Tutto ha una fine. Solo la salsiccia ne ha due / Thomas Macho. Il maiale
“Tutto ha una fine. Solo la salsiccia ne ha due” recita un detto tedesco. L’equivalente di “povero Cristo”, in tedesco, è “armes Schwein”, letteralmente “povero porco”. “Andare a fare festa” è “Die Sau rauslassen”, ossia “rilasciare la scrofa”. E l’elenco di detti che coinvolgono il maiale potrebbe continuare, rendendo sempre più evidente il legame tra cultura tedesca e maiale, l’animale più mangiato in Germania. Ma è una peculiarità solo del mondo germanofono (in Austria negli anni ‘30 del secolo scorso si cantavano canzonette dedicate al Wiener Schnitzel, la versione originale, XXL, della cotoletta alla milanese) o il maiale è un animale che, con la sua presenza – a volte discreta, a volte inquietante – attraversa tutta la storia della cultura occidentale (e non solo)? È quest’ultima ipotesi che viene sviluppata dallo storico della cultura viennese Thomas Macho nel “gustoso” libro Il maiale, appena uscito in traduzione italiana per i tipi Marsilio con un’ottima prefazione di Marco Belpoliti.
Macho, fin dalle prime pagine, condisce con una certa ironia la sua narrazione, chiedendosi i motivi per cui, con ogni probabilità, non esiste nessun animale che abbia suscitato e portato ad espressione sentimenti, sensazioni, orizzonti simbolici e concettuali così diversi – dalla sessualità alla gola, dalla sporcizia all'innocenza, dal pericolo alla comicità – come il maiale. Presto detto: i maiali ci repellono e affascinano perché “sono troppo simili e insieme troppo diversi da noi” (p. 19). Macho, che si occupa di animal studies fin dalla metà degli anni ‘80 (prima che la stessa definizione venisse coniata), esprime in queste parole una delle sue tesi più importanti sul rapporto uomo-animale: per ricostruire come uomini diversi, appartenenti ad epoche e culture differenti, hanno interpretato l'umano, bisogna guardare innanzitutto al modo in cui essi hanno trattato, descritto, rappresentato, cacciato, sacrificato gli animali. “Gli uomini hanno fatto sempre agli animali ciò che essi facevano gli uni agli altri”, sostiene Macho in un uno dei pochi altri suoi testi presenti in lingua italiana, la voce “Animale” nell'enciclopedia Le idee dell'antropologia (a cura di Christoph Wulf, Bruno Mondadori, Milano 2007, pp. 52-76. Qui p. 53).
Partendo da questa premessa teorica, Macho si profonde, con Il maiale, in un bell’esempio di storia culturale, che unisce profondità teorica, respiro storico e capacità narrative, oltre a un impianto iconografico estremamente ricco, riportato fedelmente nella traduzione italiana del testo.
La storia del maiale narrata da Macho inizia di pari passo con quella dell’uomo: con le pratiche di domesticazione, la cui storia è ancora da raccontare a fondo; una storia di convivenza e di co-evoluzione tra uomo e animale, una convivenza che ha modificato profondamente, nel corso dei millenni, entrambi i poli del rapporto. Alla storia della domesticazione si affianca quella dei tabù che riguardano i maiali: il lettore troverà nel libro interessanti argomenti, dal punto di vista storico-antropologico, che secondo Macho sono sottesi agli interdetti della Bibbia e del Corano nei confronti della carne suina. Ancora una volta abbiamo a che fare con il maiale quale accompagnatore e animale-specchio dell’umano, argomentazione forse più convincente delle spiegazioni pseudoscientifiche (il maiale come animale sporco) con cui spesso si giustificano i tabu religiosi nei confronti di questo animale. Macho continua la sua storia culturale con l’antica Grecia, dove il maiale era principalmente il maiale selvatico, il cinghiale terribile e temuto, la cui uccisione era compito degli eroi, passando poi ai racconti sui maiali fedeli degli antichi romani, che lodavano nei suini la capacità inusuale di riconoscere e seguire la voce dei padroni.
Nel proseguo del libro Macho ci spiega perché Sant’Antonio abate viene sempre rappresentato accompagnato da un maiale, e perché il maiale sia stato poi fortemente erotizzato, addirittura quale incarnazione delle potenze sessuali infernali. In generale è sempre un duplice sguardo all’opera nelle analisi dell’autore austriaco: quello rivolto al maiale in particolare e quello gettato sull’animale in generale. La storia dell’umano e quella dell’animale vanno raccontate assieme, ci dice Macho, come la storia di una convivenza che, come ogni convivenza, è stata segnata da conflitti e riconciliazioni.
Tra i molti aspetti, aneddoti e immagini che il lettore scoprirà nel libro vale forse la pena riportarne almeno due, tra le più interessanti: l’analisi del film Porcile di Pier Paolo Pasolini, da un lato, e quella della scomparsa del maiale dal nostro vivere quotidiano, dall’altro.
Tramite l’analisi del film pasoliniano Macho ci restituisce in filigrana l’idea di PPP per cui i rapporti di potere si basano sul fatto – arcaico, brutale e insuperato – per cui o si mangia o si è mangiati (e spesso si è mangiati comunque, malgrado la pena che ci si dà per passare dall’altro lato), mentre, con la costatazione della scomparsa del maiale dalla nostra quotidianità, si fa avanti, nella lettura di Macho, l’idea inquietante che i maiali, scomparsi negli allevamenti industriali e macellati lontano dai nostri occhi, siano un’oscura prefigurazione del fatto che “gli uomini hanno fatto sempre agli animali ciò che essi facevano gli uni agli altri”.
Concludendo, il libro di Thomas Macho ci racconta, con una prosa ironica ed estremamente godibile, ma anche informata e teoreticamente fondata, sì la storia del maiale, ma anche la nostra storia, la storia dei rapporti tra l’umano e l’animale, e dell’umano con ciò che in lui stesso c’è di animale: perché non solo il maiale, ma ogni animale ci è al contempo lontano e (troppo) vicino.