Un romanzo di Inès Cagnati / Génie la matta
In una delle rare interviste rilasciate da Inès Cagnati, l'autrice di Génie la matta (Adelphi 2022, traduzione di Ena Marchi) risponde seccamente al giornalista Pierre-Pascal Rossi della tv svizzera (Hotel, 23 novembre 1989) che le chiede "È un conforto scrivere?": "No, scrivere è terribile". La scrittrice dei bambini, dei vecchi e dei pazzi che la povertà rende muti, della natura e degli animali, autrice di tre romanzi e di un libro di racconti, vive in campagna, dice in quell'intervista, perché è infelice in città, "infelice con le persone". "Con tutti?" chiede l'intervistatore, e ottiene un altro secco "sì".
L'intervista è reperibile in rete ma la riporta anche l'americana The Paris Review che ha dedicato, due anni fa, un lungo articolo a questa figlia di contadini italiani immigrati (padre di Treviso, madre di Vicenza), nata nel 1937 (è morta nel 2007) e cresciuta povera e isolata nella cittadina di Monclar, nel sud-ovest della Francia. Non parlava francese finché non andò a scuola e, nonostante fosse diventata insegnante di lettere in un liceo prestigioso di Parigi, descrive la sua naturalizzazione di cittadina francese come una "tragedia". Il peso di molteplici forme di straniamento – di lingua, cultura, classe e genere – ha evidentemente influito su di lei bambina e l'ha plasmata come scrittrice. Génie la matta è un libro molto bello, la cui scrittura essenziale potrebbe apparentarsi a quella di Simenon, mentre le Vite minuscole dei protagonisti somigliano a quelle descritte, ma in uno stile completamente diverso, da Pierre Michon nel libro omonimo (Adelphi, 2016, vedi recensione qui). Il breve romanzo è un dramma narrato da una bambina ed è insieme il ritratto doloroso di una donna e una favola naturalistica. Fuori dall'agglomerato "civile" di un villaggio, immerse in una natura consolatrice e spietata, vivono Marie e sua madre Eugénie, che tutti chiamano "Génie la matta". Vittima di uno stupro, Génie viene ripudiata dalla famiglia ("la migliore famiglia del paese") dopo che ha generato una bastarda. Va ad abitare in una casupola sperduta con la bambina e si chiude nell'isolamento e nel silenzio.
Un libro del 1938 (Inès Cagnati era nata da un anno), poco noto, ma pubblicato in Italia da Ponte alle Grazie nel 1997, Lettera ai contadini sulla povertà e la pace di Jean Giono, contiene la descrizione della vita di Génie: "Non si può sapere qual è il vero lavoro del contadino: se è arare, seminare, falciare, oppure se è nello stesso tempo mangiare fare figli e respirare perché queste cose sono intimamente unite e quando egli fa una cosa completa l'altra. È tutto lavoro e niente è lavoro, è la sua vita".
Giono vedeva nel lavoro del contadino il compimento della libertà dell'uomo, proprietario del suo tempo e delle sue braccia, mentre Génie, al contrario, si annulla nel lavoro, che diventa sì la sua vita, ma a cui soccombe in modo alienato, bracciante nei campi, a servizio nelle fattorie: "tagliava le siepi e la legna, faceva le fascine. In primavera zappava le vigne, i campi di piselli, di fave... c'era la sarchiatura del granturco, la mietitura, i fagiolini, i pomodori, la raccolta della frutta", china in silenzio come se la fatica le facesse espiare la sua colpa. Marie la segue, amandola con tutta se stessa ma soffrendo la sua anaffettività, crescendo nella durezza e nelle rinunce. Dovrà fare a meno di un cane, di una vaccherella cieca, di un anatroccolo e dovrà rinunciare a Pierre, un giovane aviatore incontrato nella sala d'aspetto gelida di una stazione, che non potrà mantenere la promessa di portarla a vivere su un'isola "dove gli uccelli volano rossi nei cieli azzurri".
Nella disgrazia che incombe sulla vita di madre e figlia, c'è tuttavia la bellezza delle stagioni che passano, della natura che permette di sognare (di addomesticare una volpe per esempio, come nel Piccolo principe di Saint-Exupéry), o che incanta Marie quando si ferma ad ascoltare "il crepitio delle api sospese nel loro immobile volo". Felicità furtive, come l'amore del nonno, che lei descrive come quello meno "lontano". Sono infatti i vecchi, i pazzi e i bambini le persone che non hanno posto nel microcosmo crudele del villaggio che Cagnati descrive con frasi ripetute, immagini ricorrenti, in cerchi ossessivi che diventano metafora di una vita dalla quale è impossibile evadere.
A Marie toccherà infatti lo stesso destino della madre, scambierà per affetto vero le carezze di un povero pretino, affamata com'è di amore, un amore sempre minato dal terrore della perdita, ma non riuscirà a sfuggire a un'altra violenza brutale che la farà ammalare. Il senso di solitudine di Marie e di sua madre è profondamente radicato nella loro povertà e nella loro esistenza rurale. L'apatia di Génie è un'altra differenza tra differenze, un altro carico da sopportare. Finché resta "la matta" ha un suo posto tra quella gente che la deride, ma lo perderà quando proverà, prima con riluttanza, poi con rassegnazione, a integrarsi.
Il Sud della Francia accogliente e baciato dal sole somiglia poco a quello descritto da Inès Cagnati: il suo è un meridione dove persone ignoranti si rassegnano a un'esistenza ingrata. La sua famiglia faceva parte di un'ondata di immigrazione dall'Italia al sud-ovest della Francia tra le due guerre, contadini che furono attirati dalla promessa di terreni rigogliosi e abbondanti, per cercare di combattere la povertà lasciata dalla prima guerra mondiale e dalle migrazioni di massa verso le città. Quando Inès Cagnati nacque, più di ottantamila italiani vivevano nella regione intorno a Monclar e gestivano più della metà delle fattorie. Génie la matta ci parla di loro, ne tiene viva la memoria e, come scrive The Paris Review "aiuta a complicare la convinzione francese, ampiamente diffusa, che le aree rurali del paese siano state detentrici di una sorta di identità nazionale vera e incontaminata".
Il libro termina, come tutti i libri di Inès Cagnati, con un esergo, posto alla fine perché, spiega la scrittrice alla tv svizzera, "quando si apre un libro non si sa ancora di cosa parla ed è meglio che la frase rivelatrice che abbiamo scelto per riassumerlo sia posta alla fine, ha più senso". Qui è una citazione del poeta Robert Desnos (1900-1945): "Lasciatela dormire vi dico lasciatela dormire oppure / vi giuro che si spalancheranno gli abissi / che ormai sarà tutto finito e la bara /.../ Lasciatela dormire / Lasciate le grandi querce attorno al suo letto / Non scacciate dalla camera quell'umile margherita / mezzo sfiorita / Lasciatela dormire".