Guardare / Idolatria e culto dell’arte

6 Novembre 2018

“Ti prego, non fare più scendere bambini dal quadro” implorava Pina all’età di nove anni, inginocchiata ai piedi di una riproduzione oleografica della Vergine con Bambino appesa in camera dei genitori. Sua madre le aveva raccontato che i bambini scendevano giù dal quel quadro e che non poteva farci nulla se il loro numero era già arrivato a otto, costringendo Pina ad occuparsi dei più piccoli quando i genitori lavoravano i campi. Nella campagna piemontese degli anni ’30, l’immagine della Vergine con Bambino stampata su carta telata era miracolosa: trasformava la cornice nell’infisso di una finestra aperta sull’al di là, attraverso la quale cadevano sulla terra creature in fasce. L’immagine aveva un potere sovrannaturale. 

 

 

Idoli. Il potere delle immagini è il titolo di una mostra in corso a Venezia organizzata dalla Fondazione Giancarlo Ligabue, presieduta dal figlio Inti che l'ha fortemente voluta anche come omaggio agli studi compiuti dal padre (Palazzo Loredan, fino al 20 gennaio). Nelle bellissime sale dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti sono esposte cento (esattamente cento) statuette che risalgono a un periodo compreso tra il 4000 e il 2000 avanti Cristo. Sul valore cultuale, politico, celebrativo, funerario o anche solo espressivo di queste immagini non c’è certezza. Di fatto non tutte le statuette in mostra sono “idoli”. Nel saggio Uno sguardo sul passato: gli idoli della penisola iberica pubblicato nel catalogo della mostra (Skira, Milano 2018, p. 69), Ruth Maicos Ramos spiega che il termine “idoli” si riferisce a un insieme eterogeneo di piccole statuette antropomorfe e che il suo utilizzo è una convenzione, null’altro. 

 

Sala d’ingresso alla mostra.


La curatrice della mostra Annie Caubet invece invita ad approfondire il significato del termine “idolo” sottolineando che deriva “dal greco eidolon che significa immagine” (Un mondo in transizione: 4000-2000 a.C., p. 21). In Nascita di immagini e altri scritti su religione, storia, ragione (Il Saggiatore, Milano 1982, pp. 119-128) Jean-Pierre Vernant analizza il termine “εἴδωλον – eidōlon” in riferimento a una concezione arcaica dell’immagine intesa “come un doppio piuttosto che nel senso in cui noi l’intendiamo oggi”. Tra il nostro modo di concepire un’immagine e quella di un Greco dei tempi di Omero c’è un abisso e peraltro già nel pensiero filosofico di Platone il termine assume un significato diverso: l’eidōlon, associato all’eikōn e al phantasma, diventa falsa apparenza, inganno, illusione priva di sostanza e realtà.

Forse è in questa accezione del termine, tratta dal ventaglio dei significati espressi da eidōlon, che l’ostilità nei confronti dell’immagine cultuale trova una sua radice. Il termine viene introdotto con la traduzione greca dell’Antico Testamento avvenuta tra il III e il II secolo a.C. per indicare gli dèi falsi, contrapposti a quello vero d’Israele. Il termine è poi ripreso nella letteratura cristiana dei primi secoli, in particolare da Prudenzio e da Tertulliano, nel contesto di un Cristianesimo che assume il vocabolario e le categorie concettuali dell’ellenismo. 

 

Veduta della sala 3 con prospettiva sulla sala 2.


Dobbiamo dunque partire da qui per una lettura dei reperti in mostra, da una condanna veterotestamentaria del culto delle immagini, che prende per sé il termine “εἴδωλον eidōlon” estendendone il significato? Sembrerebbe proprio così perché i visitatori si aggirano tra le vetrine espositive con un atteggiamento di rispettoso raccoglimento, quasi religioso. 

“Oibò! Saranno degli idolatri?”, mi scappa da dire sottovoce.

Il tizio alla mia destra deve aver udito qualcosa perché si è voltato e mi guarda perplesso. Faccio finta di nulla e distendo lo sguardo sull’intera sala e gli altri visitatori in adorazione, ma non degli idoli. Sono in adorazione dell’arte. 

L’estetizzazione delle immagini cultuali, iniziata in Europa nel XV secolo, ha formato una nuova categoria di adoratori. Ne parla Régis Debray nel suo saggio Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in Occidente (Il Castoro, Milano 2001), riferendosi all’arte che si è emancipata dal religioso per diventare essa stessa una religione, una religione e un culto dell’arte che si sviluppa in rapporto alla nozione di proprietà intellettuale e artistica. Questa nozione nasce “quando il committente di un quadro o di un affresco non vuole più una Crocifissione o una Natività, ma un Bellini o un Raffaello”, scrive Debray nel suo saggio (p.193). Ecco come i visitatori guardano le figure nelle vetrine: attraverso lo sguardo del primo capitalismo, ma come le avranno viste gli uomini del 4000-2000 a.C.? 

Non lo sapremo mai.

 

Suonatore di arpa cicladico. Antico Cicladico II (2700-2300 a.C.). Proveniente da Thera (Santorini). Badisches Landesmuseum, Karlsruhe.


Nella terza sala della mostra è possibile ammirare il Suonatore di arpa cicladico proveniente da Thera. Le forme che restituiscono all’angolo la piega che è alla radice del suo concetto (l’etimologia del termine risale al significato di “curvare”, “piegare”) sono bellissime. Osservo incantato la geometria della statuetta. Rappresenta un uomo, una persona divinizzata o un dio? 

Il significato e la funzione di queste statuette ci sfuggono. Anche per quelle rinvenute in contesti funerari, che sono quelle in maggior numero, non possiamo dare per scontato che fossero ideate e realizzate appositamente per questo tipo di pratiche, sostiene Eftychia Zachariou nel suo saggio L’antica e la media Età del Bronzo a Cipro (p.131). Esprimono l’identità sociale? Il potere politico? I ruoli di genere? Sono oggetti utilizzati con finalità didattiche durante le cerimonie di iniziazione? Rappresentano esseri umani o creature sovrannaturali? Sono amuleti propiziatori o segnacoli territoriali? Svolgono una funzione rituale? Politica? Araldica? Sono immagini totemiche? 

 

Figura plank-shaped in red polished. Bronzo Antico III (2100-2000 a.C.). Cipro, Bellapais Vounous. Department of Antiquities Cyprus, Nicosia.


Le statuette plank-shaped rinvenute a Cipro attirano la mia attenzione per i motivi decorativi geometrici che rappresentano indumenti e ornamenti. 

 

Idolo-placca. Neolitico tardo (IV millennio a.C.). Penisola iberica, Granja de Céspedes, Badajoz. Museo Arqueológico Nacional, Madrid).


Interessanti anche gli Idoli-placca in ardesia ricoperti da incisioni geometriche che si suppone rappresentino decorazioni tessili. Sembra che i motivi tessili non fossero solo decorativi ma svolgessero anche la funzione di registrare dati importanti della vita comunitaria, scrive Pedro Azara nel suo saggio L’occhio era nella tomba e guardava (p.67). Per questa ragione lo studioso sostiene che siano una sorta di pre-scrittura. Mi piace pensare che lo sferruzzare a maglia delle nostre nonne conservi una forma di scrittura non alfabetica che interseca il fluire del racconto con il quale la nonna intrattiene i nipoti mentre confeziona calzini, maglioni e berretti. Osservo incuriosito una delle placche in ardesia. Vista da dietro ricorda un tablet. I segni alfabetici che digitiamo rapidamente sui nostri dispositivi mobili non si mescolano anche loro facilmente alle immagini, alle faccine tristi o sorridenti, all’onnipresente segno logografico @ e a una varietà di altri segni non linguistici? Gli idoli-placca pongono alcune domande al nostro presente, in un certo senso lo interrogano da lontano.

Chissà cosa mai avranno significato queste incisioni geometriche, mi chiedo aggirandomi nelle sale deIl’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti. Le stanze sono invase dal pungente ma piacevole e aromatico odore dei vecchi libri stipati negli armadi addossati alle pareti. Attraverso l’olfatto percepisco il peso delle parole sulle immagini esposte. Quali saranno state le narrazioni che accompagnavano queste statuette? 

 

Figura seduta con copricapo del V millennio a.C. rinvenuta a Cuccuru d’Arriu (Carras) in Sardegna. Polo Museale della Sardegna – Museo Archeologico Nazionale, Cagliari (veduta laterale-anteriore e veduta laterale-posteriore) - Testa di figura femminile distesa. Antico Cicladico II (2700-2300 a.C.). Collezione privata, Parigi.


Senza le parole le immagini sono mute e forse per questa ragione ne ammiriamo le forme senza porci il problema del racconto al quale si riferivano. Ammiriamo i volumi geometrici della Figura seduta con copricapo del V millennio a.C. e quelli della Testa di figura femminile distesa dell’Antico Cicladico II perché ci ricordano le sculture di Constantin Brancusi e di Amedeo Modigliani.

 

“Guarda, guarda, qui c’è anche un Henry Moore!” esclama un visitatore indicando al suo amico la Figura steatopigia seduta del IV millennio a.C. esposta nella sala 4. Molti visitatori si fermano davanti a queste statuette prendendo appunti o disegnando: sono attratti dal moderno che vedono nell’antico, sono attratti dall’arte, al culto della quale è dedicata anche questa mostra. 

Dalla cornice della stampa ai piedi della quale pregava la povera Pina non cadono più creature in fasce. Ah! Come sarebbe stata contenta.

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