Intorno al sequel di “Trainspotting” / Avere vent'anni è uno stato mentale

17 Marzo 2017

«Scegli di andare a guardare un film, quello che ha impressionato la tua adolescenza, quello che ti ha messo faccia a faccia col mondo della droga. Scegli di assistere al suo sequel, sperando che ci siano tutti gli ingredienti che hanno reso grande il primo: musica, Scozia, battute dissacranti, scene grottesche. E ora vedi che succede».

 

T2 Trainspotting, nelle sale dal 23 febbraio 2017, è tenuto insieme dalla scrittura compulsiva su carta di Daniel “Spud” Murphy, uno dei quattro protagonisti, cristallizzato in una dimensione acronica a causa dell’eroina. Spud dirime le fila della narrazione attraverso fogli gialli sparsi nel suo laconico appartamento, cercando di mettere ordine negli accadimenti avvenuti vent’anni prima. La non linearità rappresenta lo stile dei romanzi di Irvine Welsh, da cui sono tratti entrambi i film, dove ogni personaggio racconta la sua parte di storia. La disseminazione narrativa riguarda anche il fatto che T2 è la crasi degli avvenimenti di due diversi testi dell’autore, Porno (2002) e Colla (2001), entrambi incentrati sugli svolgimenti delle relazioni amicali nonostante le circostanze avverse. 

 

Solo avendo un quadro d’insieme del passato si può andare avanti e ripristinare l’armonia del gruppo, combattendone i demoni. Purtroppo Begbie, Mark Renton e Sick Boy non sembrano esserne così convinti e finiranno per cacciarsi nei guai come al solito. Finalmente un sequel all’altezza delle aspettative: brutalmente realistico, sadicamente ironico, nostalgico, ma ottimista. 

 

 

 

Il tempo trascorso si percepisce, ovviamente, sui volti degli attori, ma anche nel contesto urbano e sociale: Edimburgo, la quinta protagonista, forse è l’unica a essere cambiata in meglio, anche se il degrado degli anni Novanta sopravvive nascosto in periferia. Il borgo-distretto di Leith è il luogo attorno cui girano le vicende del film, e la sua riqualificazione è la traccia di una Scozia europeista, parentesi che lascia l’amaro in bocca, considerando il termine pre-Brexit delle riprese. Il passato trasborda da oggetti e spazi, cerca di impadronirsi del futuro dei personaggi che, nel bene o nel male, continuano a fare scelte e procedere per una strada ormai battuta da tempo. Il riadattamento del monologo “Scegli la vita” di Mark Renton segue i temi della contemporaneità, nell’ascoltarlo si tira il fiato perché sala le piaghe causate dal malessere della società globale. L’interazione mediata da dati, i contratti a termine da fame, i lunghi viaggi per raggiungere il posto di lavoro, emblemi del disagio che segnano il destino delle generazioni attuali e di quelle future, insieme formano l’epitome dell’odissea vissuta da un qualunque Leopold Bloom millenial. Nel 2017 guardare i treni non sembra più così insensato, però l’enigma della vita da scegliere resta irrisolto.

 

E alla fine del monologo lo stesso Renton ha voglia di cambiare discorso, e noi con lui proviamo sollievo a tornare indietro nel tempo, ad anni peggiori, ma più lievi, grazie al suo ghigno beffardo, così spaventosamente uguale a quello del primo episodio, da sembrare uno degli effetti di flashback che costellano il montaggio della pellicola. In varie occasioni i personaggi si rispecchiano e si raddoppiano per effetti di senso causati dai luoghi che visitano, provocando una nostalgia spaziale e affettiva, grazie a cui si comprendono le cose per cui vale la pena scegliere. I fasti dell’età dell’oro di Mark e Sick Boy sono sussunti nelle gesta di George Best, il massimo esponente della filosofia di vita ad alta velocità, dai pit-stop di genio e stravizio, i cui video su YouTube innescano un’isteria aedica ai danni del loro alter ego venticinquenne Veronika, che li ascolta senza comprenderli. La scozzesità esce vincitrice da Trainspotting, quella in cui amici, pub e calcio formano l’identità dell’individuo regalandogli un bagaglio a cui attingere per sempre, anche se si lascia il luogo natio per lungo tempo. 

 

La regia di Danny Boyle rimane fedele a se stessa e regala grandi suggestioni, come accade con l’ombra di Renton che va a combaciare perfettamente con quella della madre defunta, oppure la trasformazione della camera da letto dell’uomo in tunnel senza fine, sostanziando le dipendenze e le ossessioni di ognuno di noi. 

 

Morale della storia: essere giovani è uno stato mentale, i vent’anni potranno essere ripercorsi anche a quaranta. Finché ci saranno occasioni ed energie da impiegare in nuove esperienze l’età non sarà un problema, basta tenersi occupati e popolare gli anni di vita. È pur vero che dopo le occasioni ci sono i tradimenti, ma questa è un’altra storia. 

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