famosa al mondo che ha più follower delle attrici di Hollywood e di gruppi rock da sold out come i Linkin Park, è stata tra i casi di studio della Business School di Harvard e guadagna parecchi milioni di dollari all'anno con le foto dei suoi outfit. Chiara Ferragni ha deciso, almeno per il momento, di mettere in standby l'università, propugnando il messaggio che una volta raggiunta la stabilità economica l'arricchimento personale può attendere. Peccato che i contenuti dei post sul suo blog non siano eccelsi, né in italiano né in inglese, nonostante se ne occupi un team specializzato. L'eccellenza non importa a nessuno, l'importante è quante persone si raggiungono anche solo con la foto di un cane steso di fianco a una scatola di scarpe. Il predominio della superficialità potrebbe essere lontanamente giustificato, volendosi sforzare, dagli ambiti di appartenenza delle persone appena citate, moda e spettacolo, a cui non è richiesta la capacità di esprimersi in distici giambici. In altre sfere, sicuramente gli intelligenti avranno vita più facile. Ma sul panorama dei social network compare Wattpad e cade anche l'ultimo dei miti, la letteratura.
Wattpad è una community per appassionati di lettura e scrittura, dove si possono condividere romanzi autoprodotti che sono letti e commentati dagli utenti. Negli ultimi tempi, i successi della community vengono anche selezionati da case editrici e pubblicati. Wattpad, o almeno la sua versione italiana, è il regno indiscusso degli imbecilli di echiana memoria, gli scritti degli utenti con più follower, quelli con tanti k, scrivono “pultroppo”, usano la k al posto della c, forse per rimarcare il loro status di influencer, utilizzano forme verbali improbabili e concordanze orripilanti scippate ai temi di Io speriamo che me la cavo. I letterati di Wattpad si sentono delle vere star, si rivolgono ai loro lettori per tranquillizzarli sulla continuazione della loro attività intellettuale, scrivono trilogie (!), creano booktrailer in un inglese creato con più inventiva dei loro romanzi. Però, a differenza di tanti validi giovani intellettuali e ricercatori che non possono permettersi di pagare per la loro prima pubblicazione, vengono contattati dalle case editrici per pubblicare, anche se hanno appena diciotto anni e zero tituli, come direbbe José Mourinho.
Non si tratta di togliere il diritto di parola agli imbecilli, giammai, ma di equiparare al loro quello degli intelligenti. E allora la convivenza potrà essere veramente pacifica e tranquilla, in una molteplicità di ontologie che si faranno da contrappeso accontentando tutti i gusti e i disgusti.