Considerazioni psicoanalitiche sul fondamentalismo
125. L’uomo folle. – Avete sentito di quell'uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con il suo sguardo: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi a ucciderlo: voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? (Nietzsche, La gaia scienza)
Il 21 novembre, presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell'Università di Bergamo, ho assistito a un intervento di Hamid Salmi e qui vorrei chiosare il suo intervento di etnopsichiatra e psicologo familiare che lavora all'Università di Parigi 8. Poiché Salmi è berbero, rendo omaggio al suo intervento orale per essere fedele allo spirito della sua lingua materna.
Salmi descrive la nascita e lo sviluppo del fondamentalismo islamico e del radicalismo religioso in Europa partendo dalla morte di Dio.
Il migrante povero va in Europa per essere riconosciuto come altro da sé. Perde la propria autoctonia, il legame con la terra. Fanon descrisse questo fenomeno psichico nei termini di maschere bianche che nascondono facce nere. È qui che si perdono le tradizioni, che si lasciano cadere nell'oblio. Si perde il contesto. La lingua materna si decompone, appare improvvisamente stonata, fuori luogo, corrotta. Al suo posto s’installa la lingua europea. Non del tutto sconosciuta, soprattutto il francese, l'inglese, il portoghese. Però la lingua europea qui è diversa, suona in altro modo. Identificarsi, assimilarsi, integrarsi significa imparare la lingua e, quando si conosce, la sua intonazione.
Anche la religione qui è diversa, non solo perché la maggioranza è cristiana. Qui prevale, verso la religione e la tradizione, quell'atteggiamento blasé descritto da Simmel a proposito degli abitanti della metropoli. La pratica, ancorché rara, è comunque svolta nell'indifferenza della modernità. Gli adulti perdono queste radici che definiscono e delimitano il contesto di appartenenza. Appaiono indifferenti rispetto alla tradizione, ma sono smarriti. È noto, capitava ai minatori italiani emigrati in Belgio con le famiglie negli anni del dopoguerra. I terapeuti familiari allora descrivevano il conflitto tra generazioni come un conflitto tra culture: i genitori denunciavano i figli. Potremmo chiamarlo un conflitto tra modi di vedere il mondo, tra ontologie.
Il bambino entra nel mondo attraverso lo sguardo della madre, lo sguardo smarrito presuppone una difesa indifferente, l'indifferenza è già una formazione sintomatica dello smarrimento: davanti all'altro non posso mostrarmi perso, il non-sapere-che-fare si trasforma in neutralità, qualsiasi scelta è priva di senso. Ogni Essere, nella filosofia di Sartre, è fessurato, abitato dal nulla, ogni Essere, nella filosofia di Deleuze, è costitutivamente equivoco. Perciò la madre, come osserva Winnicott, conosce il modo di nutrire la figlia, il figlio, poco a poco, per salvarli dallo smarrimento. Tuttavia di fronte a questo sguardo smarrito della madre, dice Salmi, di fronte a una madre sottomessa, picchiata, insultata, privata della dignità, nasce un bisogno di saturazione totalizzante. Bisogna ingoiare tutto il mondo in un colpo.
Se si trattasse davvero solo di multiculturalismo, si potrebbero prendere facili provvedimenti interculturali, quasi turistici, maccaroni e cus cus. Tuttavia l'intercultura, come sostiene Brandalise, è un sintomo temporaneo, una formazione compromissoria. C'è qualcosa qui che implica non tanto modi di vedere il mondo, quanto modi di vivere il mondo. La trasmissione della lingua, dice Salmi, non è discorso, è flusso vivente, habitus, maniera di vivere. Come in psicoanalisi: se lo spiego, perde efficacia. I figli di questi genitori smarriti dentro una lingua che non è la loro (“Non ho che una lingua, diceva l'algerino di famiglia ebraica Derrida, e non è la mia”) hanno bisogno di ingoiare discorsi. Ma i discorsi, come ci ha insegnato Foucault, sono rarefatti, soffocano. La rarefazione, i discorsi, la acquisiscono a partire da una sorta di delocalizzazione, i discorsi sono pieni di significato ma privi di contesto.
Così la religione non è più pratica quotidiana. Se il libro dice combatti gli ebrei, combatto gli ebrei, se dice picchia le donne, picchio le donne. Questi figli hanno bisogno di una prospettiva totalizzante e totalitaria, hanno bisogno, dice Salmi, di costruire una cosmogonia. Lo fanno da soli, non dai miti e dai racconti degli anziani, solo dai libri, privi d’interpretazione. Imparano a leggere il Corano come un manuale, il testo perde ogni polisemia, ogni ambivalenza, non ha più un ambiente di riferimento, è un testo universalista, ipermoderno.
Invero il mondo occidentale è una vera palestra per questo tipo di universalismo, non c'è altro da imparare, ormai, nelle università, che non sia manuale da mandare a memoria. Abbiamo imparato che la programmazione (qualsiasi cosa sia la programmazione) va fatta usando linguaggi privi di ambiguità, fatti di corrispondenze bi-univoche, abbiamo imparato che le variabili, per essere misurate, devono essere semplificate e ridotte. Abbiamo costruito un sapere basato sull'evidenza di dati che abbiamo, nel bene o nel male, manipolato. Tuttavia non abbiamo contestualizzato questo sapere e ora confondiamo la tecnica con la scienza. Non ci siamo accorti che, in un mondo in cui la tecnica è scienza, sgozzare una persona può essere solo una questione scientifica, “sangue che cola”, dice Salmi, evocando quanto accaduto giorni fa a Israele.
E infine, come nelle migliori tradizioni totalitarie, i figli si vergognano dei genitori davanti al Discorso. Li rimproverano per non essere fondamentalisti, li rimproverano di non sottomettersi alle regole rigide e univoche di un testo reso totalitario. Come accadeva durante il nazismo, secondo Erika Mann, quando, in La scuola dei barbari, racconta come i figli avessero l'incarico di spiare i discorsi democratici e pacifisti dei loro genitori al fine di denunciarli al regime e farli fucilare, è qui che Dio viene di nuovo ucciso, nei festeggiamenti che inneggiano alle stragi di anziani che pregano.