Houellebecq finge di pentirsi

19 Agosto 2023

C'è delle volte che aprire un libro di Michel Houellebecq o una lettera dell’Agenzia delle Entrate fa un po' lo stesso effetto, cioè li si legge a dispetto dell’irritazione che riescono a procurarci. Qualche mese della mia vita (La nave di Teseo, pagg.105, euro 15), l’ultimo libro dello scrittore francese, è una di queste volte. La tranche de vie copre un periodo molto recente, va dall’ultimo trimestre del 2022 all’aprile scorso, ed è alquanto travagliata. Comincia con le polemiche provocate da un’intervista rilasciata alla rivista Front Populaire, in cui Houllebecq ribadisce alcune sue dichiarazioni islamofobe e contrarie all’accoglienza dei migranti, per proseguire con il racconto dei guai giudiziari seguiti alla sua partecipazione come attore porno al progetto di un collettivo artistico olandese, il tutto condito da parecchie digressioni sulle sue abitudini di vita e sui suoi gusti. 

Com’era prevedibile, al centro del racconto c’è soprattutto il “porno di Houellebecq”, ossia il mockumentary a luci rosse girato da Stefan Ruitenbeek – il fondatore del collettivo KIRAC (acronimo di Keeping It Real Art Critics), che l’autore nel libro chiama “Lo Scarafaggio” – di cui avevano parlato molto i giornali e le televisioni di tutto il mondo in occasione della pubblicazione del trailer.

Quello che non si conosceva in dettaglio erano le circostanze con cui questo progetto aveva preso forma, e qui Houellebecq ci presenta la sua versione dei fatti, che somiglia tanto a un agguato, o alla circonvenzione di un incapace denunciata dalla stessa vittima. In fondo, la vittima precedente di Ruitenbeek era stato un intellettuale di destra, e il filmato che lo ritraeva a luci rosse con una giovane ragazza che si divertiva a umiliarlo s’intitolava non a caso Honeypot, letteralmente: "barattolo del miele", che in informatica è un sistema usato come "trappola" o "esca" a fini di protezione contro gli attacchi di pirati informatici.

L’esca irresistibile per tutti è dunque il sesso, insieme alla vanità e a vaghe ispirazioni lovecraftiane, un autore feticcio del romanziere francese. 

In una mail dei primi di ottobre 2022, Ruitenbeek scrive a Houellebecq che di lì a poco sarebbe passato da Parigi con un’amica di nome Jini van Rooijen (che l’autore ribattezza “la Troia”), studentessa di filosofia e sua grande fan, per partecipare a delle gang bangs, e che avrebbero avuto piacere di incontrarlo. Fissarono un appuntamento in un ristorante, ma ci andò solo la moglie di Houellebecq assieme ai due olandesi, e lì la Troia chiese che “l’incontro sessuale venisse filmato dallo Scarafaggio per poterlo caricare sul suo account OnlyFans.” 

Nel libro Houellebecq sostiene di aver accettato sia per il desiderio di “tenere traccia dei suoi momenti intimi per poterli riassaporare in seguito”, sia per il piacere che gli dava sapere di essere desiderato da una sua giovane e bella ammiratrice. Chiunque abbia letto un suo romanzo sa che il sesso esplicito è molto presente, e lui stesso tempo fa fu il regista di un cortometraggio soft porno trasmesso da Canal+ dal titolo La Riviere, in cui però si limitava a stare dietro la macchina da presa. 

Dunque, con l’approvazione della moglie, ebbe luogo un incontro sessuale della durata di circa due ore fra Houellebecq e la studentessa olandese, in cui entrambi indossavano delle maschere, ovviamente filmato da Ruitenbeek. 

Nei giorni successivi, quest’ultimo propose per mail a Houellebecq altri incontri sessuali con delle giovani groupie desiderose di unirsi a lui, e a questo proposito lo invitò a recarsi ad Amsterdam, cosa che avvenne verso la fine di dicembre. Intenzionato però a non ripetere l’esperienza, dopo un lauto pranzo innaffiato da troppo alcool Houellebecq firmò un contratto capestro (ripreso integralmente nel libro) che lo privava di ogni diritto sulle riprese, e poi finì ugualmente a letto con un’altra amica dello Scarafaggio, tale Isa Moleman, ribattezzata l’Oca, un’aspirante attrice in baby-doll che pretese l’uscita dalla stanza della moglie, la cui presenza a suo dire le impediva di esprimersi compiutamente come attrice. 

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Questo, e il sospetto sempre più insistente di essere usati per fini che nulla avevano a che vedere con l’arte, fece degenerare presto il secondo incontro con Ruitenbeek e le sue amiche, che finì per essere anche l’ultimo, sebbene le azioni legali siano partite solo dopo la trasmissione del trailer del film realizzato in quella occasione, intitolato Kirac27.

Insomma, la mera trama del libro sembra un disordinato elenco di rimostranze, livori eccessivi ed excusatio non petite, e può facilmente indisporre il lettore, scarsamente interessato a queste beghe legali, ma bisogna diffidare della prima impressione. Houellebecq è un “maestro dell'ostacolo” (per usare un’espressione di Silvio D'Arzo), ne frappone continuamente, anche sulle strade che sembrano più piatte e per le mete che parevano già a portata di mano fin dalle prime pagine del libro; si oppone alla comprensione totale, immediata ed univoca, insinua dubbi, induce alla rilettura di una pagina, alla sua riconsiderazione. 

Certo, Qualche mese della mia vita non è un’operazione à la Perec, il tentativo di esaurimento non di un luogo ma di un tempo parigino, per opporsi al fatto che la vita quotidiana, nell’evidenza del suo disbrigo, lascia pochissime tracce e un giorno cancella l’altro. E non è neppure una rivisitazione, in piccolo, della folle impresa del monzese Paolo Mantegazza, che trascrisse giorno per giorno la sua monumentale biografia (al cui interno si cela il mitico Indice minotaurico, che sarebbero i verbali, scrupolosamente annotati, dei suoi accoppiamenti coniugali) obbedendo a un’imperiosa esigenza di verità, al desiderio di registrare la propria vita mentre ancora la si sta vivendo, ma quando c’è di mezzo un grande scrittore come Houellebecq “alla fine la letteratura vince sempre”, come gli disse Bernard-Henri Lévy per consolarlo dei dispiaceri giudiziari.

Ecco allora che sorvegliando e investigando i suoi quaderni per vedervi contraffatte le nostre proprie ossessioni li scopriamo infine pieni di paradossi, a cominciare dal primo e più evidente, quello di uno scrittore “fregato” per non aver letto bene, in questo caso una clausola di quel contratto capestro.

Ma tutte le storie di Houellebecq, compreso questa che sembra così personale e circoscritta, sono imbevute di filosofia e trattate alla stregua di novelle esemplari, e c’è un modo solo per venirne a capo (“Non mi restava che una cosa da fare, l’unica che sappia fare. Iniziai a scrivere”). 

A volte, come quando parla del rifiuto e del senso di squallore provocato dai film pornografici, il riferimento ai grandi temi dei suoi romanzi più celebrati è immediato: “Ciò che la Vipera e lo Scarafaggio avevano concepito […] non era altro che un’escrescenza di quell’immenso movimento verso l’asessualità che caratterizzava l’inizio del ventunesimo secolo, fenomeno inarrestabile che stava portando la modernità alla sua rovina per mezzo della pura e semplice estinzione demografica”. È l’amaro paradosso del finale de Le particelle elementari: l’uomo nuovo non è più un uomo, è privo di tutti gli elementi che lo definiscono come tale. Se l’individuazione è il peccato originale che ci trasciniamo dietro dai tempi dei tempi, allora è un peccato che può essere estirpato solo a prezzo del peccatore, col ricorso a un’eutanasia su scala planetaria.

Anche se piccolo e all’apparenza di occasione, Qualche mese della mia vita è un testo importante, e un testo importante, un testo vivo ne sa più di chi l'ha scritto. È qui che ci si trova col lettore, in questo scarto, in questa ricchezza, in quest’ambiguità, questo è il punto d’incontro, quando l’autore perde la titolarità dei propri enunciati e arriva a dire quello che non sapeva di voler dire. E così, mettendosi a nudo e raccontando la propria dabbenaggine, Houellebecq diventa un eroe del nostro tempo, come il protagonista del capolavoro di Lermontov, che in quanto tale è “un ritratto, ma non di un uomo solo, è un ritratto composto dai vizi di tutta una generazione”. Compenetrato fino al midollo nel proprio fallimento, nella predisposizione totale, naturale e fondamentale al fallimento, come diceva di Lovecraft, lo scrittore di successo Houellebecq sa che la condizione umana affonda le proprie radici in un’impasse, perché siamo fatti della stessa sostanza delle delusioni, e la incarna pienamente; sempre che l’intera vicenda non sia una sorta di performance-beffa su cui l’artista-regista olandese e lo scrittore francese erano in realtà d’accordo.

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