Grete Stern: sogni, fotografie e altre storie

24 Settembre 2015

Nel 1871, il 13 maggio, Arthur Rimbaud scriveva al suo professore George Izambard “JE est un autre” e lo ribadiva due giorni dopo all’amico Paul Demeny: “io è un altro. (…) Io assisto allo schiudersi del mio pensiero: io lo guardo, l’ascolto (…) il primo studio dell’uomo che voglia essere poeta è la propria conoscenza, intera; egli cerca la sua anima, l’indaga, la scruta, l’apprende”. E poco dopo aggiungeva: “Quando sarà spezzata l’infinita schiavitù della donna, quando ella vivrà per sé e grazie a sé, e l’uomo – finora abominevole – le avrà concesso il suo congedo, sarà poeta anche lei! La donna troverà l’ignoto! (…) Troverà strane cose, insondabili, ripugnanti, deliziose”. Le stesse cose “ripugnanti e deliziose” che nel 1948 Grete Stern metterà in scena nei suoi Sueños, fotomontaggi esposti in una retrospettiva che il MoMA a New York (fino al 4 di ottobre), dedica all’artista e al suo compagno Horacio Coppola, considerati due pionieri della fotografia modernista sudamericana: From Bauhaus to Buenos Aires. Grete Stern and Horacio Coppola, punto di partenza per raccontare alcuni aspetti della storia di questa artista. Ma andiamo con ordine.

 

Grete Stern nasce a Elberfeld in Germania il 9 maggio del 1904. Dal 1923 al 1925 studia graphic design alla Technische Hochschule di Stoccarda. Nel 1927 raggiunge Berlino, dove risiede il fratello Walter, grazie al quale conosce Umbo (Otto Umbher), che frequenta artisti e attori della Berlino bohémien e le fa conoscere Walter Peterhans, insegnante e direttore del corso di fotografia presso la scuola Bauhaus dal 1929 fino al 1933, da cui Grete prenderà lezioni private (e poi al Bauhaus), dapprima come unica allieva e poi con Ellen Auerbach. Dall’incontro con Ellen nascerà un profondo rapporto di amicizia e un sodalizio professionale che le porterà, nel 1930, ad aprire un loro studio specializzato in ritratti fotografici e pubblicità: si chiamerà ringl+pit photography studio, dai loro soprannomi da bambine (ringl/Grete, pit/Ellen).

 

Sono gli anni in cui il Primo Manifesto surrealista scritto da André Breton celebra la collaborazione tra artisti e la dimensione ludica dell’atto creativo, gli assemblaggi di immagini dei cadavres exquis e i meccanismi della dictée sans pensée espressi negli esperimenti di scrittura automatica: “Questa sera siamo in due davanti a questo fiume che oltrepassa la nostra disperazione”, scrivono Breton e Soupault nei Campi Magnetici , “ci è impossibile perfino pensare. Le parole ci sfuggono via dalle bocche contratte, e, quando ridiamo, i passanti si voltano impauriti”. Un gioco. E insieme un esercizio praticato nell’intento di mostrare l’idea dei due poli, il carattere doppio del sodalizio artistico come due sono gli scrittori o i fotografi, e le forze che reciprocamente si attraggono e si allontanano su diversi piani: i due inconsci, le due coscienze, il rapporto dualità/unità da cui si genera la parola (o l’immagine). Oggi si potrebbe definire tutto questo con un verbo: to share, condividere, partecipare, prendere parte.

 

 

ringl+pit

 

Tuttavia nell’attività dello studio ringl+pit confluisce molto altro. Grete ed Ellen incarnano la nuova condizione femminile emersa dopo l’avvento della prima guerra mondiale, che apre la strada alle donne in diversi settori professionali fino a quel momento inaccessibili. Con la Repubblica di Weimar esse ottengono il diritto di voto e il Bauhaus diventa uno spazio aperto a questa emancipazione, anche se Walter Gropius dirotta le numerose presenze femminili verso i corsi di ceramica, tessitura e rilegatura. In questo contesto, la fotografia (e il racconto autobiografico) assume grande importanza per il mondo femminile, poiché diviene uno strumento per esplorare e mettere in discussione la propria dimensione esistenziale e allo stesso tempo rivendicare la possibilità di autoaffermarsi. Addio alle bambole strangolate di Hans Bellmer, alle donne fantasma di Max Ernst o alla femme scandaleusement belle celebrata da André Breton nell’Amour fou. Gertrud Arndt (che aveva studiato al Bauhaus) nei suoi autoritratti Maskenphotos si traveste in modi diversi, mettendo in scena un’identità instabile da contrapporre agli stereotipi di una femminilità sigillata, mentre Hannah Höch, artista appartenente al movimento Dada berlinese, sperimenta la tecnica del fotomontaggio: fa esplodere in mille pezzi il corpo femminile e mette in crisi la rappresentazione della donna secondo il modello pubblicizzato dai mass media.

 

In questo clima culturale, Grete ed Ellen (come Claude Cahun e Suzanne Malherbe in Francia), danno vita a un eccentrico universo dove si intrecciano rapporti affettivi e intellettuali. Lo studio ringl+pit si trasforma in uno spazio aperto ad amici e amanti, fra cui i loro rispettivi compagni, Horacio Coppola e Walter Auerbach, dove è possibile collaborare a diversi progetti artistici, nei quali viene meno ogni tipo di rigida suddivisione gerarchica. Qui non esiste l’idea di un’autorialità univoca da cui scaturisce il fuoco divino dell’ispirazione e nemmeno un’ermeneutica che fa riferimento alla funzione autoriale e al “potenziale di “autorità” contenuto nella parola e nel concetto di “autore”. I loro esperimenti visivi celebrano la mobilità dello sguardo, la con-fusione giocosa dei punti di vista, il processo artistico che si apre alla dimensione affettiva, da cui scaturisce un’immagine fotografica ibrida, malleabile, aperta a molteplici contaminazioni, al di fuori degli schemi stilistici precedenti. Nelle immagini pubblicitarie per Pétrole Hahn, un popolare shampoo per capelli, le artiste riescono a usare il fotomontaggio per minare lo stereotipo della donna perfetta, veicolata dalla stessa pubblicità. Il trucco e il taglio moderno del manichino sono in netto contrasto con la camicia da notte della madre di Ellen. Inoltre la mano che sostiene il prodotto pubblicizzato appartiene a una vera modella; così le artiste, grazie alla combinazione di diversi elementi fra loro incongrui, rimarcano l’idea di artificio sottesa alla percezione della bellezza femminile.

 

ringl + pit, Pétrole Hahn, 1931-33, Gelatin silver print, (26,7x31,1 cm), The Metropolitan Museum of Art, New York. Ford Motor Company Collection, Gift of Ford Motor Company and John C. Waddel

 

E poi fanno lo stesso con l’immagine della mascolinità. Fotografano Heinrich Clasing, loro compagno al Bauhaus, con la testa rasata posta contro una superficie riflettente, per porre in rilievo, grazie alla duplicazione del riflesso (allo stesso tempo indice metanarrativo, riflesso/riflessione sullo statuto del medium fotografico), l’idea di una personalità scissa e ambigua, un io diviso, a disagio con la propria immagine duplicata, quasi in fuga da se stesso, in contrasto con l’ideale della purezza della razza e della mascolinità ariana, celebrato dalla propaganda nazista. Ma non è tutto. Esse si divertono a dissacrare persino il loro stesso sodalizio artistico attraverso l’autoironia e la maschera, come si vede in Ringlpitis del 1931, un lavoro in sospeso tra il fotomontaggio e un quaderno di schizzi, che Ellen regala a Grete per il suo compleanno. Qui le due artiste si fotografano nei panni di angeli e acrobate barbute, sospese in un vuoto privo di gravità, in cui fanno vacillare tutto: sia l’ideale della Neue Frau, la donna mascolina nuova ed emancipata, sia le classiche categorie di gender e nello stesso tempo esaltano l’androginia e il cross-dressing, come se fossero le parole di un codice ambiguo, che ignora qualsiasi tipo di ordine gerarchico e non si cura di seguire l’etimologia o il significato annesso, un linguaggio nel quale è dato scoprire virtù nascoste e supplementi di senso, che si propagano attraverso l’ambiguità dell’immagine e le sue manipolazioni. Oggi si potrebbe definire tutto questo con il termine queer: strano, bizzarro, curioso, singolare, eccentrico.

 

ringl + pit, Spread from Ringlpitis, 1931, Artist book with collage, (38x56,2 cm), Estate of Horacio Coppola, Buenos Aires

 

Tuttavia con l'arrivo al potere di Hitler, le due artiste sono costrette a chiudere il loro studio e a trasferirsi altrove. Grete raggiunge Horacio Coppola a Londra dove realizza più di centocinquanta ritratti di intellettuali emigrati. Fra di essi ci sono: Bertolt Brecht, Helene Weigel, il filosofo marxista Karl Korsch, la psicoanalista Paula Heimann, un’intera comunità intellettuale dispersa e perseguitata dal nazismo, che sopravvive nelle sue immagini fotografiche.

 

Grete Stern, Bertolt Brecht, 1934, Gelatin silver print, (26x17 cm), Private Collection, Boston

 

 

Sueños

 

Nel 1936 l’artista si trasferisce in Argentina, a Buenos Aires, paese di origine del marito da cui divorzia nel 1943. Dal 1948 al 1951 realizza alcuni dei suoi lavori meglio riusciti: Sueños, fotomontaggi in cui confluiscono tutti gli aspetti più interessanti della sua produzione precedente: l’influenza del Bauhaus, la capacità di contaminazione fra diversi linguaggi: il sogno, la parola, l’immagine, il ritratto e la pubblicità, la dimensione autoironica del proprio lavoro, la disponibilità a dialogare e ad aprirsi a diverse voci, come aveva fatto con l’amica Ellen, l’esplorazione della condizione femminile, attraverso la messa in immagine di alcune delle angosce, che ne caratterizzano l’universo onirico. L’occasione le viene offerta dal popolare settimanale femminile Idilio per il quale Grete realizza centoquaranta fotomontaggi per la rubrica intitolata El psicoanálisis le ayudará basandosi sulle lettere in cui le lettrici raccontano i loro sogni, poi interpretati dal sociologo Gino Germani e dallo psicologo Enrique Butelman, con lo pseudonimo di Richard Rest. I sogni vengono raggruppati sotto diverse etichette: “sogni di ostacoli”, “sogni di bambole”, “sogni di specchi” e spesso la figura centrale di ogni fotomontaggio ideato da Grete è una donna (colei che sogna) posta in situazioni di conflitto, dove sono chiaramente visibili le inquietudini del mondo femminile nella società argentina dell’epoca, che tuttavia non hanno perso nulla della loro carica provocatoria, anche di fronte allo sguardo di una spettatrice contemporanea.

 

Nei suoi fotomontaggi essa combina elementi inverosimili da cui si generano prospettive distorte che danno all’opera un clima surreale, dove la donna non viene presentata solo come vittima, ma anche come artefice della propria sottomissione, accettata in maniera passiva. Gli accostamenti incongrui che appaiono nei fotomontaggi mostrano come la strategia di porre in contatto frammenti fra loro incompatibili, riesca ad aggirare abilmente il meccanismo di una facile identificazione empatica. Da questi fotomontaggi non si genera alcun sentimento di prossimità, ma un’accentuazione della dismisura, dell’eccesso, che sconfina nel campo del grottesco e produce un effetto di disorientamento, senza tuttavia che sia possibile arrivare a una conclusione definitiva sul loro significato. Nel fotomontaggio Sueño n. 1, intitolato Articoli elettrici per la casa, una donna dall’aspetto grazioso viene trasformata nella base di una lampada, in attesa di essere accesa o spenta dalla mano dell’uomo che la possiede, che nel Sueño n. 28 ha il volto di una tartaruga-rettile. Invece nel Sueño n. 6, un’altra piccolissima donna cammina curva su una fila di libri fra due mensole, disponendo fra di essi alcuni frutti di bosco, come minuscoli oggetti perturbanti. Cosa sta cercando di seminare tra questi volumi? Non si può certo fare a meno di notare che gli autori sono tutti maschi: John Dos Passos, T. E. Lawrence, Walter de la Mare, mentre essa è quasi invisibile, talmente piccola e delicata, da non poter accedere al peso di questo sapere chiuso su se stesso. O ancora nel Sueño n. 24 Grete rappresenta una madre che cammina verso il proprio figlio, nelle sembianze di un enorme bambolotto di plastica, che le provoca un moto di terrore e repulsione. Qui l’artista mette in crisi l’ideologia patriarcale che vorrebbe ridurre l’esistenza della donna al semplice ruolo di madre, e considera il modello di femminilità che rifiuta di chiudersi nel mondo della famiglia borghese, come patologico e antisociale.

 

Grete Stern, Sueño No.1: Artículos eléctricos para el hogar, 1949, Gelatin silver print (26,6x22,9 cm), The Museum of Modern Art, New York. Latin American and Caribbean Fund through gift of Marie-Josée and Henry R. Kravis in honor of Adriana Cisneros de Griffin; Grete Stern, Sueño No. 28, Amor sin ilusión, 1951, Gelatin silver print (50x40 cm), IVAM, Institut Valencià D’Art Modern

 

Grete Stern, Sueño No. 6, Sin título, 1948, Gelatin silver print, printed 1992 (30x24 cm), Private collection, Paris

 

Nei suoi Sueños la Stern utilizza la fotografia (e il montaggio) come strumento di denuncia, che diventa il punto d’incontro tra la realtà psichica e il mondo esterno: un’immagine “sognata”, impossibile da riprodurre nella realtà, ma in grado di sovvertire l’ordine della visione, per mostrare ciò che è visibile secondo un altro ordine e indurre lo spettatore a cercare nuovi significati.

Tuttavia, se è pur vero, come scrive Didi-Huberman, che il montaggio procede creando delle sospensioni che funzionano come altrettante vie aperte verso un modo nuovo di pensare la storia degli uomini, che senso ha soffermarsi a osservare, le immagini “ripugnanti e deliziose” nei fotomontaggi della Stern a distanza di più di sessant’anni? Per un semplice motivo.

Se oggi la possibilità di vedere, scambiare e condividere immagini ci sottopone a continui stimoli che minano la nostra capacità di ricezione, i Sueños di Grete catturano l’attenzione e costringono chi li osserva a una lettura in profondità, mettendo in gioco allo stesso tempo il patrimonio iconografico di ciascuno, che attinge al flusso di immagini in cui ci si trova costantemente immersi: immagini guardate, proiettate, stampate, consumate. E spesso dimenticate. Qui la fotografia (e il montaggio) riesce a raggiungere uno scopo ben preciso: non trasmette verità assolute, ma prova a far pensare a ciò che ci circonda, nell’istante in cui pone ognuno di noi di fronte a un interrogativo aperto.

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