La scena rap balcanica in Svizzera / Gli scarpini di Shaqiri e il rap

4 Ottobre 2020

Il 22 giugno del 2018 la nazionale svizzera e quella serba si sfidarono a Kaliningrad, in Russia, per il secondo turno della fase a gironi dei Campionati del Mondo di Calcio. Sotto di una rete dopo appena cinque minuti di gioco, gli svizzeri finirono con l’imporsi col risultato di due a uno grazie alle reti di Granit Xhaka (52.esimo del secondo tempo) e Xherdan Shaqiri (azione in contropiede al novantesimo minuto). Entrambi i giocatori, nell’atto di esultare per il gol realizzato, mimarono con le mani l’aquila a due teste della bandiera albanese, un gesto che provocò un mezzo incidente diplomatico fra Serbia e Svizzera e spiazzò quei tifosi svizzeri che credevano di aver vinto solo una partita di calcio: la bandiera albanese?, l’aquila a due teste?, che diamine significa?

 

Granit Xhaka e Xherdan Shaqiri sono due dei giocatori di punta della nazionale svizzera di calcio. Attalmente militano in squadre inglesi (il primo nell’Arsenal, il secondo nel Liverpool), ed entrambi sono di origini kosovare (Xhaka è nato a Basilea; Shaqiri a Gjilan, in Kosovo, ma è giunto in Svizzera in tenera età). Nella nazionale svizzera dei mondiali 2018 diretta da Vladimir Petković (bosniaco naturalizzato svizzero di origini croate, già allenatore della Lazio), oltre a Xhaka e Shaqiri, la rosa dei giocatori comprendeva Valon Behrami (origini kosovare, oggi nel Genoa), Blerim Džemaili (nato in Macedonia da genitori albanesi; oggi gioca in Russia, nello Shenzhen), Haris Seferović (origini bosniache, oggi nel Benfica), Josip Drmić (origini croate, oggi nel Norwich City) e Mario Gavranović (origini bosniache e croate, oggi nella Dinamo Zagabria). Sette convocati su ventitre, ovvero il 30% della squadra nazionale svizzera presente in Russia, avevano origini riconducibili ai paesi dell’ex-Jugoslavia. Il giornale svizzero tedesco Blick, il secondo quotidiano più letto in Svizzera, nel febbraio scorso pubblicò un articolo dal quale risultava che i giocatori di origine kosovara messi sotto contratto dalle squadre del campionato svizzero di serie A (Super League) e di serie B (Challenge League) erano ben ventidue, l’equivalente di un’intera rosa di una squadra di calcio.

 

Nel 2010 il portale Swissinfo scriveva che un decimo della popolazione kosovara viveva in Svizzera (all’incirca 180’000 persone): “la più folta comunità di espatriati kosovari dopo quella residente in Germania”. Uno studio del 2015 rivelava invece come quasi 250'000 persone in Svizzera indicavano l'albanese quale lingua principale. Stando a Ueli Leuenberger, già consigliere nazionale e presidente del partito ecologista svizzero fra il 2008 e il 2012, fondatore dell'Università Popolare Albanese di Ginevra e autore de I dannati del terzo cerchio. I kosovari in Svizzera, 1965-1999 (edizioni Metropolis), il numero di immigrati dell’ex-Jugoslavia che risiedono in Svizzera si aggira intorno alle 380'000 unità, all’incirca un quinto del totale degli stranieri residenti in Svizzera (2 milioni di stranieri su 8 milioni e mezzo di abitanti). Nel 2016, stando all’Ufficio Federale di Statistica, in Svizzera risiedevano 260'000 persone di lingua albanese, persone originarie del Kosovo, della Macedonia, dell’Albania, della Serbia o del Montenegro, facendone la quarta comunità straniera in Svizzera dopo gli italiani, i tedeschi e i portoghesi.

 

Fra i fenomeni sorti nella Svizzera di lingua tedesca dopo il massiccio afflusso di migranti in provenienza dalla regione balcanica negli anni ’90, va segnalata l’emersione di una scena rap composta da giovani artisti che hanno scelto di esprimersi in dialetto svizzero tedesco, la lingua dentro cui questi ragazzi sono cresciuti. È una realtà ancora poco studiata ma assai vivace, che ha cominciato a ottenere dei riscontri sul piano commerciale una quindicina d’anni fa e che oggi presenta numerosi rapper con un buon seguito di pubblico e una discreta copertura mediatica non soltanto nella Svizzera di lingua tedesca ma anche in Albania e in altri paesi della regione dei Balcani, e che con quei paesi stanno cercando di stabilire dei contatti per la promozione dei dischi o l’organizzazione di concerti e tournée. L’etnomusicologo e produttore bernese Thomas Burkhalter, fondatore della piattaforma Norient e curatore di due innovativi studi sulle scene musicali medio-orientali – Local Music Scenes and Globalization: Transnational Platforms in Beirut (Routledge) e The Arab Avant Garde: Musical Innovation in the Middle East (Wesleyan University Press) – sottolinea come già da anni diverse istituzioni svizzere volte alla difesa e alla diffusione della/e cultura/e svizzera/e (su tutte Pro Helvetia, col progetto SWIXX) abbiano intrapreso dei programmi volti alla promozione delle culture di artisti provenienti da altre realtà e da altri paesi. Swiss Music Export è pure un buon esempio. Molto resta ancora da fare, ma alcuni dei rapper più famosi – XEN ad esempio, nato a Dietikon, nel canton Zurigo, lo Shaqiri della scena rap svizzera, oppure il lucernese Marash, pure di origini albanesi, il quale lo scorso anno ha pubblicato un primo brano cantato in lingua albanese dopo anni passati a rappare in svizzero tedesco – si stanno ormai muovendo con disinvoltura a cavallo fra le due realtà, quella svizzera e quella albanese. Il video di Nasty Girl di XEN ed EAN, altro rapper di origini albanesi, cantato in un mix di inglese e albanese, ha già capitalizzato qualcosa come otto milioni di visualizzazioni su Youtube:

 

 

 

Produzioni meno ambiziose e di minor impatto commerciale ma assai più rappresentative della realtà degli immigrati di origine balcanica in Svizzera, si sprecano. Bossnak ad esempio, un rapper di origini bosniache, nella canzone Sarajevo racconta della sua difficile esperienza di rifugiato in fuga dalla guerra. Dall’arrivo nel centro di accoglienza di Embrach, nel canton Zurigo, dove è tornato per girare alcune sequenze del video della canzone, fino alla difficile condizione di immigrato slavo nella Svizzera degli anni ’90. Una storia di immigrazione come tante, ma cantata in schwyzerdütsch, il dialetto parlato nella Svizzera di lingua tedesca:

 

1992 id schwiz cho und wo de chrieg agfange het denn simmer fort

Mit eme boot simmer uf italie

Das isch kein text, nei das sind erfahrige

Ich bin jung gsi, öpe 4 jahre alt

Und de nächste halt ischs wunderschöne schwizerland

Heb mini muetter ade hand

Sie hebt mini schwöschter ich spüre ihri angst will

Mir sind ohni nüt dahi cho

Mir hend das higno zum ah eusi ziel cho

Weg vom chrieg zum id schwiz cho

Doch nöd all sind so wiit cho check mini bio

Asylanteheim in Embrach

Imigrantehass ich kenn das!

 

 

Arrivammo in Svizzera nel 1992.

Quando la guerra iniziò lasciammo il paese 

a bordo di una nave che ci portò in Italia.

Non mi sto inventando niente, è la mia esperienza.

Ero giovane, avevo circa quattro anni

E la prossima fermata era la meravigliosa Svizzera.

Tenevo la mano di mia madre

Lei stringeva mia sorella e io sentivo la sua paura.

Siamo arrivati qui con niente

Abbiamo resistito al viaggio per raggiungere la meta

Fuggivamo una guerra per arrivare in Svizzera

Non tutti sono arrivati così lontano.

Dai un’occhiata alla mia storia

Centro per rifugiati a Embrach

Conosco la xenofobia!

 

 

Il tema della xenofobia e più in generale del disagio del sentirsi un ospite indesiderato è al centro di molti brani dei giovani rapper di origine balcanica cresciuti in Svizzera. Lulzim Axhami, in arte LUL DxE, è un rapper nato nella capitale, Berna, e cinque anni fa pubblicò un breve disco in cui spiccava una canzone intitolata Albophobie, fobia albanese. Proprio come il bosniaco Bossnak, anche Axhami raccontava la sua storia di rifugiato giunto in Svizzera con la famiglia, della difficoltà che questo ha comportato e di come lui e i famigliari siano riusciti a ritagliarsi un posto nella nuova patria.

 

Gebore i dr Schwiz, mini Wurzle usem Kovoso,

Lulzim Axhami im 81 in Bern uf d’Wäut cho.

Gastarbeiters Sohn, ä Giu wi viele anderi,

mini Chindheit im Verglich isch nid viu andersch gsi.

Im Weschte vo Bärn id Schueu us Schüeler usgezeichnet,

Warum si Bern West us Gettho immer hei bezeichnet.

Die Frag hani ig mir immer wiedr jedä Tag gsteut,

Doch nie e Antwort becho, nie witer verzeut.

Mhh, Sekabschluss à la bonne heure,

Es het grad glängt fürne Lehrsteu us Sanitärmonteur.

Obwou nüt vom Bou ha wöue wüsse hanis gno,

Was hani wöuä Bro, ha nüt bessers becho!?

Ha paar Jahr druf büglet u ha mis Brot so verdient,

Familie u mis erschte Aubum drmit finanziert.

 

Nato in Svizzera, le mie radici nel Kosovo,

Lulzim Axhami, nato nell’81 a Berna.

Figlio di un lavoratore ospite, un ragazzo come tanti,

la mia infanzia in fondo non è stata molto diversa.

Nei quartieri a ovest di Berna ci prendevano in giro,

Berna ovest è sempre stata considerata un ghetto.

Me lo sono chiesto ogni giorno ma non ho mai trovato

Una risposta e non l’ho mai raccontato.

La scuola media di buon mattino

Mi ha portato a un apprendistato come installatore di sanitari.

L’edilizia non mi interessava ma mi sono adeguato,

che vuoi fratello, non c’era niente di meglio.

Mi sono dato da fare per un paio d’anni guadagnandomi il pane,

ho mantenuto una famiglia e finanziato il mio primo disco.

 

Proprio come Bossnak, anche Axhami non viene meno alle sue origini. La fierezza di essere uno shipi, un albanese, va di pari passo con l’appello rivolto agli amici svizzeri di smetterla con la fobia nei confronti degli albanesi:

 

Stouzi Shipis vo Chopf bis Fuess,

Adlerdoppuchopf Markezeiche üse Gruess.

mir wöi nur üses Läbe füehre so wi mr si,

Liebi Schwiz höret uf mit dr Albanerphobie.

 

Fieri Shipi dalla testa ai piedi,

il nostro saluto è il segno dell’aquila a due teste.

Vogliamo solo vivere la nostra vita così come siamo,

cari svizzeri, smettetela con la fobia nei confronti degli albanesi

 

E ancora:

 

Was heit dr z’Gfüeu, aui Shipis i glich Topf schmeisse,

I würd nid mau so dänke o wenni würd Blocher heisse.

Fuck it, es Kapitu für sich,

SVP kreiirt bösi Shipis us Mittu für sich.

Steut üs tägläch i dr Schwizer Medielandschaft a d’Wand,

statt üs nöcher zäme z’bringe gits e Sicherheitsabstand.

Churzerhang, tumout wi imne Dorftheater,

i dr Fuessbauwäut verbiete sie dr Doppuadler.

Das isch kaputti Politik wines öds Stück Fleisch,

mir wüsse was passiert wenn permanent Öl ids füür gheisch!

 

Cosa credi, di mettere tutti gli Shipi nello stesso calderone?

Non lo penserei neanche se mi chiamassi Blocher.

‘Fanculo, questo è un capitolo a parte,

All’UDC fa comodo dipingere gli Shipi come dei cattivi.

Ci mettono al muro ogni giorno sui giornali,

invece di accoglierci ci tengono a distanza di sicurezza.

Lo fanno in modo sommario, una gazzarra da teatro di provincia,

Nel mondo del calcio proibiscono l’aquila a due teste.

Questa politica è corrotta come un pezzo di carne guasta,

noi lo sappiamo quel che succede se ti ostini a gettare benzina sul fuoco!

 

 

 

Ecco dunque un rapper di origini kosovare che chiama in causa un politico come Christoph Blocher e il partito dell’Unione Democratica di Centro (UDC/SVP), in verità un partito di destra, che sulla paura e il risentimento nei confronti dello straniero basa molta della sua azione politica (è lo stesso partito che durante una recente campagna elettorale affisse dei manifesti che ritraevano i frontalieri italiani alla stregua di ratti ingolositi dal formaggio svizzero). Lo stesso attacco frontale alla politica demagogica e discriminatoria di Blocher osò il rapper di Dietikon, pure lui di origini albanesi, Milli54, che al tribuno/miliardario intitolò addirittura un brano, Grüezi Herr Blocher, sorta di chiamata alle armi per chi, stranieri e svizzeri senza distinzione, avversa la politica del suo partito:

 

 

Was für Politik?

Ich glaub nur ah Gott, grüezi Herr Blocher

Mis vertraue isch tot.

Mir sing vo Züri west Züri nord Züri süd Züri ost Züri Stadt

Und hét Bange mer dech Opfer mer send

Jugos, Shipi, Kurde oder Bosner

Mer send vo überall

Türke, Schwizer, Italos

Gegner in überzahl, Grüezi

Herr Blocher mir chömme

Vo de ganze Schwiz heb

Dini Fust id Luft we wird langsam zit.

 

Quale politica?

Io credo soltanto in Dio, salve signor Blocher

La mia fiducia è morta

Siamo di Zurigo ovest, Zurigo nord, Zurigo sud, Zurigo est, Zurigo città

E oggi siamo noi a fare di te una vittima

Siamo jugo, shipi, curdi e bosniaci

Veniamo da ogni dove

Turchi, svizzeri, italiani

Avversari in soprannumero, salve

Signor Blocher, veniamo

Da tutta la Svizzera

È giunta l’ora di alzare il pugno al cielo

 

 

 

Shipi, parola rappata sia da Lulzim Axhami che da Milli54, è il termine con cui sono comunemente indicati gli immigrati albanesi nella Svizzera di lingua tedesca. A differenza di altri termini solitamente riservati agli stranieri – si pensi ad esempio al cìnkali o tschinggeli con cui venivano chiamati gli immigrati italiani o gli svizzero italiani nella Svizzera tedesca negli anni ’60 e ’70, un termine derivato dal gioco della morra: cìnkali sta per il numero cinque, o cinq in dialetto ticinese il termine shipi non va di per sé inteso in chiave offensiva o discriminatoria. È semplicemente l’abbreviazione in uso nella Svizzera tedesca dell’etnonimo di lingua albanese shqiptar, che significa precisamente albanese: shipi, termine che è poi stato fatto proprio anche dagli albanesi della diaspora.

 

Decisamente di altro registro l’incontro fra uno shipi e un cìnkali messo in scena da due rapper di Lucerna come Granit Dervishaj, in arte Baba Uslender (dal buon tedesco Ausländer, Baba lo straniero) e Rafael Graf, in arte EffE Ramazotti (sic). L’uno, Baba Uslender, nel brano interpreta sé stesso, un immigrato albanese in Svizzera; l’altro, EffE Ramazotti, interpreta invece un immigrato italiano che rappa in svizzero tedesco con il marcato accento dell’italo-svizzero di seconda o persino terza generazione (la persistenza del cliché). Entrambi sono impegnati in quella che l’elettore tipo dell’UDC e probabilmente molti altri svizzeri suppongono essere l’attività preferita dell’immigrato straniero: infiltrarsi nottetempo in una concessionaria BMW per rubare un modello M3, la versione sportiva della Serie 3, sogno proibito dell’immigrato povero in Svizzera (costo della macchina menzionato da Baba Uslender: 120'000 franchi, all’incirca 111'000 euro). I due, chiamandosi vicendevolmente shipi e cìnkali, falliscono nell’impresa, facendosi arrestare dopo aver litigato su chi avrebbe dovuto mettersi al volante del bolide. I soliti ignoti in salsa svizzera:

 

 

 

Il rap della Svizzera tedesca, e non solo quello interpretato dai rapper di origine balcanica, è particolarmente attento al tema dell’immigrazione e a come l’immigrato viene percepito e trattato in Svizzera. Anni fa un gruppo hip-hop di Uznach, nel canton San Gallo, chiamato X-Chaibä (si pronuncia Chrüüz-Chaibä), incise un brano intitolato Ugurchig Asylant. Nel frattempo il gruppo si è (forse) sciolto, ma uno dei tre componenti, il rapper di origini turche Ugur Gültekin, in arte Modo, ha pubblicato una versione rivista del brano registrato anni prima con gli X-Chaibä. Poco, in fondo, sembra essere cambiato da allora. Lo straniero è sempre percepito come un criminale o un peso a carico della società:

 

 

usländer sind komisch gönd eifach I anderi länder

sind invalid kriminell und sozialhilfempfänger

ob ex jugoslawä, kosovarä, türkä und kurdä

tamilä, chingä alls gliichä pack irgendwo vo det undä

d’araber sind diä schlimmstä dreied alli grad durä

facklet botschaftä ab wäg es paar karikaturä

(…)

herzlich willkomä mir zahlet eu brot und budä

teilet mit eu s’geld vo despotä und s’gold vo judä

hopp schwiiz jassä, suffä, jodlä und jublä

ihr sind wärmstens iigladä I euses boot inäzumpgä

 

Gli stranieri sono strani, se ne vanno semplicemente in altri paesi

Sono invalidi, criminali e a beneficio dell’assistenza sociale

Che siano dell’ex Jugoslavia, kosovari, turchi e curdi

Tamil, cìnkali, sono della stessa pasta, vengono tutti da laggiù 

Gli arabi sono i peggiori perché danno subito fuori di testa

Incendiano le ambasciate per un paio di caricature

(…)

Benvenuti, vi diamo vitto e alloggio

Dividiamo con voi i soldi dei despoti e l’oro degli ebrei

Forza Svizzera, giochiamo agli jass (*), beviamo, cantiamo lo jodel ed esultiamo

Siete caldamente invitati a salire sulla nostra barca (**)

 

(*) gioco di carte molto popolare nella Svizzera di lingua tedesca

(**) qui il riferimento è al film “Das Boot is voll” (La barca è piena) del regista svizzero Markus Imhoof, richiamo diretto a una metafora di Eduard von Steiger, direttore del Dipartimento Federale di Giustizia e Polizia durante la Seconda Guerra Mondiale, il quale paragonò la Svizzera a una scialuppa di salvataggio che non poteva accogliere altri esuli e rifugiati.

 

 

 

Cercavamo braccia, e sono arrivati uomini, scrisse Max Frisch riferendosi all’ondata migratoria che portò in Svizzera centinaia di migliaia di italiani negli anni ’60, un flusso che condusse all’iniziativa promossa dal politico James Schwarzenbach che proponeva di fissare un tetto del 10% alla popolazione straniera residente in Svizzera. L’Überfremdung, l’inforestierimento, è uno spauracchio oggi più vivo che mai. I kosovari hanno rimpiazzato gli immigrati italiani di mezzo secolo prima. Gli shipi si sono sostituiti ai cìnkali. Secondo la ricercatrice Denise Efionayi-Mäder, docente all’Università di Neuchâtel e direttrice del forum svizzero per lo studio sulle migrazioni e la popolazione, il processo di integrazione degli albanesi in Svizzera è paragonabile per molti versi a quello degli italiani negli anni ‘60. Anche gli italiani erano impopolari e ritenuti concorrenziali sul mercato del lavoro. Secondo Ueli Leuenberger, fondatore dell'Università Popolare Albanese di Ginevra, sostiene invece che la principale differenza fra kosovari e italiani risiede nel fatto che questi ultimi arrivavano da una storia di lotta sindacale e politica, ciò che li facilitò nel formare delle associazioni e nel confrontarsi in quanto comunità alla nuova realtà. Il tasso di disoccupazione della popolazione kosovara residente in Svizzera non è incoraggiante: 7% a fronte di un 1,8% per i cittadini svizzeri e di un 3,6% per gli stranieri in provenienza dai paesi dell’Unione Europea. Non meglio il dato che riguarda gli aventi diritto al contributo di assistenza sociale: 3,2% per l’intera popolazione residente; tra il 6,3 e il 10% per i kosovari e i macedoni.

 

Quando Granit Xhaka e Xherdan Shaqiri mimarono con le mani l’aquila a due teste della bandiera albanese dopo aver segnato una rete alla Serbia ai Campionati del Mondo di Calcio, buona parte degli svizzeri cascò dalle nuvole. Molti di loro non digerirono il fatto che Shaqiri quel giorno fosse sceso in campo con la bandiera svizzera stampata sullo scarpino sinistro e la bandiera del Kosovo stampata sullo scarpino destro. Esultare allo stadio quando a segnare sono dei ragazzi dai nomi strani che indossano la maglia rossocrociata è un conto, sforzarsi di capire la loro storia è un altro. Quando questi ragazzi, cresciuti nei quartieri dormitorio di Zurigo o di Berna, di Lucerna o di Ginevra, di Basilea o di Losanna, rappano il loro disagio e il loro spaesamento, sarebbe davvero buona cosa starli a sentire. Nel maggio scorso, a Rotterdam, si sarebbe dovuta tenere la sessantacinquesima edizione dell'Eurovision Song Contest, manifestazione poi annullata a seguito dell’emergenza Covid-19. La Svizzera aveva scelto di farsi rappresentare da un giovane cantante nato a Broc, canton Friborgo, nel cuore della regione della Gruyère e della fondue, madre albanese e padre kosovaro. Si chiama Gjon Muharremaj, in arte Gjon’s Tears, ed è nato nel 1998. Per la prima volta un cantante d’origine balcanica è stato chiamato a rappresentare la Svizzera alla manifestazione. Il brano con cui si sarebbe dovuto presentare in gara s’intitola Répondez-moi. La buona notizia è che Gjon Muharremaj ha già confermato la sua presenza all’Eurovision Song Contest 2021, un’edizione che, Covid permettendo, dovrebbe sempre tenersi a Rotterdam. Gjon’s Tears non è un rapper ma un cantante melodico. Appena dodicenne aveva partecipato alla prima edizione del talent show Albania’s Got Talent, e poi è entrato a far parte del team del cantante di origine libanese Mika. A differenza dei rapper della Svizzera tedesca affronta la questione della sua identità in modo forse più sfumato, ma non per questo meno consapevole. Da bambino, ricorda, i compagni di scuola gli chiedevano da dove venisse, con quel nome strano. Oggi a interessarlo non è tanto l’origine geografica delle persone, quanto appunto la loro identità, qualcosa che, sostiene, va ben oltre l’idea di nazione, l’esibizione di una bandiera, o un nome su un passaporto. Il primo singolo di Gjon’s Tears, Babi (papà, in albanese) pubblicato nel 2019, era cantato un po’ inglese e un po’ in albanese, ed evocava in chiave elettro-pop le stesse drammatiche esperienze evocate dai suoi colleghi rapper della Svizzera di lingua tedesca: la guerra, la fuga e la musica come fonte di salvezza e di riscatto. Il tutto attraverso un simbolismo piuttosto marcato. Al centro del brano che presenterà all’Eurovision Song Contest, e cantato, questo, interamente in francese, sarà di nuovo il tema dell’identità e del sentirsi straniero, ma, appunto, in chiave decisamente meno conflittuale rispetto ai colleghi rapper.

 

 

 

(Traduzioni dallo svizzero tedesco di Sandy Altermatt e Manuele Ferrari).

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