Speciale

I camminatori irregolari

29 Agosto 2011

Se camminare è un’arte, zoppicare è un virtuosismo. Colui che è zoppo, chi interrompe la regolarità del passo introducendo l’elemento improvviso dello scarto, infrange e nello stesso esalta le leggi del movimento. Ne interrompe la monotonia, spezzandone la cantilena piana per mostrarlo finalmente per quello che è: un puro miracolo di equilibrio. 

 

La letteratura, a ben guardare, è piena di camminatori irregolari. Edipo, dai piedi deformi e dal destino ritorto, costretto a riandare letteralmente sui propri passi, unendosi con chi lo ha generato e rivolgendo all’indietro la freccia del tempo e delle generazioni. Filottete, morso al piede da una vipera e abbandonato dai suoi compagni sull’isola di Lemno. Efesto, il dio fabbro, reso storpio dalla superbia di sua madre. E poi Teseo, non zoppo quest’ultimo, ma costretto comunque a camminare in tondo, a ingarbugliare i suoi passi illudendone ogni pretesa di linearità per adattarsi agli anfratti, ai gomiti e ai corridoi ciechi della casa-trappola di Asterione.

 

Molti sono gli eroi e gli dei sorpresi nell’atto di vacillare. Così come molte sono le immagini, nell’antichità classica, di efebi con un sandalo solo. Fanciulli dal passo incerto cari a Hermes, il dio dal piede destro nudo e dal sinistro calzato. Il dio dei Misteri. Il dio traghettatore dei morti. Perché, come racconta Carlo Ginzburg, l’errare del passo appartiene a chi con i morti ha avuto ben più di una questione in sospeso. Lo squilibrio deambulatorio infrange la percezione elementare minima che la specie umana ha avuto, fin dai primordi, della propria immagine corporea. L’uomo, da sempre, si è visto come un essere simmetrico con due occhi uguali, due braccia uguali, due gambe uguali. Chi zoppica dunque non è del tutto umano. O meglio, appartiene alle zone intermedie dell’esistenza. Il suo disequilibrio è il segno tangibile di una doppia natura. La sua deformità, il giusto prezzo da pagare per poter viaggiare senza sforzo nella terra delle ombre.  

 

Il diavolo, del resto, è lo zoppo per antonomasia. E non soltanto per via delle sue zampe caprine. Nel Seicento di Lesage, il demone Asmodeo bascula visibilmente per i tetti di Madrid. Due secoli più tardi, l’avvocato Coppelius, mago della sabbia e divoratore di occhi, arriva dalle sue vittime trascinando il passo. Con una gamba di legno, è il capitano Achab. Senza più l’uso degli arti inferiori (ma questa è realtà e non letteratura) sono i morti in sospetto di vampirismo che nelle campagne slave di fine Settecento vengono seppelliti con le gambe legate perché, una volta svegli, non possano più trovare la strada di casa.

 

Chi zoppica indubbiamente fa paura, ma non soltanto. Sciancata era Gervaise Lantier, condannata dal determinismo senza scampo di Zola al peggiore dei destini. Zoppo, anche se per poco, anche se per finta, è stato Zeno Cosini. Storpia, oggi, è Alice della Rocca, volata giù da un paio di sci a sette anni e sola di una solitudine senza alcuna possibilità di redenzione. Affetti tutti da uno squilibrio dell’anima ancor prima che del passo. Allontanati dalla grazia ritmica dell’incedere così come dalla stabilità incrollabile del pensiero razionale. Perché chi incespica col piede, incespica anche con la mente. Chi scarta di lato nel cammino, scarta di lato nel pensiero, aprendo la via a nuove prospettive, a paesaggi e percorsi psichici del tutto mutati.

 

Lo sapeva molto bene Marcel sul selciato irregolare di Palazzo Guermantes. Lo sappiamo bene noi che con lui, ogni volta, incespichiamo e ogni volta ritroviamo, nel suo breve volo sulle pietre diseguali del cortile, un ordine nuovo del tempo e dei giorni.

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