Apprendimento, memoria, danza / L'intelligenza delle api

17 Gennaio 2018

In questo volume, impegnativo ma appassionante (L’intelligenza delle api. Cosa possiamo imparare da loro, Cortina editore, p. 328, € 29), Menzel e il suo amico filosofo Eckoldt, raccontano le straordinarie capacità intellettive delle api attraverso la storia delle ricerche di Menzel e i suoi collaboratori: “L’obiettivo di questo libro è aprire le porte del laboratorio e rendere visibili (…) i processi che si svolgono nell’organismo delle api. (Getteremo inoltre)… uno sguardo sui modi di procedere delle scienze naturali”. Nota bene, scienze naturali e non, riduttivamente, biologia o neurobiologia. Dopotutto il procedere sperimentale di Menzel è riduzionista, ma le “domande giuste”, alla base di ogni sperimentazione, scaturiscono da una visione ampia dell’organismo studiato, posto in relazione all’ambiente al quale si è adattato nel corso dell’evoluzione (o coadattato, come dimostra il rapporto dinamico tra colore dei fiori e percezione dei colori delle api, grandi impollinatori).

 

Ecco perché il neurobiologo Menzel sottolinea continuamente il suo essere naturalista: non tanto per classificare i suoi oggetti di studio (e ci sarebbe da lavorare: esistono circa 20.000 specie della superfamiglia Apoidea!), ma perché solo in una visione di insieme (olistica direbbe Menzel, e tuttavia non in contraddizione con un rigoroso procedere riduzionista della sperimentazione) si possono formulare le famose “domande giuste”, quelle che portarono il premio Nobel von Frisch, il maestro di Lindauer, a sua volta maestro di Menzel, a scoprire la visione dei colori nelle api. Nel 1912 il celebrato fisiologo von Hess aveva fatto pressappoco questo esperimento: mettendo le api in una cassetta chiusa con delle piccole aperture colorate aveva notato che queste uscivano a caso attraverso le aperture a prescindere dal loro colore. Von Hess ne deduceva che le api sono cieche al colore. Sbagliato, sostenne il giovane von Frisch, le api sono scappate da una situazione potenzialmente pericolosa utilizzando la prima uscita disponibile, e quindi l’esperimento non dimostra che le api non vedono i colori, ma semplicemente che scappano attraverso l’apertura più luminosa.

 

Questa critica irrispettosa del potente barone – era il tempo dei veri baroni universitari, altro che i nostri striminziti valvassori – rischiò di bruciare la carriera accademica del giovane etologo. Ma siccome nella scienza la verità trionfa quasi sempre, fu proprio von Frisch a dimostrare con semplici e geniali esperimenti che le api vedono i colori (non tutti), gradino questo verso il meritato premio Nobel. La visione dei colori è essenziale per le api bottinatrici nella loro ricerca selettiva dei fiori da visitare, e il notevole investimento energetico per produrre fiori colorati è ripagato dalla dispersione del polline. La “domanda giusta” non è astrattamente chiedersi: ma le api vedono i colori? quanto piuttosto progettare un esperimento – una domanda – cui il soggetto sperimentale possa rispondere adeguatamente. Per scappare efficacemente da un pericolo non è necessaria la discriminazione dei colori, è importante non perdere tempo. Immedesimatevi nella situazione e capirete al volo. Von Frisch invece insegna alle api che una fonte di cibo, una soluzione zuccherina, si trova su un cartoncino colorato. Spostando il cartoncino e togliendo il cibo le api continuano ad andare sul colore sul quale sono state addestrate. Evidentemente lo vedono. Esperimento semplice e geniale.

 

Il cervello delle api visto da davanti, da sopra e da dietro. Le due grandi strutture colorate in rosso sono i corpi fungiformi. I due gangli visivi ai due lati sono colorati rispettivamente in giallo e in arancione. Al centro, colorato in azzurro, il corpo centrale. I due lobi antennali sono in indaco.


Menzel porta il lettore nel laboratorio di neurofisiologia della visione, percorrendo le tappe delle proprie ricerche e allo stesso tempo della neurobiologia: oltre a porsi le “domande giuste” Menzel e i suoi numerosi collaboratori infatti mettono a punto, o vanno a imparare, tecniche di avanguardia. Gli esperimenti sulla visione e sull’olfatto sono affascinanti, ben raccontati, e fanno sentire l’entusiasmo per la ricerca e l’importanza della collaborazione interdisciplinare: fisiologi, etologi, biochimici, fisici, informatici, a formare gruppi di ricerca sempre più agguerriti e sempre più internazionali. Ma per capire come vengono elaborate le informazioni che provengono dai sensi e come vengono prese le decisioni, non basta lo studio dei sistemi sensoriali, bisogna affrontare lo studio del cervello, nell’ape un piccolo ammasso di neuroni grandi come una capocchia di spillo. È un cervello pensante o solamente il luogo di connessioni rigidamente programmate in un complesso meccanismo stimolo/risposta? Nel cervello degli insetti esiste una struttura, il corpo fungiforme (vedi figura 1) che è più sviluppata nelle specie più “intelligenti”, il che suggerisce un’analogia con la corteccia cerebrale dei mammiferi, addirittura con la corteccia prefrontale dell’uomo. Siamo ovviamente nel campo dell’analogia, nessun legame tra queste diverse strutture, ma solo un suggerimento funzionale.

 

Il corpo fungiforme si rivela effettivamente un centro di elaborazione che riceve informazioni da strutture sottostanti, così come accade per la corteccia. Menzel è portato a pensare che il corpo fungiforme sia anche un centro decisionale, non solo un attuatore di risposte programmate. Questa posizione non è per niente ovvia, anzi, è controcorrente, perché non è la più semplice: in effetti un’ape robot, tutta istinti, per quanto complessa, è più facile da maneggiare: anche il grande von Frisch la pensava così. Dopotutto il principio del rasoio di Occam, che Menzel cita, dice proprio questo: tra più spiegazioni di un fenomeno scegliere la più semplice. E la ricerca scientifica si attiene a questo principio, che però non è una legge universale. Più Menzel si addentra nello studio del cervello e del comportamento delle api, più si fa persuaso che Occam in questo caso non vada seguito. Le api, bravissime ad apprendere un paradigma pavloviano stimolo/risposta (a questo colore associo una ricompensa), sono anche capaci di astrarre, di apprendere regole generali. Possono apprendere a distinguere una figura simmetrica da una asimmetrica e poi generalizzare distinguendo qualsiasi figura simmetrica da quelle asimmetriche. E ancora, apprendono velocemente, in un labirinto a Y dove l’ingresso è ad es. colorato in blu, a imboccare il ramo blu e non l’altro. Semplice associazione di blu con blu.

 

Ma questo è il bello, se si cambia colore, e l’ingresso è giallo, l’ape alla prima prova imbocca il ramo giallo. Ha generalizzato. Ma anche un segnale in bianco e nero a righe verticali indirizza all’uscita a righe verticali. Quindi è stata appresa una regola: segui il tipo di segnale che incontri per primo, qualsiasi esso sia. Sono capacità cognitive di tutto rispetto, che vengono confermate da altre osservazioni che riguardano le capacità di orientamento e di navigazione, studiate anche questa volta con un metodo innovativo: uno speciale radar “armonico” capace di seguire le singole api in volo, e un sistema di lettura a barre con cui si possono identificare, all’entrata dell’alveare, almeno 2000 individui opportunamente marcati. Queste ricerche fanno supporre l’esistenza di una vera e propria mappa cognitiva: cioè l’ape possiede una mappa interna del paesaggio che ha esplorato (qualcosa che va molto oltre il semplice riconoscimento di punti di riferimento noti). 

 

Alla famosa danza delle api Menzel e Eckoldt dedicano relativamente poco spazio. La ragione è semplice: il libro ripercorre la storia scientifica di Menzel, e il principale interesse del nostro è stato, all’inizio, per i processi sensoriali, in rapporto ai quali la danza non è molto rilevante. Sviluppare temi di ricerca autonomi è stato un modo per affrancarsi dai maestri, per i quali la danza delle api, capace di trasmettere informazioni simboliche, era al centro di ogni interesse. Oggi è dato per scontato che quello delle api sia un vero e proprio linguaggio. La danza è in grado di informare della distanza, della direzione e della qualità di una sorgente di cibo (ma anche di un luogo adatto per un nuovo nido), cioè sulle caratteristiche di un oggetto che non è presente. Menzel però ha qualche dubbio che sia un vero linguaggio, perché non presenta una grammatica e una sintassi. E poi ci sono dei dubbi che abbia effettivamente un contenuto simbolico. Si può sottilmente disquisire, ma parliamo comunque di qualcosa che è in grado di informare su un oggetto che non è presente. Quindi, sintassi o non sintassi, simbolico o non simbolico, è un linguaggio, al massimo un proto-linguaggio, ma alla fine, dice il recensore, che differenza fa? L’interesse di Menzel per la danza delle api si risveglierà quando, dopo aver scoperto (nel 2010) la loro capacità di produrre e di percepire campi elettrostatici, ipotizzerà un loro ruolo nella danza. La danza infatti avviene al buio dell’alveare, e si era sempre supposto che i movimenti – e quindi i messaggi – della danzatrice fossero percepiti attraverso il tatto. Le potenzialità di una comunicazione “elettrica” sono enormi, anche se ancora da dimostrare. Nel 2014 Menzel e i suoi collaboratori stavano analizzando 600.000 danze per decifrare l’eventuale componente elettrica della comunicazione: formidabile sforzo di ricerca che al momento (2017) non ha ancora prodotto risultati certi.

 

Uno dei capitoli più interessanti è quello che riguarda i processi di apprendimento e memoria, essenziali sia per lo studio della percezione che per quello del cervello. Anche le api possiedono una memoria a breve, una a medio e una a lungo termine, funzioni simili a quelle dei vertebrati, pur in cervelli così strutturalmente lontani: “il ricordo si forma a velocità diverse in aree cerebrali diverse, e in ciò il corpo fungiforme riveste il ruolo più importante”. Se nei vertebrati il sonno è essenziale per il consolidamento della memoria, come consolidano le api? Bene, le api dormono, lo si riconosce quando abbassano le antenne. Dormono di notte, e anche di giorno ogni tanto “si fanno un pisolino”. Se si interrompe il sonno notturno le api ricordano peggio quello che hanno appreso il giorno prima: anche loro consolidano durante il sonno. Nell’uomo il sogno aiuta il consolidamento. Ma anche le api sognano? Per adesso non lo sappiamo, ma Menzel ci lascia intendere che con tecniche di registrazione cellulare molto avanzate forse in futuro…

In ultima analisi questa serie di comportamenti complessi che Menzel analizza e che implicano sottili processi di integrazione e di decisione significa, se le api non sono piccoli robot, che pensano? Questo è quanto sottintende Menzel: un plastico proto-pensiero e non una cassetta per gli attrezzi (“tool box”) di rigidi istinti buoni a molti usi. 

 

Chi si occupa di api, ed è consapevole della loro importanza di impollinatori per gli ecosistemi naturali e agricoli, non può trascurare di interessarsi alle cause del loro preoccupante e costante declino. Imputati alcuni insetticidi “nicotinici” che agiscono su specifici recettori e finiscono per interferire con la trasmissione dei segnali dei neuroni: poco dannosi per l’uomo, ma letali (naturalmente secondo la dose) per tutti gli insetti. Questi insetticidi sono facilmente assorbiti dalle piante, ed effettivamente le proteggono dai parassiti. Menzel e collaboratori scoprono però che, anche a dosi molto basse, pur senza uccidere le api, ne sconvolgono il comportamento di navigazione, portando alla morte della colonia. Quindi la pericolosità di questi insetticidi non va valutata sulla base della morte delle api ma sulla capacità di alterare gravemente il loro comportamento.

 

Inutile dire che la battaglia contro questi pesticidi (da non confondere con il glifosato, molto meno pericoloso per l’ambiente) è ben lontana dall’essere vinta. Per ora le grandi multinazionali dell’agroindustria (Bayer CropScience e Syngenta, tanto per fare un esempio) vendono i loro prodotti a base di neonicotinoidi con l’assicurazione che non sono dannosi per api e bombi: “Selettivo nei confronti di diverse specie non bersaglio quali api e bombi. In diversi studi di laboratorio e di campo il prodotto ha dimostrato di essere sicuro o poco tossico nei confronti di numerosi artropodi utili”. Infatti alle dosi consigliate non uccidono l’individuo, ma la colonia! Gli studi di Menzel in proposito per ora non hanno avuto ricadute sulla regolamentazione dell’uso di queste sostanze, e non è senza un senso di frustrazione che il nostro, in mancanza di un riscontro legislativo all’evidenza scientifica, incita al boicottaggio di quei cibi che sono prodotti con l’uso di sostanze dannose per l’ambiente.

Ecco quindi l’approccio olistico di questo naturalista moderno: dallo studio dell’organismo in laboratorio alle ricadute applicative della ricerca, dall’individuo alla colonia, dalla specie al fragile ecosistema in cui viviamo, fino alla denuncia di un sistema agroindustriale capace di condizionare il legislatore a livello nazionale e europeo.

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