Nel paese di James G. Ballard

2 Giugno 2024

Ballard è stato tra i principali frequentatori di un genere letterario amato seppur non affollato: la fantascienza del presente come osserva Michele Neri, autore del saggio Ballardland (Edizioni Italo Svevo, 2024).

Nato a Shanghai nel 1930 da genitori inglesi ancora adolescente nel 1943 viene imprigionato dagli occupanti giapponesi e relegato in un campo di internamento per due anni. Un’esperienza che riemergerà, con alcuni adattamenti narrativi, nel romanzo L’impero del sole da cui il film di Spielberg con l’identico titolo. Nel 1948 si reca in Inghilterra dove per un paio d’anni studia medicina, poi si arruola nella Raf e nei primi anni ’60 comincia a pubblicare opere di fantascienza. In realtà quel genere lo sfiora soltanto perché intuisce presto quanto poco lo interessi poiché, secondo lui, ha poco a che fare con il futuro, l’era spaziale è finita con l’allunaggio del ’69 e con la stazione Skylab del ’74. Mentre altri scrittori celebrano la missione extraterrestre e gli sviluppi ultra-tecnologici, il nostro si rende conto melanconicamente che ben presto tutto tornerà come prima. “La fantascienza muore quando raggiunge la realtà in quanto la realtà è il presente” (intervista a Lire di F. Bunuel, in “Lo Straniero”, n. 60 del 2005, p.80).

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“Dopo l’allunaggio per Ballard il futuro non è più la Luna o Marte ma la Terra che giace dimenticata in qualche piega della nostra mente e dove avranno luogo i maggiori progressi dell’immediato futuro. (Caronia, Delitto senza castigo. La colpa come collante sociale”, in La città e la violenza. I mondi urbani e posturbani di James Ballard a cura di Prezzavento, Otium-Paoletti editori, 2007). Sismografo del contemporaneo, anarchico e schivo rispetto alle etichette letterarie lo scrittore, ricorda Neri (p.80), è uno dei pochi ad aver fornito un proprio termine al dizionario Collins. Si tratta di “Ballardiano” con cui si vuol designare la “modernità caratterizzata da squallidi scenari tecnologici creati dall’uomo, con effetti psicologici a causa dei cambiamenti sociali ed ambientali”. Non interessa più il dopo ma, come suggerisce il saggio in esame, è prioritario rispondere alla domanda: e ora? (p.45). E ora che i termometri mostrano valori folli e ingestibili? E ora che si ha a che fare con l’intelligenza artificiale? E ora che si verificano trasformazioni epocali? È giunto il momento di concentrarsi sull’“innerspace”, cioè sullo spazio interiore, su come la tecnologia influisce sulla mente e sulle psicopatologie che la affliggono, su come i “mass-media” hanno cambiato il significato della vita, sulle emozioni che si intrecciano tra loro, sulle esperienze vissute in un presente che incombe e da cui si cerca di fuggire. I personaggi ballardiani rispecchiano, sia pure in una deformazione iperbolica, psicologie con autentiche mutazioni antropologiche, come la dissoluzione dei legami familiari, lo svincolamento di molte esistenze da un contesto territoriale, la globalizzazione degli scambi e delle fantasie potenzialmente realizzabili, la concomitante evoluzione dei comportamenti sessuali. Non tutti gli individui sono in grado di far fronte a questi stravolgimenti e quindi sono predisposti a cadere nell’angoscia e nella depressione. 

In questo quadro psicologia e psichiatria hanno un ruolo dominante nelle opere di Ballard. Gli esperti diventano personaggi obbligatori cui si contrappongono gli psicopatici (Vaughan in Crash, Crawford in Cocaine nights, Rafferty in Paradiso del diavolo) che progettano il modo di risollevare gli uomini dall’apatia. Si affermano nuove psicopatologie e terapie che cercano di superare la noia, la depersonalizzazione, la frammentazione dell’identità, ma con scarsi risultati. Gli psichiatri rischiano di confondersi con i pazienti, autorizzando Ballard a descrivere alcuni di loro come narcisisti vulnerabili e potenziali suicidi (“Tutti gli psichiatri sognano segretamente di uccidersi”, Dalle Luche, Recensione a Cocaine nights, in pol.it 2000). 

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“Viviamo in un mondo dominato da finzioni di ogni tipo, “merchandising” di massa, pubblicità, politica gestita come un ramo della pubblicità, traduzione istantanea di scienza e tecnologia in immagini popolari, con crescente confusione di identità nel regno dei beni di consumo” racconta Ballard presentando il film Crash del 1996. E ancora: “Diventiamo sempre più disincantati e impassibili. La gente filma la propria vita con la videocamera provocando una terribile freddezza nella vita ordinaria, non si sente più turbato dalle tragedie, non più toccato da quello che succede agli altri, ma più interessato ad una nuova marca di profumo di televisione o di scarpe.” (intervista a Lire di F. Bunuel, in “Lo Straniero”, n. 60 del 2005, p.81, citata).

L’equilibrio mentale in realtà è anche sconvolto da eventi traumatici, da disastri che emergono come protagonisti dei mondi immaginati da Ballard. Nelle storie di inizio carriera degli anni ‘60, il “disastro” aveva origini esterne, naturali, determinate dall’acqua, dalla terra, dal fuoco, in un presente dove si faticava a sopravvivere (Il mondo sommerso, Terra bruciata, Foresta di cristallo). Successivamente, negli anni ‘70, questa narrativa viene squarciata dalla realtà quotidiana, dall’ambiente metropolitano, dal cemento, dall’asfalto, dal paesaggio tecnologico. Il disastro diventa realtà circostante all’uomo il quale subisce un sovraccarico sensoriale, neurologico. (Mostra atrocità, Crash, Condominio, Isola di cemento). 

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I personaggi sono coinvolti in un processo di “sopravvivenza emotiva” che coincide spesso con la resistenza fisica attraverso meccanismi di difesa. Per Ballard il mondo non è oppressivo come in Orwell, Dick o altri autori che descrivono l’uomo impotente o in fuga di fronte al disastro. I suoi protagonisti invece non evitano la situazione negativa perché alle emergenze non ci si deve opporre ma occorre parteciparvi naufragando dentro e così rendersi conto che c’è qualcosa di più grande da imparare. Questi “Robinson al contrario” grattano la superficie di una realtà stravolta e vanno alla scoperta di nuove identità, anche cadendo dall’autostrada come il protagonista dell’Isola di cemento.

La cifra soggettiva che traspare dalla scrittura è un umore depressivo, disilluso ma non rassegnato, privo di connotazioni positive o negative e quindi scevro da giudizi anche negli scenari più gravi. Il suo immaginare catastrofi è un modo per criticare l’organizzazione sociale, economica e morale esistente e tentare di trovare una opportunità di rinnovamento (p.39). Quindi Ballard analizza i “mass-media”, la tecnologia e gli status-symbol del XX secolo (Crash, La mostra delle atrocità, Il condominio), esorcizza le tragedie personali riscrivendo la storia con “alter ego” a cavallo tra realtà e finzione (L’impero del Sole, La gentilezza delle donne). La sua scommessa è descrivere un mondo che non abbia contatti con l’idilliaca versione ufficiale, per cui un presunto luogo di civiltà organizzata (il grattacielo londinese di Il condominio) si trasforma in un barbarico bagno di sangue tra vicini di casa regrediti all’età della pietra. Ed un ospedale psichiatrico (l’ambiente di La mostra delle atrocità) diventa il luogo per raccontare la schizofrenia da bombardamento massmediatico subito da persone sane di mente. Negli incidenti automobilistici di Crash il feticismo, la tecnologia e la perversione diventano l’ultimo rifugio delle pulsioni sessuali. 

Ballard parla di “morte dell’affetto, della scomparsa della sensibilità” (Mostra Atrocità), cioè dell’impossibilità di provare i sentimenti, di compiere atti affettivi in un isolamento quotidiano che sfida la sopravvivenza in situazioni impossibili. (Dalle Luche, “James G. Ballard e la psicopatologia della sopravvivenza”, intervento al Convegno JB Spazio interno, atrocità, catastrofi, Napoli 2001). Nel racconto “Saluti da Las Palmas” una coppia si ritrova bloccata in un resort senza poter tornare a casa. Quello che sembra un contrattempo si rivela una condizione perenne: le Canarie sono state convertite in un campo di detenzione di massa in cui le persone non più impiegabili nel mercato del lavoro sono costrette a vivere in uno stato d’incertezza. Ancora più ficcante è “Riunione di famiglia” in cui si tratteggia un mondo dove ognuno vive in isolamento dalla nascita, senza interagire con nessuno. I rapporti, anche quelli familiari più stretti, avvengono solo tramite schermi con videocamere in ogni stanza. Le ragioni non sono chiarite, ma si lascia intendere che il distanziamento sociale sia dovuto a una paura psicologica e biologica senza alcuna alienazione. “Non ero mai solo sullo schermo”.

Negli anni ‘80-‘90 nasce per l’autore un nuovo germe tematico rispetto alla produzione precedente che esplora la psicopatologia del quotidiano attraverso ipotesi estreme e provocatorie. La domanda fatidica è: fino a che punto ci si può spingere per scuotere una società pietrificata, senza futuro, ripiegata solo su se stessa? “Quando, nel futuro, riusciremo a vedere i confini della mono-cultura televisiva attuale la troveremo un luogo piuttosto vuoto. Tra cinquanta o cento anni gli storici diranno ‘Mio Dio, è cominciato con il volo dei fratelli Wright, poi c’è stata la Luna, sono andati avanti a scoprire miracoli scientifici, poi hanno finito col sedersi nei loro piccoli bungalow fortificati a guardare repliche di una serie televisiva mentre fuori le telecamere pattugliavano le strade”. 

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E allora, a causa della noia dilagante, la tentazione è verificare se si è vivi. Si costruiscono città ideali, omeostatiche, villaggi turistici dove dominano due forze. Da un lato il comfort con piaceri e vizi disponibili, desideri in vendita, relax come unico obiettivo in una vita che scorre come una perenne vacanza. Dall’altro la sicurezza strutturata su telesorveglianza, guardie armate, badge, tecnologie avanzate, controllo totale che protegge l’agiatezza e l’assenza di preoccupazioni. L’unica libertà per rianimare la routine mortifera è curarsi con la violenza gratuita, la fuga nella follia, la devianza, la distruzione dell’ordine costituito. La “colpa” assume così una funzione sociale perché attribuendosela si consente alla società di proseguire la sua strada (Caronia “Oltre la fantascienza”, in Archeologia del virtuale, Ombre corte 2001). 

In Cocaine Nights la prospettiva è un futuro ozioso, senza stimoli salvo comportamenti devianti, violenti, perversi che potrebbero diventare la nuova norma su cui costruire rinnovate forme sociali. In un mondo per la gran parte impostato su luoghi di lavoro, gallerie dello shopping, appartamenti prefabbricati, strade trafficate, frenesia, “di fatto in uno stato di massima sicurezza grande quanto un villaggio”, la vita estiva è scandita da feste, piscine, spiagge, tintarelle, sport, alcolici, stupefacenti e case ultramoderne. Ma gli abitanti sono immersi in una “routine” di piaceri e nella confortevole sicurezza, spegnendosi così progressivamente come fossili viventi sepolti in tecnologici santuari di fine millennio. Quando si scatena l’incendio di una tenuta con la morte di tre membri della famiglia e due domestici, il fratello dell’arrestato viene a sapere che nel momento dell’incendio gli occupanti si intrattenevano con i rispettivi amanti mentre nella casa era in corso una festa e alle prime fiamme nessuno è intervenuto. Accerta poi che nelle case e sulle strade avvengono regolarmente furti, spacci di droga e stupri, mentre l’omicidio è soltanto l’ultimo evento di ultra-violenza. “Il potenziale della violenza è enorme, è un sintomo della necessità di distruggere le soffocanti convenzioni che governano le nostre vite. Gli esseri umani oggi dimostrano una violenza profonda, sconsiderata che spunta fuori nelle gare automobilistiche, nella pornografia su internet, negli sport di contatto come rugby e calcio, nella televisione, nei reality.” Per ridare emozioni è necessaria quindi una terapeutica ondata di crimini per cui l’ultra-violenza diviene un rimedio alla vuotezza esistenziale come in Arancia Meccanica di Burgess e poi di Kubrick. Ballard riflette negli anni in cui la tecnologia digitale è entrata nelle case sotto forma di personal computer prima e di smartphone poi. La libertà sperimentabile però su internet non bilancia la diminuzione di libertà (quella vera) nella società del benessere e della sorveglianza, del tutto-e-subito e dell’assenza di valore. E la libertà, quella vera, esce perdente. “Il pericolo è che la gente si rivolga alla psicopatologia per ampliare gli scopi della propria vita e della propria immaginazione.”

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Contesto analogo è rinvenibile in una comunità (Super-Cannes) nella quale vivono e lavorano dipendenti di aziende. Una pediatra accetta di coprire il posto lasciato dal precedente medico che, in preda a un “raptus”, aveva sparato a nove persone togliendosi poi la vita. Il marito la segue e porta alla luce lati oscuri. Di giorno i ritmi di lavoro sono forsennati mentre di notte dilagano rapine, pestaggi, prostituzione minorile. Si viene a sapere anche che i primi abitanti erano soggetti a crisi psicologiche e si ammalavano frequentemente perché non riuscivano a sostenere i ritmi della vita e del lavoro. Ci si rende conto che solo pratiche estreme, fuori dalla legge e dalla morale, avrebbero potuto giovare alla salute mentale e fisica. E di colpo quell’insediamento diviene il paradiso che prometteva di essere. “Le nostre vite sono circoscritte da legislazioni illuminate. La purezza del cibo che mangiamo, dell’acqua che beviamo, delle piante che coltiviamo. […] Nel complesso agire civilmente porta benefici. Di solito rispettiamo i limiti di velocità per interesse personale perché sappiamo che così torneremo a casa sani e salvi. […] Le grandi aziende hanno approvato questa sana e razionale visione della natura umana, ma mi chiedo se tutto ciò possa finire.” Emerge così un “mondo nuovo” regolato da principi propri, inapplicabili al di fuori delle sue mura perché quello dominato da un eccessivo controllo non è un mondo sano, e l’azione violenta restituisce la posizione corretta rispetto al sistema malato. “L’appetito dimostrato durante il XX secolo verso un numero maggiore di prodotti di consumo, di viaggi aerei internazionali, di case più belle e più grandi, potrebbe essersi indebolito. Insomma quante auto può permettersi una famiglia media? Di quante televisioni abbiamo davvero bisogno? Per fare in modo che una società del consumo continui a consumare, le grandi multinazionali potrebbero cercare di intercettare altri lati del nostro carattere. E potrebbe accadere che si ritorni a una vecchia, oscura natura umana, al gusto della violenza e della morte che aiutava a sopravvivere i nostri progenitori ancestrali. Un gusto per la crudeltà, per il sovversivo, il deviante, il perverso.” Nel momento in cui gli agi della tecnologia e del consumismo non sono più sufficienti a sostenere l’equilibrio il sistema crolla e la terapia è una sola, quella deviante. Ballard non la augura, né dà giudizi, ma indica una possibile evoluzione di stampo darwiniano dei nostri comportamenti. “Vent’anni fa nessuno avrebbe potuto immaginare gli effetti di internet. […] Dubito però che qualsiasi altra meraviglia tecnologica possa arrestare la discesa nella noia e nel conformismo… ho il sospetto che la razza umana si muoverà come un sonnambulo verso quella risorsa di cui ha sempre esitato: la sua stessa psicopatologia. Questo terreno avventuroso dell’anima ci sta aspettando con i cancelli spalancati e senza biglietto d’ingresso”. 

James G. Ballard non è un profeta, ma un detective dei meccanismi che muovono la vita attuale attraverso una narrativa che potrebbe definirsi di “avvertimento”. “Scrivo la fiction realista, di tipo estremo. Sono come un uomo che vi attende al margine della strada brandendo un cartello sul quale è scritto ‘Rallentate, andare sempre diritto è pericoloso’. Ecco cosa faccio: non profetizzo, avverto” (Intervista citata, p. 82). “Non mi è mai interessato ottenere consensi sociali, ma voglio turbare, innervosire, provocare il lettore. Ho seguito le mie ossessioni, convinto che mi avrebbero portato verso strane destinazioni ben oltre i confini della mappa.” (Extreme Metaphors, Fourth Estate, 2014). 

È quanto ha segnalato, con la proverbiale lucidità, Mark Fisher: “Ballard riscrive il disagio della civiltà di Freud, analizza le opportunità negative che indeboliscono la tendenza della civiltà a controllare i propri impulsi” (Non siamo qui per intrattenervi, Minimum fax, 2022).

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