Shameless
“Dovresti vedere Shameless”, ci saremo sentiti dire in tanti. Io ho anche ricevuto una motivazione di questo tipo: "dovresti vedere Shameless perché, mentre la famiglia tradizionale si disgrega, ecco una fiction che è in grado di produrre meravigliose metanarrazioni eversive sulle nuove forme della famiglia". Forte di una simile raccomandazione, ho guardato la serie intera. La prima cosa che ho scoperto è che il commentatore si sbagliava su un punto: Shameless non è una serie 'perfettamente' americana ma il remake statunitense di una produzione inglese, firmata Paul Abbott, del 2004. La seconda è che, in effetti, in qualsiasi modo si tenti di parlare di questa sceneggiatura, la "mancanza di pudore" della serie (shameless) è fortemente liberatoria.
Il numero dei personaggi che appaiono attraverso le quattro stagioni finora prodotte dà una prima ragione di respiro, dato che si tratta di seguire le vite molto movimentate di più di venticinque personaggi. Sotto questo aspetto, Shameless costituisce il contrappunto culturale di Settimo Cielo, serie americana di grande share, giunta alla decima stagione nel 2007, dove si rappresentava la saga familiare di un pastore protestante. Se in quest’ultima una coppia di genitori educava i propri numerosi figli, in Shameless ci sono cinque ragazzi che combattono contro le nefandezze di un padre irresponsabile. Se Settimo cielo rappresentava una sorta di affresco sulla conservazione dei valori morali legati alla religiosità, Shameless è il racconto di come si possa vivere senza un lavoro e senza un obiettivo di lungo corso.
Una precarietà quasi magica, che forse è l'elemento di maggior fascino del ritmo narrativo della fiction in questione. Un'altra cosa, a ben guardare, rende unica la serie ambientata nei bassifondi di Chicago: lo sfasamento fra quattro famiglie, messe a confronto appena al di sotto dell'apparente centralità di una sola. Infatti, i sei figli di Frank Gallagher, narcisista, alcolizzato e filosofo da bar, crescono nello stesso quartiere dei Ball, dei Milkovich e dei Jackson. La sceneggiatura tratteggia con delicatezza i profili dei coraggiosi Gallagher, ma la trovata narrativa sta nell'averli messi in significativa relazione con le famiglie circostanti.
La prima, quella dei Ball, è formata da una coppia giovane, in cui lui è bianco e lei è nera. Oltre ai lavori di barista e infermiera, Kevin e Veronica Ball per far quadrare i conti fanno lo spacciatore e la porno attrice. E questi sono i buoni. Sono gli amici dei giovani Gallagher, quelli sempre pronti a dare una mano, a seguire come zii benevoli le crisi di ognuno, ad arginare le sbronze micidiali del padre Frank o allontanarlo dai suoi figli quando ha combinato qualcosa di grosso, come rubare tutti i risparmi per comprarsi da bere. Con le altre due famiglie lo sfondo si fa già più drammatico. I Milkovich sembrano usciti da La strada di Cormac McCarthy: non ancora cannibali ma sporchi, violenti e abituati a risolvere i loro problemi rubando e picchiando. Sarà fra i figli della famiglia Milkovich, però, che emergeranno due dei protagonisti più importanti di Shameless. Non rivelerò chi sono, per non guastare allo spettatore il piacere di scoprirlo a partire dalla seconda stagione.
Con i Jackson la sceneggiatura tocca il problema del disagio mentale: una situazione apparentemente più normale delle altre tre nasconde la crudeltà di un padre ossessivo-compulsivo che si vergogna della libertà sessuale di sua figlia e l'alienazione di una casalinga malata di agorafobia. Ecco però che arriva la sunnominata liberazione e il dramma si ristruttura come comico. Sarà proprio la signora Jackson, Sheila, a incarnare uno dei personaggi femminili più surreali e complessi della commedia americana contemporanea. Sheila è una sodomizzatrice, adora infliggere dolore nei rapporti sessuali e si è dotata di un'apparecchiatura ad hoc. Però è madre premurosa, amica sincera, una vera e propria aiutante dei Gallagher. Sheila, cioè, se anche è pazza non è cattiva. E in questa spontaneità di tutti i suoi gesti più incredibili si vede bene perché Shameless ammicchi a un senso della vita 'senza pudore'.
Ammetto di trovarmi d'accordo con chi mi ha consigliato di vedere Shameless per la sua capacità di mettere a punto una specie di fish eye antropologico sulle sorti attuali dell’istituzione familiare. Una lente così ampia che permette di rilassarsi davanti al disagio e alle difficoltà e di riflettere, divertendosi, su quanto la vita sia complessa e la famiglia del tutto incapace di contenere o arginare questa complessità, quando proprio non è stanza degli orrori della durezza di vivere. Resta il punto della visione eversiva che sarebbe o meno un elemento pregnante della sceneggiatura. Per rispondere manca un passaggio sul personaggio principale, il Frank Gallagher già leggenda per migliaia di telespettatori. Frank non è solo alcolizzato, opportunista ed egoista. Ha qualcosa che, a oggi, forse non è mai stato messo in scena.
Da una parte, infatti, si cura poco o niente delle sue preferenze sessuali – in varie parti della serie non esiterà a dirsi gay e si presterà serenamente a giochi erotici estremi per mantenere la comoda posizione di 'mantenuto'. Dall'altra, la sua capacità di fregarsene dei suoi figli o far loro del male non passerà mai per la violenza fisica. È l'oblio la sua dimensione, non il potere repressivo. In una delle scene più divertenti della terza serie, dopo averne fatta una grossa a suo figlio Philip, Frank si lascia urinare addosso, per punizione, dal ragazzo.
Lo fa con un sorriso di solidarietà e divertimento, accettando con coscienza che sia anche così che possono andare le cose fra un padre e un figlio. Lui compierà molte altre azioni perseguendo solo il proprio piacere, senza pensarci, poi vedrà quali saranno le conseguenze, più o meno accettabili. Ma di fondo, forse, sì, Frank considera tutti liberi. E questo per i modelli di una serie americana che rappresenta la relazione fra padri e figli, è una nota di dissacrante democratizzazione del potere.