Unicredit e la torre sovietica
Come più o meno tutti sanno, in questi giorni si sta ultimando il grattacielo al centro della grande operazione immobiliare di Porta Garibaldi. Due “C” nel cuore di Milano, 35 piani e 231 metri, antenna compresa nel prezzo.
Per la cronaca, l’ha disegnata Cesar Pelli (85 anni, allievo di Saarinen, quello delle Petronas Towers) all’interno di un masterplan molto criticato (oltre centomila metri quadri costruiti). La torre ha il suo nome, sarà la più alta in Italia e ospiterà, pensa te, Unicredit.
Al netto delle informazioni sul progetto, è chiaro a tutti che siamo davanti a un fatto storico: il grattacielo più alto d’Italia sarà il grattacielo di una banca. Sopra la Madunina, sopra la Regione, sopra il potere politico e religioso, svetta il potere economico. È un dato su cui, in questi giorni indignati, non si può soprassedere.
Siamo tutti nati in città nelle cui piazze principali si ergono, totemici, chiese, comuni e palazzi reali. E per secoli il potere politico ha ricevuto l’investitura dal potere ecclesiastico, come cristallizzazione di un destino (o di un volere) che trascende quello terreno. E invece adesso (lungi da qualsiasi nostalgia) consegniamo il punto più alto del cielo ai mercanti. A loro spetta il primato. Senza tanto andare per il sottile.
Come spesso accade, però, la storia procede per buffi inciampi, ed essa stessa forse, in fondo, ne coglie l’ironia. E allora succede che scavando in un possibile archivio visivo dell’architettura, a furia di guardare quella guglia, si metta a fuoco un’inattesa somiglianza con il costruttivismo russo, l’architettura comunista, i virtuosismi elicoidali di Pevsner e Naum Gabo e, più in generale, gli anni dell’esperienze progettuali sotto Stalin. Deve essere un caso, ma più lo guardi più quel tovagliolo da centrotavola per matrimoni non è altro che una versione lucida e smerigliata del monumento alla terza internazionale, del compagno Vlamidir Tatlin.
Sembrerà provocatorio e un po’ grottesco, ma in fondo il totem del nostro capitalismo fa il verso al totem (mai realizzato) del comunismo. Buffo si, ma meravigliosamente inconfutabile.
Va da sé che sia un caso, e che il “rotolo” architettonico non sia un marchio del PCUS, ma resta da registrare che in giro per il mondo di guglie così non ce ne sono, che ci sarebbero mille modi diversi per farle e che, invece, il nostro grattacielo più alto è, dopo un secolo, l’unica realizzazione architettonica che si avvicina al sogno di Tatlin.
D’altronde il caso è nella storia il più fecondo produttore di simboli (la croce, per esempio) e quindi forse è bello pensare che quella torre è sì riuscita a superare Duomo e Pirellone, ma lo ha fatto preservandone nostalgicamente Peppone (Tatlin) e Don Camillo (la guglia). Come se Cesar Pelli, involontariamente, ci avesse ricordato che l’economia di questo paese è, e forse sempre sarà, solo la tangente di uno stato sociale, (post) cattolico e comunista.