Libri e crowdfunding. Un dubbio
Così Leopardi: «Se gli scrittori conoscessero personalmente a uno a uno i lor futuri lettori, è credibile che non si prenderebbero troppa pena di proccurarsi la loro stima scrivendo accuratamente, né forse pure scriverebbero. Il considerarli coll’immaginazione confusamente e tutti insieme, è quello che, presentandoli loro sotto il collettivo e indefinito nome e idea di pubblico, rende desiderabile o valutabile la loro lode o stima ec. (10 marzo 1829)» (Zibaldone, 4471).
Ora, è anche verosimile che il crowdfunding possa segnare un’epoca nuova per l’(auto)editoria indipendente, ma con quali conseguenze sullo statuto dello scrittore e del lettore, o più in generale sulle condizioni dello scrivere e del leggere? Vorrei soffermarmi per una volta non sui benefici ma sui rischi.
Leopardi fotografa con limpida esattezza il luogo, il tempo e la relazione in cui si collocherà strutturalmente il crowdfunding del libro: prima che l’autore scriva, e in una configurazione di rapporti, basati sulla reciproca conoscenza, tale da essere determinante riguardo alla possibilità o all’impossibilità di scrittura e lettura. L’elemento “crowd”, cioè “folla”, “massa”, nel crowdfunding è ingannevole. A dispetto di un’indefinitezza ben maggiore (e insidiosamente dispregiativa) rispetto al “pubblico”, e di un anonimato che in fin dei conti si risolve nel gruzzolo raccolto a fine campagna, quel che conta nel crowdfunding è che ci si conosca. L’autore viene direttamente a conoscenza dei suoi mecenati nonché futuri lettori, perfino promette di incontrare i più munifici, ai quali concede il privilegio di sedere al tavolo della mondanità in occasione di presentazioni, pranzi di gala e simili. A molti affida addirittura le chiavi del retrobottega, elargendo rivelazioni e anticipazioni sui progressi del lavoro creativo, sulle sudate carte. Di rimando, si impegna a concedersi appieno come personaggio pubblico. È una pubblicità reciproca. Le modalità sono le stesse dello star-system editoriale, ma la dimensione è domestica, di modo che si canalizza il voyeurismo e forse anche lo stalking in un pratico sistema che funziona per quote di sottoscrizione e benefit.
Intendiamoci, nel nostro mondo di cultura e autorialità diffuse e di intelligenza collettiva, la posizione di Leopardi è datata per tante buone ragioni. Non c’è diritto di cittadinanza, oggi, per l’autore altero, convinto della propria superiorità sapienziale e in ultima analisi morale rispetto a ciascuno dei suoi singoli lettori, considerato come persona. Ma, e qui sta il problema, nell’orizzonte di senso del crowdfunding non c’è neppure spazio per l’autore schivo, o anche semplicemente per quello concentrato sulla propria opera di scrittura e poco incline, avvezzo, pronto o portato alla comunicazione preventiva dei suoi esiti. E siamo proprio sicuri, allora, di voler ricondurre la scrittura narrativa e la letteratura all'idea guida – e al conseguente modello di sostenibilità – che tutto nella vita debba conformarsi a un progetto ben congegnato ed efficacemente comunicato? In questo, il funzionamento del crowdfunding editoriale non si distingue da quello di qualunque altro fundraising, e rientra senza scosse nel paradigma (auto)imprenditoriale a cui il neocapitalismo riduce ogni aspetto della vita. Pensiamo alla littérature grise: qualunque ricercatore oggi deve fare in modo, se vuole attrarre finanziamenti istituzionali, che il suo progetto di ricerca segua una qualche necessità sociale corrispondente a una griglia predefinita, secondo un disegno burocraticamente pianificato, con il noto tragico risultato che è diventato proibitivo ottenere fondi per la ricerca di base, l’unica a poter davvero promettere l'invenzione dell’inatteso, l’innovazione.
Di qui il dubbio: è desiderabile uno spazio letterario nel quale manca la scoperta, dove tutto è esposto? Più esattamente, in cui tutto è oggetto di pubblicità prima ancora di diventare disponibile sul mercato? Dove cioè la pubblicità è non solo determinante rispetto alla pubblicazione, ma addirittura preminente, e le si sostituisce come vera e più autentica forma dell'essere pubblico dell'opera?