La scuola e la mente

24 Ottobre 2011

Gran parte di quello che ci succede quando siamo a scuola avviene nel nostro cervello, incluso quello che viene insegnato nell’ora di educazione fisica. Non possiamo quindi parlare di come cambierà la scuola senza discutere di come ci relazioniamo con il contesto attorno a noi e come questo già sta cambiando la nostra attività mentale.

Avere accesso in ogni momento e in ogni luogo a enormi reti di dati (i media digitali) e di persone (le tecnologie sociali), insieme a un perenne bombardamento di informazioni, cambia la nostra inclinazione a distribuire attenzione, comprensione e abilità connettiva tra le informazioni stesse. Non sappiamo se Google ci stia davvero rendendo stupidi - cosa vuol dire “stupidi”, tra l’altro? - ma sicuramente qualcosa sta cambiando.

 

A. Se si modifica l’attività mentale tipica, cambia anche la scuola.

B. L’attività mentale tipica sta cambiando in gran parte a causa dell’interazione con sistemi digitali di gestione e connessione di informazioni e persone che d’ora in poi riassumeremo come intelligenza artificiale, anche nel caso ad esempio dell’Internet mobile, in cui di intelligenza ce n’è ben poca.

(ne consegue) C. Determinare i cambiamenti nella scuola significa in gran parte studiare l’interazione tra attività mentale e intelligenza artificiale.

 

Iniziamo dalle differenze di funzionamento. L’attività mentale è fondamentalmente lenta ma elegante, mentrel’intelligenza artificiale, anche tenendo conto del progresso delle rete neurali, è veloce ma goffa. Jeff Hawkins, nel suo On intelligence, spiega che un uomo riconosce un gatto in una fotografia in poco meno di un secondo. Un computer, se ci riesce, può impiegare da alcuni minuti a molte ore, perché dopo aver estrapolato alcune regole dall’immagine del gatto, le paragona con le regole estrapolate dalle milioni di immagini che ha in memoria.

L’intelligenza artificiale non fa altro che applicare operazioni binarie a informazioni memorizzate in forma binaria.

La neocorteccia del nostro cervello invece, sostiene Hawkins, svolge operazioni diverse:

-         Memorizza sequenze di pattern, e cioè di schemi rappresentativi di cose percepite o pensate.

-         Memorizza questi pattern in una forma invariante, e cioè con un livello di astrazione. Per capirci: il pattern di una vostra amica rimane lo stesso anche se un giorno si taglia i capelli o ha le occhiaie.

-         Genera una gerarchia tra queste sequenze di pattern (i pattern di come la luce colpisce un volto sono a un livello più basso rispetto ai pattern astratti che descrivono i volti in generale).

-         Riesce a richiamare in modo auto-associativo i pattern pertinenti a quello considerato.

Ed è proprio questa funzione di auto-associatività che all’intelligenza artificiale manca del tutto.

 

L’attività mentale è particolarmente efficace per effettuare associazioni (incluse quelle che chiamiamo “creative”), stabilire gerarchie di importanza e interrogare la nostra memoria in modo molto performante. L’intelligenza artificiale è ottima per immagazzinare enormi quantità di dati in poco tempo e per effettuare calcoli velocemente.

 

Abbiamo detto che i cambiamenti nella scuola dipenderanno in gran parte da come si evolverà l’interazione tra attività mentale e intelligenza artificiale. Ora che abbiamo descritto entrambe in modo molto astratto e semplificato, passiamo all’interazione vera e propria. Tutto questo consapevoli di un fatto: l’evoluzionismo ci suggerisce che, sul lungo periodo, è verosimile pensare che ognuno dei due sistemi (cervello e intelligenza artificiale), nell’interazione, contribuisca con la cosa che più sa fare meglio, affinché l’interazione complessiva sia più efficace e produttiva per la specie.

 

Ora: pensiamo a un ragazzo che deve rispondere alla domanda “Qual è la data di morte di Napoleone?”. Definiamo inoltre:

 

tn(a) = tempo naturale di accesso ad un’informazione contenuta nel cervello nell’anno solare  a

 

ta(a) = tempo che il cervello impiega per accedere ad un’informazione contenuta su sistemi artificiali esterni (es. il computer) nell’anno solare  a

 

Sia tn sia ta sono funzioni decrescenti di a, perché con il passare degli anni (e dei millenni) diminuisce il tempo necessario per recuperare informazioni sia dal proprio cervello (evoluzione della specie) sia da sistemi digitali (progresso tecnologico).

Sappiamo che ci vogliono millenni per vedere anche solo piccoli cambiamenti nella conformazione fisica di una specie, quindi per semplicità ipotizzeremo che tn(a) sia costante e pari a tn*.

 

La velocità con cui il cervello accede a un’informazione contenuta su sistemi digitali invece varia molto velocemente.

Dieci anni fa è nata Wikipedia. Otto anni fa nella mia scuola superiore hanno connesso tutti i computer a Internet. Il tempo per rispondere alla domanda su Napoleone era 15 minuti.

Da quattro anni ho uno smartphone sempre collegato a Internet. La connessione va sempre più veloce. Due anni fa ci avrei messo 2 minuti. Adesso un minuto.

Se ipotizziamo che nel mio cervello sia già memorizzata la risposta “5 maggio 1821”, un minuto è un tempo enorme, visto che la mia mente recupera quell’informazione in meno di un secondo.

 

Due punti sono però fondamentali. Da una parte la quantità di dati a cui si può accedere attraverso la Rete è infinitamente più grande di quella contenuta in un solo cervello, anche solo per il banale motivo che la Rete mi connette a centinaia di milioni di altri cervelli.

Con il passare del tempo (a -> infinito) è verosimile pensare che ta(a) converga verso tn*.

Anzi, qualcuno potrebbe molto fantasiosamente sostenere che quando ta(a) è molto vicino a tn, tn non sia più costante ma possa essere stimolato ad aumentare per stare al passo del flusso di dati digitale, portando quindi sia ta(a) sia tn(a) a divergere insieme - molto lentamente - verso l’infinito.

Quanto appena detto è solo verosimile. È invece certo che, qualora davvero ta(a) convergesse a tn(a), non ci sarebbe nessun motivo logico per cui, potendo accedere alla data di morte di Napoleone via Internet in poco più di quanto impiegherei per reperirla dal cervello, io debba impararlo a memoria.

Diventerebbe semplicemente illogico e inefficace memorizzare nel nostro cervello dati per i quali il fatto che siano immagazzinati nel nostro cervello e non in una cloud esterna non comporti alcun valore aggiunto.

 

Non ha senso continuare a puntare su ciò che l’intelligenza artificiale fa meglio di noi. Abbandoniamo quella nave e concentriamoci su ciò che facciamo meglio. Io penso, e spero, che domani sarà scuola qualsiasi cosa affini la nostra potenza associativa migliorando la nostra capacità di connettere concetti e relazionarci con le altre persone, rendendoci quindi cittadini migliori.

Certo: è fondamentale insegnare a fare moltiplicazioni e divisioni. Ma non solo: ci sono concetti matematici molto più affascinanti e alla portata di un bambino di undici anni. H. M. Enzensberger dice che insegnare la matematica parlando di tabelline è come insegnare ad apprezzare la musica insegnando le scale musicali. Quelle vengono dopo: prima bisogna imparare ad amare Mahler o Elvis. La scuola dovrebbe insegnare ad amare e connettere concetti. È sulla capacità auto-associativa dei pattern che dobbiamo concentrarci quando pensiamo alla scuola di domani.

 

Alle scuole superiori ho studiato sia filosofia, sia matematica. Di Kurt Gödel, che con i teoremi di incompletezza del 1931 ha cambiato per sempre la storia del nostro pensiero, non ho mai sentito parlare. E non perché il suo lavoro non possa essere spiegato in modo accessibile: semplicemente perché era un logico, e il suo contributo è a metà tra filosofia e matematica. E quindi, non essendoci l’ora di “logica”, viene scartato. Tutto questo a scapito della connessione fra concetti: Gödel stesso ad esempio, dato che molto doveva alla Ragion Pura di Kant, scrisse proprio di essersi “concentrato su appropriate nozioni filosofiche tradizionali, ed aver aggiunto eventualmente un pizzico di precisione”.

Questa è esattamente la scuola che non vorrei. Una scuola che nonostante gli enormi sforzi, continua prevalentemente a dividere in compartimenti stagni invece che ragionare in modo associativo. Una scuola che nonostante gli enormi sforzi, è ancora eccessivamente ancorata al lavoro mnemonico.

 

Il fatto che la scuola non sia ancora al passo con questo trend ha lasciato enorme spazio all’apprendimento informale e sociale, da cui un nuovo modello di scuola non può prescindere.

L’antropologa giapponese Mizuko Ito, in New Media and Its Superpowers: Learning, Post Pokemon, racconta di come i bambini – destinatari spesso di giochi e racconti semplificati – si siano innamorati di giochi complessi di carte come quello di Pokémon.

Stiamo parlando di un gioco con molte centinaia di Pokémon diversi, ognuno con determinate regole, abilità, poteri e caratteristiche. Non solo: la Ito lo chiama interest-driven learning. Il buon vecchio “imparare divertendosi”, ma applicato a un gioco sociale complesso come quello dei Pokémon e del relativo mercato di scambio delle carte. Un bambino di undici anni impara enormemente da questo!

La scuola dovrebbe insegnare ad amare e connettere concetti.

 

Tornando all’apprendimento informale, un ultimo esempio: mio fratello – diciott’anni – dopo aver studiato a scuola con non so quali risultati, sia in letteratura sia in storia, la Firenze di Machiavelli, adesso è diventato un esperto sull’argomento grazie al videogioco Assassin’s Creed, che riproduce in modo quasi maniacale le vicende e i dettagli storici.

Ora: io non so assolutamente come la scuola possa migliorare grazie, ad esempio, ad Assassin’s Creed. Credo però che nel 2011 avere coscienza di questi fenomeni sia requisito necessario non solo per i tecnici del Ministero dell’Istruzione, ma anche per il loro Ministro.

 

Bisogna sconfiggere l’immobilismo dei signor “Avrei preferenza di no”, oppure di chi continua a sottovalutare il problema dei sistemi di istruzione dicendo “La situazione è grave ma non seria” e iniziare a sperimentare in tutte le direzioni che si ritengono intelligenti, traendo da ogni esperimento i dovuti insegnamenti. Su Oilproject, la piccola scuola online di cui sono fondatore, in questi giorni pubblicheremo il primo videocorso di Letteratura Italiana gratuito e online, con possibilità di fare domande e inviare la propria lezione. È un minuscolo esperimento. Un primo passo. Muoviamoci, muovetevi. “Siate realisti, pensate l’impossibile”. Come non detto: pensate quello che vi pare, ma fate qualcosa! 

 

Marco De Rossi, 21 anni, è il fondatore di Oilprojectla prima comunità che grazie a docenti volontari organizza lezioni gratuite su Internet, innovazione e attualità che avvengono online vocalmente senza altro fine che la divulgazione libera dell'informazione. I relatori sono professori, imprenditori, esperti di tecnologia, uomini di scienza e giornalisti. 

 

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