La radice del narcisismo e della violenza / Masochismi ordinari
Sono stato indotto a riconoscere un masochismo primario - erogeno - dal quale si sviluppano due forme successive, il masochismo femminile e quello morale. (Freud)
Il masochismo morale fa male… non solo al soggetto, ma soprattutto alla coppia, al partner, alle relazioni. È una conseguenza di quello che Freud ha chiamato il masochismo morale e che si sviluppa quando l’abbandono del masochismo primario erogeno – quello legato ai piaceri forniti dalla madre – risulta incompleto. E allora abbiamo storie che non decollano mai veramente: iniziano, sembrano promettenti ma s’incagliano contro uno scoglio fantasma e restano in secca anche per anni. La non elaborazione del masochismo erogeno, simbiotico, fa mancare il passaggio strutturante e umanizzante al masochismo fondamentale che da quei piaceri primitivi prevede la separazione.
Le forme di impasse che incontra un soggetto nel suo cammino verso il masochismo fondamentale e civilizzatore, si fanno intendere in un libro fresco di stampa – Masochismi Ordinari, Mimesis – della psicoanalista Marisa Fiumanò, la quale rileva la difficoltà che c’è oggi nel sottomettersi, appunto, al masochismo fondamentale, cioè a un regime masochista portatore di un limite, moderato, buono (come il colesterolo), temperato, direi, usando una metafora che prelevo dall’armonia musicale. Se questo temperamento riesce con difficoltà ne va di mezzo anche la musica della coppia e il masochismo morale che allora si produce, più spesso nel partner maschile, la guasta. Si tratta di una piaga il più delle volte non rimarginabile: spesso una donna, all’inizio della storia soprattutto, non vede nell’attaccamento alle figure del passato del proprio uomo ciò che impedisce la relazione. Oppure si tratta di relazioni a forti tratti adolescenziali in cui uno o entrambi i partner restano dipendenti, materialmente o moralmente, dai genitori. A volte, al partner che subisce il masochismo morale dell’altro, l’ostacolo non sembra visibile: è la madre immaginaria, quella dei falsi ricordi. È la Madeleine di Proust, quella mai più ritrovabile dopo il primo assaggio, dice Fiumanò.
Pur essendoci anche dei masochisti morali d’eccellenza – come Dostoevskij per Freud, che guarisce dall’epilessia solo quando è deportato in Siberia; oppure Marx secondo Lacan il quale ritiene che un grande ideale morale spesso si connetta a una vita di sacrificio nella vita sessuale e/o sentimentale – i masochisti morali ordinari, quelli che incontriamo nella vita quotidiana, sono soggetti impossibilitati a scegliere una donna, un Altro, e dimostrano questa impossibilità o avendone molte – è il caso del triste dongiovanni, alla fine solo – , o non avendone nessuna; oppure si tratta di quei soggetti che non possono amare, che non ce la fanno a scegliere la donna che vorrebbero (e a volte proprio “dovrebbero“ scegliere, pur facendo la tara del fatto che ogni oggetto è inappropriato a placare la fame del desiderio). Nei masochisti morali è quasi sempre presente una forma di impotenza, perché la potenza sta tutta dalla parte dell’Altro materno. Il partner che inconsciamente resta legato ai piaceri antichi prende la posizione erotizzata del neonato. Quando il masochismo originario erogeno insiste troppo, avvelena le vite, soprattutto degli uomini (ma, oggi, che siamo in difetto di Edipo, anche di alcune donne). E ciò avviene in maniera più marcata soprattutto laddove esiste un culto collettivo della sacralità della maternità che, dunque, finisce per sostenere il masochismo morale anche a livello del discorso sociale.
Il libro di Fiumanò non tratta del masochismo nella sua forma perversa, ma del masochismo nevrotico, quello che incontriamo tutti i giorni: quello dell’amica o dell’uomo che amiamo o, più semplicemente, il nostro. Parlare di masochismo sembra oggi fuori tema, dato che il nostro non sembra un tempo in cui ci si sacrifica ma nel quale, piuttosto, si pretende. Eppure, oggi i masochismi ordinari sono una cifra della contemporaneità: in essi ritroviamo sia la radice del narcisismo che quella della violenza, come vedremo più avanti.
Per spiegare come funziona il masochismo, Fiumanò sceglie una figura singolare: Totò. Lo sketch analizzato è il seguente: Totò viene schiaffeggiato ripetutamente perché scambiato per un certo Pasquale e non si difende. Interrogato dall’amico sul perché di questa sua arrendevolezza risponde: “Ma scusa, mica sono io Pasquale!” Cosa sta dicendo, Totò? Ci dice, rileva Fiumanò, che il dolore nell’uomo non è animale: non è il corpo animale che prova dolore, ma il corpo soggettivo, quello abitato da una storia. E nel corpo di Totò la storia di Pasquale non c’è, dunque, genialmente, Totò non può soffrirne. Non è a lui che l’ingiuria dell’Altro è rivolta. È qui che s’introduce il fatto che il dolore non è il fine del masochista, ma piuttosto egli accetta la sofferenza – come un corollario, per così dire – come conseguenza del fatto che ci possa essere rapporto con un Altro. Lo schiaffeggiatore non rappresenta un Altro significativo per Totò, quindi anche se la sua guancia è colpita non c’è vera sofferenza. Ciò che è importante per il masochista non è il dolore, ma l’Altro. Non è il dolore che viene cercato nella pratica masochista, tuttavia lo accetta pur di farsi oggetto dell'Altro. Se non c'è l'Altro, che il masochista stesso fatto sorgere, non è pensabile l’eccitazione. Totò non ha “approfittato” del dolore casuale per godere. No, Totò ci indica che per godere della sofferenza bisogna che gli schiaffi siano proprio destinati a noi.
Un altro riferimento “leggero” è la fiaba natalizia di Scrooge, tratta dal celeberrimo Cantico di Natale di Charles Dickens. La storia è nota: al vecchio spilorcio Scrooge è data la possibilità di “vedere” la sua vita sotto un altro angolo al risveglio da un terribile incubo e di liberarsi del suo… masochismo narcisistico. Scrooge, cioè, si libera dall’investire le sue energie libidiche unicamente sul proprio io e riesce a investirle anche sugli altri: sul suo dipendente che ha una famiglia con un bimbo malato, oppure accettando l’invito di suo nipote per il pranzo di Natale, invito che Scrooge aveva sempre rifiutato pieno di sdegno. È una fiaba che parla al masochista narcisista che c’è in ognuno di noi: “ognuno di noi rischia di essere Scrooge", dice Fiumanò. Il narcisismo è un masochismo nel senso che la libido è bloccata all’interno: si chiarisce, così, il legame tra narcisismo e pulsione di morte. Il narcisista è un masochista, non lo avremmo visto con tanta chiarezza senza la rilettura folgorante del personaggio di Scrooge. E questo ci fa pensare a ciò che si cela dietro l’immagine senza immaginazione dell’epoca mortifera in cui viviamo.
Scrooge è il cattivo per definizione, ma c’è anche il narcisimo del buono, ci ricorda Fiumanò. Chi è la persona buona? Le cosiddette persone buone non esprimono nessuna forma di aggressività perché schiacciate da un pesantissimo senso di colpa e manifestano un bisogno di punizione. I buoni sognano un mondo senza fratture né conflitti, vogliono pensarsi senza ambiguità e doppiezze. Non vogliono rinunciare a niente né perdere niente: questo masochismo morale in realtà copre un inguaribile e inconfessato narcisismo, il narcisismo di chi si vuole ad ogni costo intero, dice Fiumanò, non diviso. In un tempo in cui nessuno si sente più in colpa, il masochista morale ci appare proprio come una brava persona. In realtà il masochista morale – che abbiamo visto far naufragare, soffrendo per primo, la coppia – è colui che rinuncia al proprio desiderio. Cito da Masochismi ordinari: “In questo masochismo morale, nevrotico, si spende la propria vita per rispondere alla domanda dell’Altro – e dei piccoli altri concreti che lo incarnano – e non ci si cura del proprio desiderio, sessuato, di uomo o di donna.”
Penso a più d’un uomo che quando trova una donna possibile e il legame si stringe, non può che scappare, soffrendo atrocemente. Penso anche ad amici, alcuni molto cari, tutti uomini intelligenti e, contemporaneamente, impossibilitati a fare il salto nel mondo adulto, nel mondo in cui si sceglie una donna e si lascia il passato rappresentato dalla madre. L’ostacolo fantasma è una separazione non fatta coi piaceri primitivi e mette in luce la pulsione di morte insita in alcune fedeltà familiari dall’apparente bontà. Ricorda Fiumanò che Hiltebrand, scherzando a uno dei seminari milanesi organizzati da ALI, ha detto che i comandamenti dicono di amare la madre, ma non di telefonarle ogni giorno. Né di dormire con lei, aggiungo io, per dire di una pratica oggi quotidiana. La psicanalisi contrasta l’incesto non per ragioni morali, ricorda Fiumanò, ma perché esso impedisce al desiderio del soggetto di emergere e di legare la pulsione di morte. La pulsione, quando va alla ricerca del tempo perduto, è mortifera. Nella analisi del geniale film greco The Lobster (di Lanthimos), che si trova in Epilogo a Masochismi ordinari, l’autrice scrive che il film dimostra come una dittatura sia possibile solo sollecitando proprio il masochismo originario, primitivo, del singolo.
I piaceri fuori tempo e senza argine diventano tossici. È il masochismo del Reale, di cui possiamo parlare dopo la teorizzazione del Reale di Lacan: è il masochismo più duro, quello delle dipendenze. È quello in cui una Sirena malevola chiama il corpo allo sfinimento e all’anestesia al dolore, come nell’anoressia, nella bulimia, e nelle malattie somatiche, e a volte anche in alcune degenerative o autoimmuni. Anche la malattia può essere una droga e può contenere una sua perversa ebrezza. Il masochismo è una forma di tossicomania, dice Fiumanò.
Il masochismo del Reale è un buco oscuro nei confronti del quale anche l’analista deve fare voto di castrazione, calmierare la sua hybris sanandi, per dirla usando un bilinguismo un po’ atroce, perché si tratta di godimenti più forti persino del godimento sessuale. Spesso più forti del transfert.
C’è una via d’uscita? Freud, lo sappiamo, non è molto ottimista per il futuro dell’umanità e taglia corto con l'idea del progresso: la civiltà è sempre messa rischio e non c'è bandiera politica che possa metterci al riparo una volta per tutte dalla barbarie pulsionale, ricorda Fiumanò.
Però, a questo proposito, il libro offre pagine intense sul masochismo fondamentale, vero cuore del testo, introdotto da un ricordo personale, affettivo, della maestra elementare di Marisa Fiumanò che bacchetta con tocchi lievi ma soggettivizzati (e soggettivizzanti) le mani degli scolari e delle scolare, introducendo così il tempo del lavoro e della differenza sessuale. Questo ricordo è collegato da Fiumanò al fantasma trattato da Freud e ripreso da Lacan, definito un bambino viene picchiato. Si tratta di un fantasma del masochismo fondamentale che mette in scena la sottomissione di entrambi i sessi alla legge del linguaggio e che è regolatore della differenza sessuale: il masochismo fondamentale consiste in questa forma di sottomissione… per non soccombere.
Nel masochismo fondamentale si tratta di rinunciare a un po’ di godimento tossico per lasciare che la castrazione faccia il suo, direi, democratico lavoro ed eviti, così, la perversione e la psicosi. Quando De Niro in C'era una volta l'America di Sergio Leone, alla domanda di Moe “cosa hai fatto in tutti questi anni?” risponde “sono andato a letto presto la sera”, cosa dice? Oltre che citare l’incipit del romanzo di Proust, ci dice forse che dopo una vita banditesca di eccessi e violenze, si può abbracciare quel masochismo fondamentale – che qui prende la forma del coricarsi presto invece di bere, drogarsi e compiere azioni criminali – e che ci fa accettare la nostra finitezza e quel limite che solo ci permette di riuscire nella vita: non a caso il senatore, cioè il vecchio compagno di banditismi di De Niro, che si è solo ripulito un po’ ma che non è passato dalla castrazione, si suicida. Il masochismo fondamentale è quello che ci permette di amare, lavorare, pensare, realizzare, in una parola sublimare, anche se non siamo artisti o scrittori o pensatori: e questo è un punto fondamentale della sublimazione, che tengo a sottolineare. Anche la lettura, se non è vissuta come essere riempiti dalla grande “tetta" del libro, ma se si trasforma in una lettura attiva che ci confronta col testo, è sublimazione. Ma anche apparecchiare una tavola per un ospite improvviso senza molte risorse in casa, lo è. La sublimazione è per tutti, anche lei è democratica! E, per tutti, passa da questo masochismo civilizzatore che si raggiunge attraversando la castrazione e che mi pare che offra anche un argomento solido al legame tra castrazione e democrazia, così come lo sprofondamento nell’assenza di limiti è ciò che la dittatura sollecita. Il masochismo fondamentale è quello che subisce poderosi colpi nell’attualità e che invece va recuperato pena l’infragilimento strutturale dell’umanità stessa.
E arriviamo, infine, al masochismo femminile, quello che… non esiste. Le donne non sono masochiste, dice Lacan. Fiumanò puntualizza in maniera radicale che piuttosto che parlare di masochismo femminile è preferibile, seguendo la traduzione di Renata Colorni, dire femmineo. Oppure, secondo la definizione della stessa Fiumanò, a cui aderiamo, meglio ancora dire masochismo femminile dell’uomo. Cito da Masochismi ordinari: “Nei termini posti da Freud la questione non lascia adito ad alcun dubbio: il masochismo femminile riguarda gli uomini, sono loro a parlarne, è un fantasma maschile. Freud precisa che ha ricavato le fantasie masochiste dalle testimonianze dei suoi pazienti maschi (subire il coito, partorire)... Anche se ha a che fare con un fantasma maschile, le donne, in qualche modo, lo assecondano, lo incarnano, lo rappresentano. Questo fantasma fa parte del dialogo tra i sessi... le donne assumono il sembiante di "a" – l'oggetto causa del desiderio – ma non credono affatto di essere "a"... le donne danno solo a vedere di prendersi per l'oggetto”.
La donna non si prende davvero per oggetto causa di desiderio dell’uomo, ma fa sembiante di prendersi, si veste da “a”; “a” è un abito; è una finzione che serve alla causa dell’incontro, del dialogo tra i sessi, dice Lacan. Una donna si apparecchia da sembiante, indossa la sua “a” migliore. Purtroppo, a volte ci sono uomini che credono davvero ad “a”, a una donna scintillante, come se dovesse essere sempre così, anche quando, struccata, dorme.
Il masochismo in una donna è, dice Fiumanò, una “mascherata” della femminilità (fare la poverina, o la bambina). Un’astuzia che sostiene l’incontro sessuale: eroine del desiderio, le chiama l’autrice
Ma il sembiante di una donna non è coestensivo della soggettività di una donna: una donna è ben più del sembiante che gioca nelle relazioni sociali e amorose. C’è una specie di diplopia (essere e non essere “a”) che tocca il femminile: le donne sono costrette a vedere doppio, dice Fiumanò citando la tesi di Jean Marie Forget. Da un lato possono leggere i propri significanti e dall’altro riescono a leggere quelli dell’uomo. O anche, contemporaneamente: lettura del proprio fantasma e lettura del posto che l’uomo le assegna nel proprio di fantasma. È una lettura che, quando va bene, una donna impara dalla madre.
C’è un punto, però, che sembra contraddire l’inesistenza del masochismo femminile ed è il caso delle donne che subiscono violenza: l’estrema dedizione all’uomo che si nota in questi casi, dice Fiumanò, è ancora oscura, ma l’etichetta di masochismo non basta. È nella seconda tappa del fantasma “mio padre mi picchia” il luogo in cui va rintracciata la radice di una predilezione, quel “mi picchia, quindi mi ama” che troviamo nelle dichiarazioni di alcune donne. È un comportamento masochista – contingente, non strutturale, dice Fiumanò – che asseconda l’uomo fino all’eccesso (un eccesso imparato dove?, mi sono chiesta in un altro articolo pubblicato qui su Doppiozero: e che preserva loro un posto d’elezione: essere scelta, essere riconosciuta come unica, fosse anche l’unica capace di sopportare la sua violenza. A costi altissimi, si preserva una identità (moglie, madre, compagna) – è la tesi di Fiumanò – una identità non più soggetta alle erranze perturbanti del femminile. La causa di tutto questo sopportare sarebbe, dunque, una ricerca d’identità. Un mezzo imperfetto, immaginario, per trovare un posto nell’ordine simbolico. E nell’“amore” dell’altro, aggiungerei. Una scorciatoia masochista, non un masochismo vero e proprio.
Anche qui – e così concludiamo ricongiungendoci all’inizio del ragionamento – il soggetto attraversa il dolore purché l’Altro lo veda e ne definisca i contorni del corpo, foss’anche coi lividi. Le donne non vogliono essere rifiutate, dice Fiumanò e, paradossalmente, per questo possono prendere il posto di un oggetto di scarto ma solo sotto il segno di una scelta identitaria masochista che funziona da strategia per evitare modi più complessi per entrare nell’ordine simbolico. Certamente questa è una questione enorme e che resta aperta. Qui Fiumanò offre spunti di riflessione che vanno al cuore dell’enigma degli abissi femminili e di cui non è possibile squarciare definitivamente il velo.