Il randagio che mi ha preso il cuore
È una giornata d’autunno e nella fattoria di Rick Bragg, giornalista del New York Times e scrittore, si presenta un gruppo di cani randagi. Tra loro c’è anche un grosso cane pastore che, nei giorni successivi, si avvicina da solo. La scena va avanti per alcuni giorni, fino a quando Rick decide di avvicinarsi al cane, che sembra duramente provato. Il suo corpo smagrito reca i segni di numerosi scontri, probabilmente con altri randagi. Un occhio è cieco, le orecchie sono cosparse di tagli e sembra che l’udito sia stato danneggiato. Lo stesso olfatto non è del tutto regolare. Il cane viene adottato dalla famiglia di Rick, composta da lui, dalla madre ottantatreenne e dal fratello Sam, che però non convive con loro. Il momento per Rick non è facile. Sta cercando di guarire dal cancro, ma gli effetti della chemioterapia lo condizionano ancora pesantemente. Il suo umore è instabile, frequentemente è depresso.
Dopo anni, del resto, ha deciso di tornare a risiedere in Alabama e nella baita che ha acquistato fa un po’ di tutto (oltre a scrivere), vivendo nel seminterrato dell’edificio. Da questa condizione di apatico isolamento, Rick sfugge grazie all’incontro con il cane. L’animale, a cui viene attribuito il nome di Speck (deriva da Speckled Beauty, bellezza maculata), ha su di lui un effetto straordinario, anche se si tratta di un soggetto tutt’altro che semplice. Obbedendo al suo istinto, infatti Speck cerca di radunare qualsiasi oggetto inanimato e qualsiasi animale veda attorno a sé, entrando in rotta di collisione con la mula e con gli asini della fattoria. Ha una vitalità dirompente e il suo corpo ne porta traccia nelle numerose ferite che lo segnano.
Ha un sesto senso per cacciarsi nei guai, andando a sfidare i pericolosissimi serpenti locali, e poi gli piace rotolarsi nei materiali più sordidi, come le carcasse dei cervi in decomposizione, opponendosi a qualsiasi successivo tentativo di lavaggio. Non solo. Chiunque arrivi alla fattoria è preso d’assalto. Postini e corrieri hanno imparato a tenerlo a distanza, come fanno gli autisti che devono periodicamente accompagnare Rick al lavoro. Nonostante tutto questo, nonostante i lunghi periodi in cui Sam e la vecchia madre decidono di rinchiudere Speck in una gabbia che definiscono “il carcere”, Rick stabilisce un legame unico con l’animale.
Il memoriale che lo descrive (Il randagio che mi ha preso il cuore, edito da Aboca, nella traduzione di Teresa Albanese) cerca di addentrarsi proprio nelle ragioni, o meglio nelle pieghe emotive, di questo rapporto. Appare evidente innanzitutto un elemento. Speck, è dotato di una sua ben precisa individualità (si sa, nessun cane è uguale all’altro, o come ha scritto Roberto Marchesini, “Esistono i cani e non il cane”). Speck è l’irruenza, l’assenza di stile, la rozzezza all’ennesima potenza. Ma, dalla sua, ha la vitalità. Speck è uno di quei viventi che trasmettono energia, che danno la voglia di andare avanti, di scoprire altro, di farci fare quello che non avremmo più immaginato di dover o poter compiere.
Come ci spiega Rick, che non ha nulla del melenso proprietario di cani col pallino dell’infantilizzazione, la forza di un cane come Speck si irradia su ogni elemento vivo della fattoria. In tre anni riesce progressivamente a coinvolgere nei suoi giochi e nella sua vita anche gli altri due cani (fino a quando non scompaiono) e qualsiasi altro animale. Persino la mula arriva a tollerarlo. Speck è dotato di una strabordante vitalità da cui nessuno riesce a rimanere immune. Anche Sam, che da giovane allevava segugi e che coi cani mantiene un rapporto fondato sulla distanza che diremmo professionale, con lui non riesce a conservare il suo tradizionale ruvido distacco.
Quando Sam si ammala, il grosso cane pastore diventa anzi un suo punto di riferimento e spesso Rick nota che il fratello fa con lui quello che non aveva mai fatto con altri cani, grattandogli il collo con affetto appena manifesto. Anche la madre cambia atteggiamento nei suoi confronti. All’iniziale diffidenza, che peraltro lei non aveva mai mostrato verso alcun animale come dice chiaramente la grande quantità di cani e gatti in circolazione, subentra il bisogno di tenersi Speck vicino, facendolo salire sul divano o sulla poltrona in pelle per guardare insieme la televisione.
Il titolo scelto per la traduzione italiana (non coincidente con quello originale, The Speckled Beauty: A Dog and his People) ben evidenzia quello che Speck è riuscito a fare: ha preso il cuore di Rick e, in questo modo, gli ha salvato la vita. Rick, per lui, è disposto a fare di tutto, sottoponendo il suo fisico debilitato a prove complicate. Si leggano, a tal proposito, l’episodio della lotta col serpente mocassino o quello della lotta contro gli asini. Come ogni innamorato, Rick vorrebbe sapere tutto sul suo cane. Passa le ore in Internet per cercare di capire di che razza sia Speck, fino a quando si convince che sia un pastore australiano. Vorrebbe conoscere più a fondo il suo passato, ma fatica anche ad attribuirgli un’età precisa.
Rimane colpito dalle sue abilità, in particolare dalla precisione con cui si muove rimanendo nei confini della proprietà, come se avesse registrata nella testa una mappa dei confini. Si preoccupa per la sua salute e corre frequentemente dal veterinario. Ciò che colpisce è che Bragg non fa un elenco di qualità del suo cane, come capita nei testi in cui si celebra la relazione secondo un percorso piuttosto stucchevole. Semmai siamo di fronte a un elenco di difetti, talvolta insopportabili, fastidiosi, disperanti. Per molto meno alcuni umani che hanno con il proprio cane un rapporto sbagliato (o non ne hanno proprio uno) adottano la scelta devastante dell’abbandono.
Speck è un cagnaccio. Puzzolente, disperatamente folle e insensato (come quando cerca di mangiare minuscoli pesci e quasi affoga), gioiosamente infantile, rumoroso. È un cane pericoloso, visto che aggredisce gli estranei. Un maleducato, che arriva a prendere a testate le auto che si avvicinano alla fattoria. Un marginale, oltretutto, viste le sue esperienze di randagio capace anche di farsi buttar fuori dal branco. In tal senso Speck ricorda molto il Timbuctu di Paul Auster. E proprio come capita a quest’ultimo, ciò che contraddistingue la relazione tra Speck e Rick è la profonda empatia – il capirsi nonostante tutto, la capacità di accettare l’altro per quello che è, senza la pretesa di farlo diventare ciò che noi vorremmo che fosse – unita alla necessità di trasformare la prossimità in vicinanza, come ancora una volta ha affermato Marchesini.
È questa apertura all’altro che salva Rick, che gli restituisce la voglia di affrontare l’esistenza, di mettersi alle spalle la malinconia, la depressione, i timori legati alla pandemia. In un capitolo si parla degli animali magici. Si tratta di un’antica funzione dell’animale, quella di stabilire un legame tra i mondi, di aprire varchi, di funzionare da tramite per stabilire sintonie imprevedibili, per portarci oltre il visibile, per guarire. Salvarsi con gli animali non significa altro che questo. Imparare o reimparare ad accogliere la vita, in ogni sua forma, sapendo di essere noi stessi parte del tutto.