Speciale

Bambini fragili

17 Ottobre 2014

Insegno da sette anni. Ho iniziato con le supplenze, per gioco e soprattutto per avere un doppio canale, accanto a quello che nei primi Duemila mi appariva come il mio lavoro principale: lo studio, la ricerca, ma anche la scrittura, la traduzione. Dopo un anno di pausa passato a chiedermi dove andare e cosa fare, ho cominciare a fare sostegno ai disabili (al momento giusto ciò che deve ci trova sempre), e quello è stato il momento in cui ho cominciato a fare sul serio. Fin dal primo giorno la scuola è stata per me il luogo in cui agire tutte le mie contraddizioni e imparare, io nella relazione con i miei alunni (io prima ancora dei miei alunni) a non tremare davanti ai compiti difficili e a fare ciò che si deve nel migliore possibile dei modi. Queste note sono nate dalla riflessione su una faglia tra felicità e nevrosi che, pur non essendo né comoda né facile, tutto sommato mi sembra un buon posto in cui stare, oltre che l'unico possibile.

 

  • Quando comincia la scuola, nessuno pensa alla sua fine. Durerà in eterno, e sembra certo. Quando la scuola finisce, non sembra possibile che debba ricominciare, prima o poi. In ogni caso, serve che tu sia capace di entrare e uscire all'ora che devi, e il giorno che finisci spiega brevemente ad alunni e genitori la natura poco sentimentale dei contratti a tempo determinato.

 

  • Nei documenti ufficiali ometti sempre i dati sensibili. Relazioni, lettere, comunicazioni che possono finire nelle mani sbagliate: i dati sensibili devono essere nascosti. Scrivi R puntato, S puntato, proteggiamo la famiglia, mettiamo al riparo la sensibilità del minore. Noi lo sappiamo, chi è, il bambino, noi lo conosciamo bene.

 

  • Non devi urtare la suscettibilità dei familiari. Se loro non vedono i loro figli, noi non possiamo vederli al posto loro. Se non vedono il buco nel muro, noi infileremo calce a forza, ma non butteremo giù il muro a pugni, non si può.

 

  • Quando hai l'impressione che non puoi fare niente di utile, di buono e produttivo, forse è davvero così. Una volta eri la salvatrice dei momenti difficili, ora non salvi più nessuno. Ti limiti a chiedere il silenzio, ad alzare le mani come per calmare le acque, a mettere un dito davanti alla bocca nei momenti più critici, più confidenziali.

 

  • Non ti disperi più per i bambini abbandonati, per quelli che non sanno distinguere le lettere tra loro, per quelli che a casa non hanno un tavolo su cui poggiare i quaderni, per quelli che si addormentano davanti alla televisione e se gli va bene gli tocca un panino. Gli passi di soppiatto una matita, un evidenziatore, una maglietta semi-nuova, parli con le loro madri, e ai figli ogni tanto, tra un'ora e l'altra, fai vedere qualcosa di tuo: una foto, un libro, un ricordo. Anche se non lo dicono, anche loro hanno bisogno di un altrove.

 

  • I momenti migliori non sono quelli in cui dimentichi dove sei, ma quando ti giri verso la finestra e per qualche secondo guardi gli alberi, le macchine, i panettieri con i sacchi in spalla. Di solito succede tra le dieci e le dieci e un quarto del mattino: sono gli attimi che respiri, e a modo tuo sei perfino efficiente.

 

  • Parli con le madri e con i padri. Di più con le madri, perché quello che arriva al cuore della madre non arriva al ginocchio del padre. Le madri sono distratte, grasse, magre, brutte, apprensive, passive-aggressive, brizzolate, stanche, schiena dritta, schiena curva, stolte o comprensive. Ti diranno cose vere e cose non vere. Tu, nel parlare, evita di essere personale.

 

  • Le madri diranno: non sappiamo cosa fare. Con questi ragazzi, cosa fare. Tu senti la mancanza di energia, senti che anche a te manca a te l'energia, che manca a tutti. Capisci che quelli come te siete un cerchio debole, e nonostante questo tutti vi chiedono aiuto, tempo e conforto. Sei, come tutti gli altri della tua categoria, moralmente lacero, però devi saltare ogni giorno più in alto, devi arrivare dove non arrivano gli altri, devi prendere ogni giorno la tua calce inesistente e spalmarla dove serve.

 

  • La tua stessa vita è una sfida all'inesistenza.

 

  • Il primo giorno che lavori con un handicappato ti rendi conto che il suo disagio è la misura del tuo mondo, e tu non lo sapevi. All'inizio cerchi di colmare lo spazio che vi separa mettendoci dentro tutto quello che hai, poi smetti perché mille storie d'amore te l'hanno già insegnato, a non tirare fuori dal cilindro il suo, oltre che il tuo. Impari finalmente a stare alla giusta distanza dai vuoti.

 

  • Siccome hai un buon udito, senti cosa dicono quelli delle ultime file, o giochi a indovinare. I dodicenni si sorprendono sempre se qualcuno riesce a sentirli, proprio come si spaventano delle storie paurose. Oppure fingono bene.

 

  • Non è senso materno, quello che ti spingerebbe a portarli con te fuori, lontano dalla scuola, da un gelataio o su una panchina. È solidarietà tra oppressi dagli adulti, anche se i bambini non sanno la parola oppressione, e tu come sempre esageri.

 

  • Sì, anche la tenerezza, per certi momenti in cui si accorano a raccontare le feste di compleanno e le vacanze dagli zii.

 

  • I dodicenni, se sei appena arrivato, sfruttano il vantaggio territoriale, e per istinto sanno che la tua poca conoscenza del territorio equivale a debolezza di posizione, e in cuor loro sei già in ultima fila.

 

  • Sono seduta a un tavolo, vicino a me un noto poeta mi porge un foglio. Sul foglio è stampata una poesia di Baudelaire in francese, ma è illeggibile. Penso che il noto poeta certamente dev'essere dislessico, ma non oso dire nulla. Leggo ad alta voce, inventando le parole, poi mi allontano e sento il noto poeta che dice: Che peccato che i giovani poeti ignorino i classici. Risponde mia madre: Non si può negare, ha ancora tanto da imparare.

 

  • Nelle stanze dove tu e i tuoi colleghi vi riunite, parlate spesso di cibo e montagna: più di rado di politica e case al lago. Dei figli si dice poco, se non che tutto sommato sono un fardello molto dolce da portare. I gatti sono oggetto di un'affezione apparentemente incondizionata.

 

  • Sono passati gli anni e tu sei ancora una debuttante. Lo sai tu e lo sanno tutti, ma come hanno fatto a scoprirlo? Gliel'avrà detto, a uno a uno, il tuo inconscio balordo. Intanto, tieni a freno lo sguardo, che nelle ore più stanche chiede tregua, o vorrebbe che qualcuno – ma di quel tipo, in questo posto, non c'è nessuno – gli risponda nello stesso alfabeto: non dubitare, questo è il tuo posto, non ce n'è un altro dove devi stare.

 

  • Più passano gli anni, più i bambini diventano fragili. Hanno braccia da rondinelle e pelli da piccoli animali in mutazione, dita pulite o dita sporche, lingue blu per le troppe caramelle, tatuaggi a penna nera e rossa sulle mani e gli avambracci, sorelle e fratelli che stanno per nascere, febbri misteriose, dolori nel traghetto da un'ora all'altra. Tra le cose che mancano, sicuramente le aspirine. E una grande stanza in cui calmarsi, prendere fiato, far passare la nebbia.

 

  • Il loro branco sopravviverà per sempre, ne sono sicuri.

 

  • Chiamano casa a tutte le ore, ma a volte non c'è nessuno. In questi casi, il magone si addormenta da solo.

 

  • Gli oggetti che lanciano volano troppo in alto, oppure rasoterra. Le traiettorie sono sghembe, i movimenti troppo bruschi o al contrario sognanti, imbambolati. Ogni giorno i bambini si muovono su un palcoscenico di festa; ogni giorno è il compleanno di qualcuno e in aria volano palloncini invisibili, si tagliano torte immaginarie, si stappano bottiglie di Fanta e si versano sui tappeti, mentre mamme invisibili portano tovaglioli per asciugare il bagnato. L'atmosfera, qualunque sia l'ora, è quella di eccitazione che precede l'apertura dei regali. I bambini sembrano ubriachi, ma è solo gioia pre-puberale di trovarsi tutti insieme, chiusi in una stanza, in un posto diverso da casa.

 

  • Gettano in aria parole grosse, ma per violenza di bestioline.

 

  • I bambini molto poveri sanno spesso cos'è giusto. Se chiedi a Sara se è giusto che lei viva in uno scantinato e non abbia i soldi per i libri, ti dice che non è giusto. Lei ha molto bisogno del mare o, in alternativa, della campagna albanese, dell'estate, i cugini, la nonna. Ahhhhh – dice allargando il petto – io in campagna rinasco.

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