L’ultima estate di Lucy Christalnigg

15 Agosto 2014

Un’estate infocata ed intensa era iniziata. I giorni roventi, seppure lunghi,

se ne fuggivano avvampati come bandiere in fiamme, alle notti di luna

brevi e afose si alternavano brevi e afose notti di pioggia, le settimane

splendenti trascorrevano deliranti come rapidi sogni, sovraccarichi di visioni.

Hermann Hesse


Il titolo di questo racconto forte e struggente di Nello Cristianini - L'ultima estate. Storia di Lucy Christalnigg e della fine di un mondo - ricorda L’ultima estate di Klingsor (Klingsors letzer Sommer), di Hermann Hesse, e anche la personalità e il destino della protagonista Lucy Christalnigg ricordano un po’ quelli del pittore Klingsor, anche lui morto poco più che quarantenne, anche lui dopo una vita bruciata da passioni ardenti e vissuta con irrequietezza smaniosa. Ma le affinità con Hesse terminano qui. La differenza sta nel grado di realtà: se il romanzo di Hesse è di sapore autobiografico, quello di Cristianini è cronaca puntuale, seppur romanzata, di un fatto davvero accaduto (non inganni l’assonanza dei cognomi: Nello non è parente o discendente di Lucy o di suo marito, il conte Oscar Christalnigg).


Lucy, indomita e volitiva, fin da bambina ama il rischio, la velocità, le imprese estreme, è piena di una vitalità oscura e prorompente che sfoga in lunghe corse a cavallo e, da adulta, in una passione sfrenata per l’automobile, che impara subito a guidare e che la vede protagonista, e vincitrice, di numerose gare nella natia Carinzia a bordo di una veloce Itala 25/40 HP. Dopo un matrimonio precoce e male assortito con un nobile pacato, rispettoso delle leggi e interessato solo alla caccia, Lucy ha tre gravidanze, tutte con esito infelice. L’ultima le ha regalato una bambina che, a quattro anni, muore per un’infezione, lasciando la madre in un deserto di disperazione. Il suo carattere, già spigoloso e solitario, si inasprisce e si tinge di ossessività. Le sue trasgressioni e i suoi eccessi, mediati dall’automobile, si moltiplicano, insieme con la sua esuberante generosità di patronessa della Croce Rossa.


Cristianini tratta con grande indulgenza le stravaganze della contessa Lucy e questa comprensione si trasmette al lettore, che finisce con l’amare questo personaggio così altero ed eccentrico, perdonandogli l’arroganza e l’insolenza in nome della sorte cui andò incontro nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1914. E qui la storia privata della contessa s’intreccia con la storia della Grande Guerra: partita in auto da Klagenfurt per Gorizia con un carico di materiale di conforto per i militari destinati al fronte, seguita nella notte paurosa lungo i tornanti delle Alpi da un’altra macchina guidata dall’autista di casa Christalnigg, cui l’autore affida il compito di voce narrante, Lucy viene colpita a morte da un colpo di fucile sparato dalle guardie civili a un posto blocco al quale non si era fermata.

 


La storia in sé è piuttosto semplice, ma il racconto è pregevole per il senso di crescente e oscura incombenza del destino di morte della quarantenne Lucy, per il rapporto appena accennato, ma che s’intuisce profondo e vagamente torbido, tra la protagonista e la giovane dama di compagnia Anna Steiner, in cui Lucy vede sua figlia rediviva e su cui riversa un affetto troppo a lungo compresso, e per la rievocazione della tragedia, tratteggiata nel resoconto trattenuto ma partecipe dell’autista. Con intuizione felice, Cristianini volge al presente il capitolo 15, che narra la disgrazia, il quale assume dunque una vividezza estrema e drammatica. E dopo l’inchiesta sull’incidente, l’autista conclude, assumendo quasi la funzione del coro: «I dettagli dell’accaduto rimasero poco chiari. Di certo c’era che la contessa Lucy era morta al volante, proprio come tanti avevano temuto e previsto da molti anni, ma non in un incidente motoristico, non durante una gara. Sarebbe stato troppo semplice. Morì invece eroicamente in una foresta buia, in tempo di guerra, stringendo il volante e con il fidato cane al fianco, durante una missione per la Croce Rossa.»


Intorno a Lucy Christalnigg e alla sua tragica fine si consuma un’altra tragedia, come indica il sottotitolo del libro: il tramonto, crudele, inatteso e traumatico, di quella che, dopo, si sarebbe chiamata Belle Epoque, osservato nel micromondo signorile e affascinante di Gorizia, la Nizza austriaca, luogo di villeggiatura elegante e mondano della nobiltà austriaca, così diversa dalla città di oggi. L’autore dimostra una penna felice e sicura: nella vivace descrizione della spensierata vita cittadina prima del 1914 – i caffè, i concerti, le fanfare, le ville, i giardini, i viali, la residenza dei conti Christalnigg a Valdirose (che nome straziante di poesia!) – nella cronaca delle illazioni e delle ipotesi sulla guerra imminente, che s’immaginava brevissima e quasi incruenta, e nella descrizione della mobilitazione – «In pochi giorni iniziammo a vedere bande militari, cortei di cittadini e i primi gruppi di giovani richiamati che arrivavano in Piazza Grande dai villaggi.» – nella lapidaria enunciazione dello scoppio del conflitto – «Ritornati a casa [dopo il funerale di Lucy] apprendemmo che nel frattempo la Francia aveva dichiarato guerra all’Austria. La Grande Guerra era iniziata.» – come pure nel ritorno alla pace, lento e doloroso, in una sorta di inerte stupefazione per i tanti cambiamenti subiti da Gorizia – altre idee, altre tradizioni, altre leggi e, soprattutto, altri nomi, in una sorta di ineluttabile violenza sull’anima.
Soprattutto i nomi, il segno dell’identità e dell’appartenenza: sempre nelle parole dell’autista di casa Christalnigg: «Non avete idea che effetto vedersi cambiare il cognome sulla Gazzetta Ufficiale. Quando mio padre venne a sapere che mi avevano fatto cambiare cognome, e che io avevo accettato, mi guardò in modo strano. Morì pochi mesi dopo.» Così la tragedia personale confluisce nella tragedia collettiva, da cui nessuno si salva, neppure i vincitori.


Un racconto documentato fino ai minuti particolari, come dimostra la Nota storica sui fatti qui narrati che chiude il volume, scritto con partecipazione e nitore (la precisione del linguaggio tradisce la formazione scientifica dell’autore, nato a Gorizia ma professore di Intelligenza Artificiale all’Università di Bristol in Inghilterra), architettato con sapienza narrativa e scenografica (si vedano le pagine sul funerale di Lucy o le scene della mobilitazione o il mesto ritorno dei profughi nella città devastata) e soffuso di quella dolente malinconia che accompagna la fine di una persona come il tramonto di un’epoca.

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