Oltre l'estetica di Calimero
Cosa ci spinge a esibire le campagne pubblicitarie di cinquanta, sessanta anni fa? A considerarle mirabili? A Roma si è conclusa la mostra Il cibo immaginario, mentre a Milano una retrospettiva su Calimero, storico testimonial del detersivo Ava, proseguirà fino al 9 marzo. Sono gli esempi più recenti. Ciò che la cultura ufficiale non dedica al linguaggio pubblicitario dei suoi anni, lo fa con vecchi poster, figurine da collezionisti, gadget ingialliti.
In effetti ogni epoca della pubblicità consente ottime selezioni su base estetica. Anche quella attuale. Le campagne degli ultimi dieci anni sarebbero altrettanto rappresentative – così come viene detto delle vecchie – dei mutamenti sociali e culturali. Però quest'altra mostra dell'oggi non può davvero avvenire. Perché? Il punto è in un fenomeno poco osservato: il cambio di natura della pubblicità nel tempo. Dentro la sua epoca essa suona invadente, aggressiva, magari anche disumana, ma lo sguardo dei posteri la rende innocente, innocuo svago, arcadia immaginaria di un consumismo sano, forma del bello.
Davanti a Calimero per esempio si possono ricordare le parole di Elsa Morante, che nei primi anni sessanta scriveva "quei disgustosi pupazzi televisivi che ormai infestano tutta l’Italia, e coi quali oggi l’industria nazionale esercita la vera corruzione dei minorenni…”. Non certo per maramaldeggiare a distanza di mezzo secolo (può anche darsi avesse ragione!). Tuttavia oggi sarebbe difficile trovare un grande scrittore disposto ad attaccare Topo Gigio. Il solo dirlo suona parodistico. E questo è un evento d'interesse che non scalfisce minimamente la grandezza della Morante, chiarendo semmai il senso del nostro sguardo.
Il nostro rapporto "colto" con il consumo, quindi anche con il linguaggio delle merci, è ammantato d'ipocrisia. Solo a distanza di tempo la cultura ufficiale sembra sentirsi autorizzata a esprimere la propria ammirazione, a rivelare il suo legame con le invenzioni linguistiche e visive di allora. A quel punto magari anche esagerando in apologie. Così questa nostra memoria fuori asse recupera ciò che avremmo qualche remora ad ammettere: la nostra effettiva partecipazione al consumo spettacolare.
Di queste mostre interessa dunque non solo il nostro rapporto sentimentale con il linguaggio di allora ma quello evitato con il linguaggio di adesso. È in corso un'unica grande esposizione, insomma, nella quale il consumo dei colti contempla la sua infanzia, tralasciando in questo modo di riflettere sulla sua maturità, sul presente vissuto nei supermercati, nelle vie commerciali, persino davanti ai bidoni della spazzatura. Attenzioni per l'immaginario di allora, distrazione per quello di oggi.
Ostentiamo casualità verso il mondo del consumo. Ci comportiamo come se la società di massa fosse una stortura della storia. Andremo a una mostra su quello che stiamo vivendo.