WOW! / Il salto di scala da Rodin alla cultura Pop
È una delle esclamazioni dei visitatori alla vista del manichino Bonaveri, collocato nel cortile di Palazzo Pucci durante la mostra Bonaveri – A fan of Pucci. La mostra è articolata in un percorso espositivo che comprende abiti, accessori e installazioni che legano la casa di moda Emilio Pucci a Bonaveri Artistic Mannequins. Il manichino Bonaveri alto 6 metri ha un aspetto Pop per il salto di scala rispetto al contesto e per i disegni della casa di moda trasferiti in scala ciclopica sui volumi del manichino. Visito le sale al primo piano, assisto anche ai laboratori sartoriali e decorativi allestiti al piano terra, ma l’impressione lasciata del gigante non mi abbandona e domina tutte le altre. Il salto di scala grafico e plastico messo in scena a Palazzo Pucci dal direttore creativo Emma Davidge per sorprendere gli addetti ai lavori non è solo un prodotto della cultura Pop.
Ho avuto modo di vedere le foto del manichino mentre l’artista Tiziano Colombo lo stava dipingendo aiutato da una proiezione dei motivi grafici sui volumi scomposti del colosso. Questi passaggi dal bidimensionale al tridimensionale e da un codice visivo all’altro, accompagnati da scomposizioni e ricomposizioni della forma, mi hanno ricordato la tecnica utilizzata da Auguste Rodin. Il celebre scultore trasferiva alle sue sculture le modifiche ottenute manipolando la loro riproduzione fotografica. I suoi assemblaggi in gesso realizzati attraverso sorprendenti salti di scala, sono un esempio del dialogo tra visione plastica e visione grafica, all’insegna delle tecniche di taglio, prelievo, riposizionamento e montaggio delle parti.
Rodin non è il solo artista a concepire la scultura in rapporto alla manipolazione dell’immagine grafica e fotografica. Lo è stato anche Medardo Rosso che conosceva e frequentava Rodin. In tempi successivi anche Adolfo Wildt.
Studiando la scultura antica sulla base delle riproduzioni fotografiche in circolazione ai suoi tempi, Wildt si era immaginato una forte presenza del taglio, talvolta associato al riposizionamento delle parti ritagliate, che tradurrà nella sua opera. È il caso della scultura I Parlatori del 1907 composta riposizionando con una rotazione oraria di 90 gradi una figura ritagliata da un gruppo scultoreo successivamente andato distrutto. Nel catalogo della mostra Wildt. L’anima e le forme, Paola Mola scrive: “le immagini sui libri o sulle cartoline, scontornate su fondo nero, apparivano estraniate dal contesto, e in assenza del colore tutte in qualche modo simili e componibili tra loro. In più la fotografia riprodotta sui libri esaltava il frammento […] nelle tavole sui libri, si trovavano giustapposti senza unità di proporzione, teste o mani isolate e figure intere, così che un senso di enorme e gigantesco usciva immaginoso nella pagina” (Wildt. L’anima e le forme, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano 2012, p. 22).
Alcune fotografie scattate da Antonio Paoletti o più probabilmente da Giovanni Scheiwiller nel 1925, mostrano il Sant’Ambrogio di Wildt in corso d’opera. Quando ho visto le fotografie del manichino Bonaveri in lavorazione, la mia mente non è andata direttamente ai salti di scala di Rodin ma alle fotografie di Paoletti/Scheiwiller. Da lì ai tagli e ai riposizionamenti di Wildt e poi, solo dopo, agli assemblaggi di Rodin. Il pensiero per immagini non è lineare, procede anch’esso per spostamenti e improvvisi salti di scala, che sono penetrati a fondo nella nostra cultura visiva e nell’arte contemporanea.
Non mi riferisco tanto al gigante collocato da Damien Hirst nell’atrio di Palazzo Grassi a Venezia l’estate scorsa, quanto ai video di Uri Aran nei quali l’artista divide le unità espressive in blocchi per poi ricomporle spostando l’asse narrativo, una tecnica che mostra impressionanti analogie con le tecniche di cui si è detto sopra. Si potrebbe dire che la sua visione dell’immagine in movimento, soprattutto cinematografica, si sia formata attraverso le tecniche scultoree di taglio, ricollocazione e montaggio delle parti accompagnate da rotture di simmetria e salti di scala. Agli scarti nelle grandezze spaziali e temporali Ruggero Pierantoni ha dedicato il saggio Salto di scala. Grandezze, misure, biografie delle immagini, Bollati Boringhieri, Torino 2012.
Il salto di scala è l’aspetto della mostra a Palazzo Pucci che più colpisce. Qui, a Firenze, tra le forme proporzionate del Rinascimento, il contrasto con il gigante Bonaveri è esplosivo, dirompente. Le due visioni sono tra loro incompatibili. Infatti lo scultore Medardo Rosso, che attraverso le operazioni di taglio, riposizionamento e “riscrittura” grafica dell’immagine fotografica della scultura aveva tra i primi conquistato questa visione, ogni volta che si trovava a passare in treno per Firenze accostava le tendine del finestrino per non vedere la città. L’aneddoto mi è stato raccontato dalla storica dell’arte Paola Mola, la maggiore esperta di Rosso e peraltro anche di Wildt. Da allora il finestrino è rimasto oscurato. Il Rinascimento è diventato un fatto storico-artistico capitalizzato e amministrato come bene. Quindi ben venga il gigante che involontariamente pone il problema della trasformazione della Rinascita del mondo antico greco e romano in un bene di consumo culturale e di Firenze in un parco a tema.
La Rinascita del mondo antico teorizzata dagli Umanisti e dai letterati del Quattrocento, passata poi alla storiografia con il termine Rinascimento, diede impulso a un movimento culturale nel quale l’uomo divenne “modo et misura di tutte le cose”. Usiamo dire “a misura d’uomo” spesso dimenticando che questa espressione deriva dall’idea rinascimentale che l’uomo sia la misura di tutte le cose, e che questa misura sia riferita alla regolarità e alla simmetria che gli Umanisti ravvisarono nelle opere del mondo antico greco e romano. Una concezione lontana anni luce dalle giustapposizioni senza unità di proporzione che caratterizzano la nostra cultura visiva.
Il senso di ordine, misura, proporzione, equilibrio e armonia tra le parti che caratterizza il primo Rinascimento trovò esemplare espressione architettonica nella Sagrestia Vecchia progettata da Filippo Brunelleschi, il primo esempio di artista ideale del Rinascimento, e altrettanto esemplare espressione politica nel progetto amministrativo di Federico da Montefeltro duca di Urbino. Questa concezione umanistica della politica, come dell’arte, della moda e dello stile non è più la nostra e proprio qui, a Palazzo Pucci, lo si avverte chiaramente. Il contrasto tra il gigante Bonaveri e la Firenze rinascimentale impone una visita alla Sagrestia Vecchia che si trova poco lontano.
Questa magnifica opera di Brunelleschi costituisce il prototipo architettonico della forma rinascimentale nella quale ogni elemento che la compone è in una relazione armonica con l’altro. Una forma simmetrica, proporzionata pacifica e serena, quasi come quella della gemella Sagrestia Nuova di Michelangelo Buonarroti turbata dai profili ellittici dei “cassoni” che conservano le spoglie di Giuliano e Lorenzo de’ Medici. Mi sposto dalla Sagrestia Vecchia a quella Nuova pagando un secondo biglietto. Nella nicchia sopra il suo sarcofago Lorenzo de’ Medici, divenuto duca di Urbino alcuni decenni dopo la morte di Federico, medita sul tempo che separa lo spazio chiaro e sereno della Rinascita da quello inquieto nel quale già si trova. Non è ancora quello dei tagli, dei montaggi e dei salti di scala senza unità di proporzione, ma ormai il primo Rinascimento è alle spalle.
Esco dalla Sagrestia Nuova passando dal bookshop, dove le bellezze di Firenze riprodotte in scala ridotta si possono acquistare a pochi euro, e penso al gigante Bonaveri che certamente è costato molto di più. La scala economica, dimensionale e sociale è diversa: l’ingresso alla Sagrestia Nuova costa 8 euro, quello a Palazzo Pucci è solo su invito.