Le “chiacchiere al caminetto” al tempo dei social media / #matteorisponde su Facebook
Franklin Delano Roosevelt inaugura il 12 marzo 1933 le “chiacchierate attorno al caminetto”, instaurando per la prima volta un rapporto diretto attraverso la radio con il pubblico americano. Le sue prime parole erano dirette: “Miei cari amici… La civiltà è un albero vecchio: man mano che cresce aumentano i rami marci. I Radicali dicono abbattiamolo, i Conservatori dicono non tocchiamolo, noi Liberali cerchiamo il mezzo per salvare il tronco vecchio ed i rami giovani”. Unendo un tono colloquiale alla dimensione istituzionale, Roosevelt si rivolgeva direttamente ai cittadini entrando nelle loro case, dando le sue opinioni su quanto accadeva nella politica americana e nel mondo e costruendo un racconto dai toni confidenziali della sua legislatura. Fu un presidente molto popolare e amato, in particolare dalle famiglie americane.
Il 5 aprile 2016 il premier Matteo Renzi lancia una diretta di oltre un’ora su Facebook – e in contemporanea su Twitter – all’insegna del #matteorisponde, con “oltre mezzo milione di visualizzazioni e un milione di persone raggiunte”, come racconta in un Tweet Paolo Barberis, Consigliere per l’innovazione del Presidente del Consiglio.
Sono i nuovi “discorsi al caminetto” all’insegna della disintermediazione.
Matteo Renzi è dietro a una scrivania con computer di fronte e cellulare al fianco, sullo sfondo il particolare della bandiera italiana e di quella dell’Europa: un contesto istituzionale e confidenziale allo stesso tempo. Ce lo dicono il tono diretto utilizzato, la lettura di commenti su Facebook e mentions su Twitter che ripete il nome di chi pone le domande, lo sguardo attento a seguire quanto accade sui monitor di PC e cellulare, quella camicia bianca con le maniche arrotolate e la cravatta nera. La scelta, sottolineata, è di partire da domande scomode, instaurando un rapporto diretto e dando la sensazione che ogni domanda sia ammessa. Eventuali insulti e provocazioni inutili si possono leggere nello stream dei commenti che si susseguono vorticosamente, ma è la lettura di Matteo Renzi a dare il contesto della diretta e a costruire il frame del discorso.
Siamo lontani dalle logiche unidirezionali della radiofonia di Roosevelt perché Facebook e Twitter consentono un senso di disintermediazione nel contatto con il Presidente Renzi. Ma il calore e l’intimità della diretta resta, passando dai nostri schermi personali di pubblici connessi.
Stare in diretta su Facebook è quasi più potente di essere trasmesso a reti unificate. È la potenza della visibilità che passa nello stream quotidiano, confidenziale e vicino; connesso ed emotivo. La sensazione di prossimità e confidenzialità è connaturata al mezzo utilizzato, è ambientale, è parte dell’esperienza di utenti che producono e commentano contenuti in continuità. Uno di questi utenti, Matteo, lo fa in video, leggendoci, parlandoci, meta commentandoci. Prendendosi tempo. Alternando monologhi su come vorrebbe lavorare (per esempio sulle unioni civili) a risposte scomode a un proprio fake (Renzi Silvio sull’accusa di bancarotta al padre).
È la pienezza della disintermediazione e la visibilità della sua illusione
Il nostro rapporto è diretto ma come quello di un’audience di un palinsesto deciso da chi sta andando in diretta e che è autore e regista di se stesso. Renzi (senza aiuto da parte del suo staff) sceglie le domande, comode e meno comode; alterna emotivamente i temi inserendoli in un frame confidenziale-istituzionale che vale più del contenuto stesso. Non esiste replica possibile né contradditorio: i cittadini stimolano e #matteorisponde con il ritmo incalzante dello youtuber più scafato. I giornalisti non sono ammessi, anzi, Renzi inizia la diretta video dicendo che su Twitter “ho anche già sgamato una giornalista che cerca di fare le domande”: il rapporto deve essere disintermediato e chi intermedia – i giornalisti, ad esempio – è escluso. La reintermediazione la troveremo, paradossalmente, proprio in quei soggetti che sono allontanati: i giornalisti, che seguiranno avidamente le parole cercando di riconoscere possibili titoli per i quotidiani della mattina dopo; le testate che replicheranno il video nei giorni successivi funzionando da amplificatori mediali. I commenti del mondo dell’informazione arriveranno, ma poi: disgiunti dalla diretta, in un momento successivo in cui le parole di Renzi avranno già colpito nel segno, costruendo l’agenda mediale e quella su cui dovremo confrontarci noi italiani.
Siamo in epoca di «democrazia in diretta» come ci ha spiegato Ilvo Diamanti, di scambio diretto tra leader e opinione pubblica che si è affermato con quella che è stata definita, da Bernard Manin, «democrazia del pubblico» e come «contro-democrazia» da Pierre Rosanvallon, in cui i cittadini esercitano un controllo più che esprimere istanze. Il potere è quello della sorveglianza e la trasparenza è vista come un valore. Perciò la messa in scena del retroscena, del contatto diretto e confidenziale, dell’apertura degli studi presidenziali, diventa una retorica della trasparenza capace di comunicare immediatezza del rapporto con i cittadini e vicinanza. La diretta Facebook di #metteorisponde è un buon esempio in tal senso.
Facebook e Twitter svolgono la funzione di agenzia stampa immediata capace di parlare contemporaneamente ai pubblici connessi e ai media. È possibile così twittare o postare anticipazioni politiche o decisioni e vediamo trasformare questi contenuti in virgolettati che fungono da titoli dei giornali. È anche un modo di generare l’agenda dei media e diventa una fonte informativa della politica con tutte le potenzialità e le distorsioni del caso: il confine tra la notizia e la funzione di propaganda per amplificazione diventa molto sottile e a volte si incrina.
Quello che accade è che la trasparenza diventa accesso al privato (meglio: alla sua messa in scena), al dietro le quinte, a uno sguardo che per sua natura non è pubblico e che lo diviene perché pubblicato. È trasparente perché è condivisibile ovvero sharabile. La trasparenza si associa così alla retorica della disintermediazione. Eppure qualche re-intermediatore c’è. La presa di parola di Matteo Renzi su Facebook re-intermedia un ambiente di disintermediazione perché, in fondo, la regia comunicativa è nelle sue mani. Ma io che condivido qualcosa che ha condiviso già un mio amico mi penso in un ambiente disintermediato perché anche io posso “farmi” media. Ciò che non è così trasparente è che in rete uno non vale uno, che i nodi hanno una differenza di potenziale che si traduce comunque in dinamiche di potere: per capacità di propagazione, di visibilità, di consenso ed influenza.
Quello che però va riconosciuto a Matteo Renzi è che, in un ambiente in cui la trasparenza diviene una retorica da comunicare, la sua personale attitudine comunicativa mostra l’autenticità del tentativo di disintermediare, un tentativo che risulta credibile per chi ha la consapevolezza nativa dell’ambiente, come @matteorenzi ha. Piuttosto siamo noi, come pubblici disintermediati che dobbiamo crescere, che dobbiamo imparare a sfruttare al meglio queste occasioni di “chiacchierata attorno al caminetto 2.0”, imparando a distinguere le conversazioni da occasioni per polarizzarci fra fandom e hate speech; imparando a fare fact checking di quanto viene detto; diventando anche, perché no, quei citizen journalist di cui tanto parliamo.
Matteo Renzi ha inaugurato un modo ancora più caldo e diretto per abitare un ambiente da in cui disintermdiare il rapporto tra noi e la politica. Ora sta a noi accettare la sfida ed alzare l’asticella.