Speciale

Diario russo 10. Isolamento

28 Maggio 2022

Isolamento, è una delle parole di questi mesi di una guerra annunciata come un’operazione veloce e indolore. Non si tratta solo delle sanzioni e della rottura delle reti della logistica, o dell’uscita di questo o quel marchio dal mercato russo, ma di una solitudine, di una esclusione, temuta e facilmente prevista da una parte della società, e agitata dall’altra come motivo d’orgoglio e di vanto. Un orgoglio che però evita di chiamarlo così, cerca lunghe e arzigogolate spiegazioni, individua nuovi giri di parole per provare a tamponare la sensazione crescente di fine di un’epoca.

 

L’ultimo di questi termini da improvvisata neolingua è stato proposto dall’ex presidente e già premier Dmitrij Medvedev, un tempo considerato speranza “liberaldemocratica” da certi media occidentali e oggi sostenitore di misure radicali come il ripristino della pena di morte: l’attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa ha invitato ad adottare al posto di importzamešenie (sostituzione delle importazioni), considerato “un po’ umiliante”, l’espressione “technologičeskij suverenitet” (sovranità tecnologica). Vien da chiedersi se questa nuova boutade del fu premier, all’epoca della sua permanenza alla Casa Bianca (sede del governo russo) oggetto di lazzi e meme d’ogni tipo, sia uguale alla saga degli smartphone russi, da produrre nel paese, risoltasi nella produzione di telefonini con sistemi operativi Google e componentistica cinese o taiwanese. 

 

Una spasmodica ricerca di dimostrare al mondo (a tutto, non solo all’Occidente moralmente degradato) di poter far da sé, che spesso si traduce in situazioni sempre all’incrocio tra il tragico e il comico: l’AutoVaz, il gigante automobilistico frutto della collaborazione tra Fiat e Urss, ha ricevuto in questi giorni i permessi necessari per produrre macchine senza l’airbag e altre “comodità” ormai necessarie per la sicurezza di chi guida e dei passeggeri; nel 2014 si proclamò anche la volontà di voler rinominare il caffè americano in “crimeano”, come vendetta verso le sanzioni seguite all’annessione della penisola, una boutade caduta nel vuoto. Una volontà di potenza, da parte di un settore dell’establishment, che ha ben poco di razionale, anzi, spesso si rivela anche controproducente.

 

E l’isolamento viene perseguito con costanza in questi giorni, unito a una indifferenza ormai totale alle possibili conseguenze. In questa settimana il ministro dell’Università e della Ricerca Valerij Fal’kov, un passato recente da rettore dell’ateneo statale di Tjumen’, trasformato sotto la sua direzione in un centro d’eccellenza con numerosi progetti internazionali, ha dichiarato la volontà di voler procedere all’uscita della Russia dal Processo di Bologna.

 

 

Non sono stati annunciati progetti alternativi, tentativi di procedere a possibili accordi con altri paesi per creare un proprio spazio dell’istruzione, no: l’idea è di istituire un sistema esclusivo, puramente russo. In questa posizione si ravvede il cinismo che pervade il Cremlino e il governo russo: assenza di strategie complessive, scelte prese senza alcuna preparazione, e a pagare le conseguenze saranno gli studenti e i docenti.

 

Già, perché la svolta proposta non si capisce al momento come verrà attuata, si parla di un periodo transitorio di due anni, senza però abolire l’odiatissimo Esame statale unico, l’Ege, alla fine delle undici classi della scuola: forse, se si vuol pensar male, perché è un’ottima occasione di lucro, ed è stato proprio l’Ege a peggiorare l’istruzione russa, con i suoi criteri e le sue domande basate sulla conoscenza mnemonica e sul saper come compilare i test, rendendo l’ultimo anno scolastico un momento di stress feroce per i ragazzi, e di nessun apprendimento se non come affrontare i quiz. L’Ege era stato inserito nel sistema russo perché, sostenevano i burocrati ministeriali, lo richiedeva il Processo di Bologna, giustificazione a me sempre sembrata strana, visto che la maturità italiana si svolge in altro modo… Ma soprattutto pensare di voler uscire senza alcuna alternativa vuol dire un’altra cosa, ancora più grave: i diplomi di laurea del nuovo sistema di cui ancora nulla si sa non verranno riconosciuti all’estero. In questo modo, probabilmente, si vuol far fronte alla fuga dei cervelli, che in alcuni settori come l’IT è significativa, privando i cittadini della possibilità di crescere con delle esperienze all’estero. 

 

Già per tanti studenti la guerra ha voluto dire dover ripensare al proprio percorso, perché programmi e scambi si son chiusi, mentre per altri, provenienti dall’Ucraina o che hanno preso parte alle proteste, la cosiddetta operazione speciale è stata la fine dei propri studi. Casi di studenti mandati via dagli atenei, di cittadini ucraini che hanno dovuto lasciare le aule universitarie (fossero essi studenti o docenti), di minacce e di pressioni sono all’ordine del giorno. La propaganda prova a penetrare anche lì, e però spesso riesce solo a rafforzare il sospetto e l’ostilità verso di essa, come successo durante l’incontro con Maria Zacharova, volto pubblico del Ministero degli Esteri, all’Università federale degli Urali a Ekaterinburg. Dopo una lezione di due ore e mezza dedicata ai classici temi della guerra dichiarata dai paesi occidentali contro la Russia e dell’impegno di Mosca per un mondo multipolare, una ragazza ha chiesto di poter fare una domanda, in realtà un vero e proprio intervento che val la pena tradurre per il diario. 

 

Il governo russo, e in particolare il Ministero degli Esteri, nel corso dei decenni ha parlato più volte della sovranità, dell’autodeterminazione dei popoli e però a un certo punto ha deciso di chiudere gli occhi sull’indipendenza dell’Ucraina, sulla sua sovranità, e in qualche modo ha deciso il destino della nazione senza la sua stessa partecipazione. Se la memoria non mi trae in inganno, nessuna autorità ha chiesto alla Russia di liberarli dai neonazisti, di denazificarli, non hanno chiesto nulla del genere, e non vi è stato alcun referendum nel quale l’80% degli ucraini si è espresso per l’entrata delle truppe russe nel territorio ucraino, per il bombardamento di Kiev e di altre città. Come mai è successo questo?”

 

La risposta della Zacharova, nota per il suo stile alquanto lontano dalla diplomazia, non si è fatta attendere, ma la studentessa, ad oggi ancora non toccata da provvedimenti o altro, non si è sorpresa: in una intervista anonima a Doxa, ha detto che sapeva già cosa avrebbe detto la portavoce ministeriale, e non voleva convincerla, assolutamente, ma bisognava intervenire, bisognava portare il proprio punto di vista perché doveva esserci, perché doveva ascoltarlo, lei e gli altri.

 

Forse per questo si tifa isolamento, perché ci si illude che le voci possano sparire, diluite nel rumore della propaganda. Un isolamento che deve rendere afoni i critici, silenti i dubbiosi e urlanti i sostenitori, ma in grado di gettar via i destini e le vite di milioni di persone, lasciando liberi i manovratori di massacrare, aggredire, distruggere quel che resta della dignità umana.

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