Una mostra a Genova / Nanni Valentini: l’argilla non vuole la mia forma
«È inutile che ti dica che una zolla di terra può racchiudere il segreto dell’oracolo, che un solco del campo può contenere tutte le parole possibili, che nell’acqua del fiume sotto il ponte c’è l’ombelico della luna che ascolta la terra, che ancora l’argilla contiene alfabeti nascosti». Queste le parole dello scultore, riportate proprio all’inizio della scala che ci conduce alla galleria genovese “ABC ARTE. Contemporary Art Gallery”, dove è esposta la mostra Verso l’annunciazione. Nanni Valentini. Gli anni ultimi (16 dicembre 2021 - 5 marzo 2022), a cura di Flaminio Gualdoni e Luca Bochicchio. L’artista intuisce da sempre una verità fondamentale: che l’arte contemporanea, pur facendo a meno di immagini pienamente riconoscibili, attrae lo spettatore in un regno arcaico dove sarà lui, per primo, a vedere ciò che i suoi occhi sapranno e potranno vedere.
Le soglie, i crateri, i volti, le derive, le trasparenze, sono strumenti da accordare per ascoltare i cicli naturali della terra, modellati dal vasaio, figura emblematica nella sua arte.
Sul tema del vasaio scrive, in Vaticinio, il poeta Nanni Cagnone (WUM p. 23): «Ma come l’argilla / non vuole la mia forma, / così la sorte. Essa non può dire / cosa chiede, non avrai la salvezza / di ascoltare». È difficile “ascoltare” l’indicibile, ma Valentini lavora proprio in questo senso, creando un’opera di terra che getta le sue radici, reali e surreali, proprio verso l’invisibile, senza tralasciare il lavoro tattile sulle cose o i resti delle cose. Scrive lo scultore: «I quattro elementi terra, acqua, aria, fuoco, mi interessano ancora, Così come lo sguardo, la memoria, la previsione. Mi piace manipolare la terra, vedere attraverso una tela, bagnare di colore le cose. Cerco di capire cosa c’è nell’interspazio fra il visibile e il tattile» (RG, p. 31). Il catalogo di un’altra mostra genovese su Valentini, esposta nel 2019 sempre negli spazi della galleria ABC, portava come titolo: Nanni Valentini. The interspace between the visibile ad the tactile.
Turba e commuove, come sempre in Valentini, l’attenzione affettuosa e visionaria dell’artista verso le sue creature – vasi, crateri, croci, capitelli, crepe, soglie – che sembrano arrivare da una civiltà remota, mai altra, che nasconde i suoi alfabeti e li rivela a chi è in grado di vederli, decifrarli, gioire della loro presenza. Scrive Flaminio Gualdoni: «Valentini è immune tanto dai traffici del gusto quanto dall’arte che si vuole solo discorso intorno all’arte. Ha toccato la terra, ha conosciuto quella complicità oscura, sa che essa è davvero madre, se si ha l’umiltà e la volontà di farsene davvero figli: per esempio, cessando di ragionare in termini di materiale, e colore, e forma, e di ripararsi entro i termini di un confine disciplinare… Lascia che il pensiero si ponga domande grandi, propone dei perché non mediabili, e lascia che la mano segua e tenti il modo e gli strumenti, provando e riprovando.
Ha scritto il suo amico Novelli: “C’è chi riesce a fare e agire senza sciupare nulla di sé e chi si deve consumare tutto per fare una cosa piccolissima. È come voler piantare un seme ben profondo in un terreno duro”. Ma il seme va piantato comunque» (NWT, p. 16). La casa poetica di Valentini è una capanna instabile, aperta dal vento, frequentata da casuali viaggiatori. Ma è anche focolare, colonna, albero maestro, vaso, telaio. Il focolare riscalda gli abitanti, la colonna regge il soffitto, l’albero equilibra la nave, il vaso è forgiato dalla fiamma, il fuso tesse la lana. Il cosmo esiste, perché radici e cielo si toccano. Annota Marco Belpoliti in un saggio, apparso nella rivista “Riga”: «L’arte di Nanni Valentini sa tutto questo perché conosce la radice dell’esistere: in essa anche la nostra mortalità si riconosce. Forse è per questa ragione che nella sua opera è depositato il segno di qualcosa che è insieme noto e ignoto, risaputo e segreto. L’origine agognata dall’artista è sempre a portata di mano, ma è sempre inaccessibile; sta sul fondo dell’essere, è quel fondo, è il segreto geloso di ogni nascita e di ogni morte. Questo segreto è custodito dal silenzio. “Il pensiero che sottende il mio lavoro mi fa credere che anche il vuoto come il silenzio non possa fare a meno del proprio oggetto, anche se questo è all’infinito e che l’arte come la poesia sia un cosmo dove l’archeologia è senza memoria, e dove le cose disperdono i significati, ed il senso non è trasparente”» (RG, p. 151).
Spesso è Valentini a scrivere per primo della sua opera. Ha bisogno di definire a se stesso quanto fa accadere nella materia. Non è una questione concettuale ma di irrefrenabile ricchezza interiore: la vita dei suoi oggetti è accresciuta dalla magia delle parole con cui non “definisce” ma “racconta” il suo atto creativo: «Possiamo immaginare l’argilla come momento centrale di una dialettica acqua-fuoco, oppure come materia del vaso, ossia come materia che lega in un continuo il centrifugo e il centripeto. Il vaso cretese dove sta dipinto un polipo che tenta di afferrare l’orizzonte che gira all’infinito attorno al proprio asse è forse l’immagine più pregnante… Un mio amico poeta dice: non c’è alcuna profondità in poesia. C’è tremenda l’insonnia della superficie». Valentini indaga quella superficie insonne di cui parla l’intimo amico Nanni Cagnone. Non crea un’arte allusiva. Inventa un’opera composta non di immagini remote ma di gesti materici presenti e ardenti, che scavano da fuoco, argilla, terracotta, le loro forme sempre cangianti. «La materia nella memoria si fa memoria e diventa prensile solo allo sguardo, percorribile solo al concetto. Nel loro possibile le cose possono vivere nei luoghi interdetti e fuori dei segni rassicuranti» (RG, p. 70). Valentini ci mostra uno spazio reale ma mitico, dove le cose continuano ad accadere come in un sonno cosciente; crea schizzi, disegni, trasparenze, che sono nuove aperture di senso.
Nelle sue astrazioni c’è sempre, dietro il visibile, un mondo invisibile, vissuto in modo non naturalistico ma simbolico. Il simbolo, in Valentini, non ha nulla di teoretico: allude a ciò che non c’è con cenni che vengono da un altrove tangibile: «l’avanguardia è un problema di apertura, non apertura del discorso ma apertura del senso. Quando inizi una cosa, quando fai una scultura, quando fai quello che fai, la prima cosa non è come poi la fai, ma la prima idea che hai avuto, quella è l’apertura al senso» (RG, p. 118).
La storia di questa mostra genovese viene descritta con chiarezza nel comunicato che la accompagna: «Il 19 gennaio 1984 si inaugurava una personale di Nanni Valentini al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano. Era il primo riconoscimento pubblico del lavoro di Valentini, giunto al culmine della sua breve stagione di maturità: le opere esposte sono divenute pietre miliari del suo percorso, Deriva, Il dialogo, e soprattutto Annunciazione, l’opera con cui riemergeva prepotente la sua idea di una statuaria possibile e un legame non di facciata con il sacro, tra fisica e metafisica. In catalogo, in quella mostra, le opere erano accompagnate dalle testimonianze di alcuni compagni di strada, Pier Giovanni Castagnoli, Umberto Galimberti, Francesco Leonetti, Giorgio Soro, che collocavano il lavoro di Nanni nell’interstizio fervido dei problemi legati alla forma e alla materia. Purtroppo quella fiammata straordinaria si spense subito: il 5 dicembre 1985 Valentini moriva improvvisamente.
Oggi la galleria ABC-ARTE riprende quel momento straordinario ricostruendo la quasi totalità della mostra del 1984, con l’aggiunta di pochi pezzi tesi a documentare quella stagione, sotto il titolo Verso l'Annunciazione. Nanni Valentini. Gli anni ultimi. Si tratta di un omaggio doveroso reso a Valentini in un momento in cui finalmente la profondità del suo magistero è stata in larga parte compresa: e di un ripensamento critico dell’anomalia strepitosa rappresentata allora da quelle opere. Flaminio Gualdoni, che fu regista nel 1984 della mostra al P.A.C., riannoda i fili di quel discorso e li conduce alle risultanze estreme in chiave critica contemporanea con il supporto di Luca Bochicchio. Accompagna la mostra un nuovo volume monografico bilingue ABC-ARTE edizioni con saggi dei curatori Luca Bochicchio e Flaminio Gualdoni ed un ricco apparato di immagini messe a disposizione dall'Archivio Nanni Valentini».
Vorrei concludere queste brevi riflessioni sull’esposizione genovese con le parole stesse di Valentini, il primo e il più efficace fra i commentatori della sua opera: «Ho scelto la materia come poetica e, soprattutto identificandomi con la terra; (…) come un partner che mi risponda con segni suoi (…) Mi piace considerare la terra solo come luogo di una poesia, un luogo vuoto e perciò aperto al possibile, dove l’unico rischio è quello dell’impronta. Il diamante che imprigiona “la luce”, quindi tutto l’esterno; la parete-calce che riflettendo diffonde invece tutta la “luce”, rinunciando quindi alla propria forma: il cratere che accettandosi come spettacolo in-forma e il seme che nasconde ogni possibile rumore, sono i poli-tipo delle immagini che ho sulla materia» (RG, pp. 70-71). Aggiungerei che è proprio il silenzio della materia trattata a guidarci verso le sue immagini. La sensazione, delicata e potente, percepita tra frammento e frammento, è quella di entrare nella totalità di una scena sacra che ci possiede, ipnoticamente, fin dal primo momento in cui la incontriamo.
Alcune sue “soglie” e “colonne” non evocano l’ulteriorità di un Rothko ma un’ossessione capace di penetrare nelle forme cave della terra e scavarne un “respiro-dialogo” che vuole essere condiviso. L’immaginazione attiva dello scultore percorre la memoria senza tempo della terra, gli oracoli e i labirinti, i fantasmi e le lune, come una forma fluens. L’artista, fonditore e vasaio, mette le mani nella materia, attualizzando il simbolo, reinventando il passato remoto con segni nuovi e antichi. Sentinella insonne della sua opera in movimento, Valentini scrive della sua soglia di uomo nella terra/cosmo: «Sono segni, ancora segni nel e del paesaggio, ombre, luccichii, scalfitture, crepe, vuoti, sguardi, attese, segni visibili dunque. Quelli invisibili, che cerchiamo, sono ancora custoditi gelosamente nella terra, ma il presagio già li percorre, sono dietro di noi, sotto la pelle, fra le pieghe delle trame, nascosti in una memoria senza codici, preservati nell’anima del tempo con tutti i successivi segni» (RG, p. 70).
Libri consultati
- A.Bee, P. Iacchetti, T. Raulich, N. Valentini, Where the unmeasurable meets the meausurable, ABC Arte, Genova, 2020 (WUM).
- RIGA. Nanni Valentini. 3, edizioni Hestia, 1992 (RG).
- Nanni Valentini, The interspace between the viisibile and the tactile, ABC Arte Genova, 2020 (NWT).
Verso l’annunciazione. Nanni Valentini. Gli anni ultimi, a cura di Flaminio Gualdoni e Luca Bochicchio.
ABC ARTE. Contemporary Art Gallery, Via XX Settembre, 11A, 16121 Genova
Da 16 dicembre 2021 al 5 marzo 2022.