Il sogno di Kenneth Anger
Intervistato nel novembre del 1978 da Robert Haller e John Burchfield a proposito della sua partecipazione a A Midsummer Night's Dream, film realizzato nel 1934 da Max Reinhardt e William Dieterle, dove, all'età di quattro anni, interpreta la parte del “Changeling Prince”, Kenneth Anger chiarisce: «All'epoca ero iscritto alla scuola di danza di Theodore Kosloff, un membro dei “Ballets Russes” di Diaghilev che rimase in America dopo la tournée. Ottenne un contratto con Cecil B. DeMille e coreografò una serie di film muti, tra cui The Road To Yersterday e The Volga Boatmen. Ha anche interpretato ruoli nei film muti – la sua ultima parte è stata quella dello spirito dell'elettricità in Madame Satan. [In seguito] aprì una scuola di danza... Alcuni talent scout vennero alla scuola in cerca di bambini che potessero interpretare folletti e fate [in A Midsummer Nights Dream]. Per gli elfi usarono dei veri nani (li presero dal circo). Le bambine che interpretavano le fate indossavano del cellophane tagliuzzato: era tutto ciò che avevano addosso. Una volta, sul set, i raggi di luna di cellophane presero fuoco a causa del calore delle luci ad arco, e tutte le bambine si bruciarono il sedere. Ma nessuno si fece male».
Il lettore riconoscerà qui, nel nitore del ricordo, lo sguardo puntuale di chi la storia di Hollywood l'ha davvero vissuta in prima persona, o ascoltata da testimoni di prima mano, e l'ha fatta diventare una magnifica ossessione, a tal punto da cavarne fuori una collezione privata e due magnifici libri: Hollywood Babilonia I e II. Il primo volume venne pubblicato nel 1959 in francese, dalla casa editrice Jean-Jacques Pauvert, a Parigi, dopo che alcuni estratti erano apparsi sui Cahiers du cinéma, verso la fine del 1957 e l'inizio del 1958 (nn. 76, 77, 79). Negli Stati Uniti i volumi furono tradotti solo nel 1975, bloccati dalla censura (in Italia li ha pubblicati la casa editrice Adelphi – il primo volume già nel 1979). Ma non è solo per questo che citiamo l'aneddoto. Nel 1934, l'anno di A Midsummer Night's Dream, Anger sostiene di avere quattro anni. Eppure, Kenneth Wilbur Anglemyer, risulta essere nato a il 3 febbraio del 1927 a Santa Monica, California. Segno dell'acquario. Facendo i calcoli, gli anni sarebbero sette. Dunque? Tutta la storia di Kenneth Anger si muove su un filo esilissimo che tende a confondere realtà e artificio. Un fact checking (l'ha fatto Bill Landis nella sua biografia non autorizzata, intitolata Anger. The Unauthorized Biography of Kenneth Anger, Harper & Collins, 1995) risulterebbe fatale. Ma perché mettersi a fare le pulci con lena catastale? Potremmo dire che l'intento di Anger sia sempre stato quello di auto-costruire la propria figura, facendo della propria biografia materiale letterario: una Biographia Literaria, col permesso di Coleridge. Perché non lasciare all'immaginazione il compito di plasmare l'esistenza?
Kenneth Anger ci ha lasciato lo scorso 11 maggio. Aveva 96 anni. I rappresentanti artistici della Sprüth Magers Gallery lo hanno annunciato il 24 maggio. Ma, per un istante, abbiamo la tentazione di non crederci. Quante volte abbiamo già letto questa notizia? Stan Brakhage, che l'ha filmato in The Dead (1960), lo considerava un morto-vivente. Lo Stesso Anger, sulle pagine del Village Voice (26 ottobre 1967), aveva acquistato uno spazio per annunciare la sua prematura “morte” artistica in un necrologio a tutta pagina: “In Memoriam Kenneth Anger. Filmmaker. 1947-1967”. Una diabolica mossa pubblicitaria in segno di protesta contro i magri fondi elargiti ai filmmaker indipendenti. La sua è la storia di un artista solitario, costantemente alle prese con budget risibili costretti a sbattere contro quella grandiosa fantasmagoria che resta il suo progetto filmico. Dare uno sguardo alla sua filmografia significa fare i conti con una lista lacunosa, tra progetti in potenza, perduti, frammenti di film a venire, mai finiti. Film abbandonati (i primi, girati a dieci anni, nel 1937, come Ferdinand the bull). Oppure film leggendari: Thelema Abbey, girato nel 1955 a Cefalù per un canale televisivo britannico, nella “casa dell'inglese”, come lo chiamano molti cefaludesi: Aleister Crowley. Gli scritti del “Mago” hanno ispirato i suoi lavori e accompagnato la sua esistenza.
Del film restano però solo fotografie. Ad Adriano Aprà e Bruno Di Marino, a Lucca nel 2006, nell'ambito di una retrospettiva, Anger aveva dichiarato: «A metà degli anni ’50 ho passato un’intera estate a rimuovere la calce che ricopriva gli affreschi e un settimanale inglese, Picture Post, allora molto in voga, è venuto a Cefalù e li ha fotografati, pubblicandoli in tre numeri consecutivi. Ho anche girato un cortometraggio per documentare quella riscoperta, intitolato Thelema Abbey (1955), prodotto dalla emittente televisiva legata alla rivista. Ma in seguito sia la rivista che l’emittente sono fallite e, quando sono andato a Londra per riprendermi il materiale, non l’ho più ritrovato. L’unica testimonianza che ci resta di queste opere sono dunque le fotografie». Gli affreschi erano stati nascosti con la calce dalla polizia di Mussolini nel '22, costringendo Crowley a lasciare l'abitazione e la Sicilia, con l'accusa di fomentare pratiche degenerate. Sulle pareti della villa, nel 2015, quando ho scavalcato una finestra rotta e vi sono entrato, restava ben poco. Pareti verdastre, un volto dagli occhi minacciosi e il resto deteriorato, lacunoso, tra scritte sconce, materassi, bottiglie di birra, il tetto sfondato e il bagno senza più piastrelle (o era l'ingresso?). In ogni caso, possibile che il film sia andato perduto?
La storia di Anger è quella di un uomo preso nel processo della sua immaginazione; o in quella di sogni tradotti in film in cui si convocano, ricreano, fissano simboli, gesti, rituali, come in una seduta medianica. Il cinema non è forse in grado di dare vita agli spettri, come accadeva ai tempi della lanterna magica? Proprio a Robertson si rifà Anger. E a Méliès. La fantasmagoria e l'artificio. La magia e la seduzione. In Inauguration of the Pleasure Dome (1966) vengono convocati Lord Shiva, Osiris, Cagliostro, Nerone, la Grande Bestia 666 (interpretati da Samson De Brier), La Donna Scarlatta e la Dea Kali (Marjorie Cameron), Isis (Kathryn Kadell), Lilith (Renata Loome), Astarte (Anaïs Nin), Ecate (lo stesso Anger), Ganimede (Peter Loome), e il filmmaker Curtis Harrington. La trama desunta dal programma della Film-maker's Cinematheque dedicato al “Magick Lantern Cycle”, che all'epoca, nel 1966, comprendeva 5 film (diventeranno 10), riporta: «Lord Shiva, il Mago, si sveglia. Una riunione di Teurgisti abbigliati come figure mitologiche porta doni: la Donna Scarlatta, Prostituta di Heaven, fuma un grosso joint; Astarte della Luna porta le ali della neve; Pan dona il grappolo di Bacco; Ecate offre il Fungo Sacro, Yage, infuso di Assenzio. La bevanda di Ecate viene versata; la coppa di Pan è avvelenata da Lord Shiva. Segue l'Orgia; una magicka festa in maschera in cui Pan è il premio. Lady Kali benedice i riti dei Figli della Luce mentre Lord Shiva invoca il Dio con la formula "Forza e Fuoco"».
Inaguration of the Pleasure Dome risulta «Filmed at Lord Shiva’s House, Hollywood, California, and another place». Girato nella Casa di Lord Shiva, a Hollywood, in California, e in altro luogo. Qual è quest'altro luogo? Nell'approntare il momento della proiezione, Anger segnala che il film andrebbe esperito in circostanze ideali, cioè in quello stato di Trance Sacra chiamata “High” (insomma, gli acidi aiuterebbero). Chi avesse visto questo film, avrà ancora nelle orecchie la musica di Leoš Janáček (un'altra versione del film era accompagnata dalla musica dell'Electric Light Orchestra). E ricorderà il fondo nero (lo usava spesso Méliès per realizzare i suoi trucchi) su cui svettano figure chimiche fissate in colori incendiari: un rosso pirotecnico. Ma tutte le tinte si danno appuntamento in questo rituale lisergico, caleidoscopico. «Come artista mi servo dell'astrologia così come ci si serve dei colori. Me ne servo in senso poetico», affermava Anger, che per questo film ha lavorato sovrapponendo fino a sei strati di immagini. Il lavoro sulla sovrimpressione delle figure è magistrale, talmente magnetico da stordire. Samson De Brier (Lord Shiva) ha tenuto un diario delle riprese. Alcuni estratti sono stati pubblicati sul n. 67-68-69 di Film Culture (1979): «Sono turbato: la mia casa non si adatta agli elaborati allestimenti che ricordavo nel copione. Kenneth sorride e si mostra affettuoso, ma non spiega nulla. Quasi tutti i mobili del soggiorno vengono rimossi e ciò che resta viene drappeggiato e trasformato in nuovi oggetti affascinanti e bellissimi. Questo è il grande dono di Kenneth: tramuta l'ordinario in straordinario».
Trasformare l'ordinario in straordinario. Che si tratti del set di Rabbit's Moon, girato a Parigi nel 1950 (ma il film verrà terminato nel 1970), costruito interamente da Anger in un teatro di posa affittato in agosto (alberi, e foglie di carta trasparente, costumi), o di Scorpio Rising (1963), con i motori luccicanti delle motociclette, i modellini giocattolo, la sensualità dei ragazzi in giubbotto di pelle, tra borchie, stivali e jeans unti di grasso, e ancora gli spezzoni di found footage, le gare di motocross, una parata di teschi, in garage irriconoscibili, illuminati in penombra, e una colonna sonora epocale (parlare di come Anger accosti immagini e suoni, alternando e variando le colonne sonore, moltiplicando le versioni, prenderebbe giorni; basti qui dire che Scorsese e Lynch hanno preso molto da lui); che si tratti di Puce Moment (1949-70), dove ha filmato Yvonne Marquis in pose da diva del muto, facendo sfilare una parata di abiti d'epoca tra canzonette pop; che si tratti di Fireworks, il suo primo film girato nel 1947 a casa dei genitori, con veri marinai, mentre mamma e papà sono fuori per il weekend (trama: un sognatore insoddisfatto, insonne, vaga nella notte alla ricerca di una “luce”. «È una dichiarazione personale sui miei sentimenti nei confronti della violenza e di un certo tipo di mascolinità», dichiarerà. Omosessuale, Anger viveva la sessualità come qualcosa di molto personale, da custodire. Qualcosa che rasenta l'occulto, come se il desiderio sfociasse nella magia); questo UFO, dicevamo, l'ha realizzato a diciassette anni... (e pazienza se in realtà gli anni fossero venti, e i marinai fossero probabilmente comparse, e quella dove ha girato probabilmente non fosse casa sua, e le riprese fossero durate più di un weekend); che si tratti ancora di Lucifer Rising: un'avventura in tre versioni differenti, con musiche di Mick Jagger nella prima (Invocation of my Demon Brother, 1966-69), di Jimmy Page nella seconda (Lucifer Rising I, 1973-64) e di Bobby Beausoleil con la sua orchestra di carcerati nella terza e conclusiva (Lucifer Rising II, 1980-81); che si tratti ancora di Mouse Heaven (1987), o di Kustom Kar Kommandos (1965) con quel motore scintillante di una Ford, il freddo metallo accarezzato, lucidato sul fondo violaceo da una mano che impugna un panno di angora (Samson De Brier ricordava nel suo diario: «Kenneth ha un feticismo per la pulizia. La mia camera da letto risplende e brilla. Ogni oggetto è stato pulito e lucidato con amore da Kenneth stesso»), ecco, tutto questo ha a che fare con la trasformazione dell'ordinario nello straordinario.
Per Anger, il cinema ha a che fare con la stregoneria. E la forma moderna della stregoneria non è in fondo il “culto”? Jean-Claude Lebensztejn ha ben colto questo aspetto: «Da qui il suo interesse, molto sviluppato negli anni Sessanta, per i culti moderni – moto, auto personalizzate – con i loro rituali, simboli, pratiche associative ed esclusive. Anger descrive il culto come “l'attuale incarnazione della stregoneria”... Spiega che il suo fascino per la magia e la fantasia "nel punto in cui incontrano la realtà" è ciò che lo ha portato a studiare vari culti americani... “È con i culti adolescenziali che la magia affiora nel mondo contemporaneo”. Il culto è il punto in cui la magia o l'immaginario incontrano la realtà... Degli adolescenti californiani – surfisti, rocker, fanatici dell'acido e, soprattutto, del tuning – dice: “Il culto è il punto in cui la magia o l'immaginario incontrano la realtà”. E ancora: “Vivono davvero in un sogno”».
Anger aveva confidato a Tony Rayns di fare film per «catturare persone». «Ho sempre trovato il cinema diabolico. I miei film riguardano innanzitutto la sessualità delle persone. La ragione per cui faccio film non ha nulla a che fare con il “cinema”: è una scusa trasparente per catturare le persone, un modo per dire “Venite a vedere le mie stampe”... Quindi mi vedo come se stessi facendo il lavoro del Male grazie a un mezzo diabolico». In un'altra intervista ancora, rilasciata a una rivista svedese occultista, gli chiedono se il cinema sia un'arte “magicka”, nell'accezione che al termine dava Crowley, e lui risponde: «Beh, è un'arte della visione. È come una sfera di cristallo, puoi creare visioni. Ti permette anche di manipolare il tempo e lo spazio e di trascendere il realismo».
Non è quello che ha sempre fatto? Il cinema è un'arte luciferina. Diabolica proiezione di luce.
Anger ha passato la sua esistenza volontariamente esiliato dal resto del mondo, frequentando poche persone, progettando e sognando film (a proposito di Fireworks: «Avevo visto questo dramma sullo schermo perfetto dei miei sogni. Questa visione poteva essere giustificata solo dallo strumento che l'attendeva»), modificando instancabilmente i materiali che ha realizzato, ritoccandoli, generando innesti, creando dissolvenze, scegliendo o comparando motivi musicali, scrivendo, continuando a immaginare attraverso strisce di celluloide. C'è qualcosa di ostinatamente vitale e artistico in questo gesto che potrebbe sembrare disperato. E vale ancora la pena scomodare Coleridge. Non solo per quel riferimento ai primi versi di Kubla Khan («In Xanadu did Kubla Khan / A Stately pleasure-dome decree») a cui allude Inauguration of the Pleasure Dome. Ci sembra di ritrovare in Anger il medesimo approccio organico che interessava al poeta inglese. L'idea che l'immaginazione, la poesia e i film siano in fondo un organismo vivente in continuo sviluppo. Qualcosa che genera e produce la propria forma.
Coleridge sognò i versi del suo Kubla Khan. Si era addormentato mentre stava leggendo un passo di Purchas che riguardava la costruzione di un palazzo da parte del Kubla Khan, l'imperatore le cui gesta sono state narrate da Marco Polo. Come non ricordare le parole di Borges in proposito: «Nel sogno di Coleridge, il testo casualmente letto prese a germinare e a moltiplicarsi; l'uomo che dormiva intuì una serie di immagini visuali e, simultaneamente, di parole che le manifestavano; di lì a qualche ora si svegliò, con la certezza di aver composto, o ricevuto in dono, un poema di forse trecento versi. Li ricordava con singolare nitidezza e poté trascrivere il frammento che rimane nelle sue opere. Una visita inattesa lo interruppe e gli fu impossibile, in seguito, ricordare il resto».
Coleridge sogna nel 1797 le immagini e le parole che darà alle stampe nel 1816. Borges ricorda come venti anni dopo apparve a Parigi la prima versione occidentale di «una di quelle storie universali di cui è tanto ricca la letteratura persiana, il Compendio di Storie di Rashid ad-din, che risale al secolo XIV». In una pagina appare la storia del palazzo eretto da Kubla Khan «secondo un disegno che aveva visto in sogno e che serbava nella memoria». Impossibile che Coleridge ne fosse a conoscenza. «Un imperatore mongolo, nel secolo XIII, sogna un palazzo e lo edifica conformemente alla visione; nel secolo XVIII, un poeta inglese che non poteva sapere che la fabbrica era nata da un sogno, sogna un poema sul palazzo. Confrontate con questa simmetria – scrive Borges –, che opera con anime di uomini dormienti e abbraccia continenti e secoli, niente o ben poco sono, mi pare, le levitazioni, resurrezioni e apparizioni dei libri devozionali». Come spiegare la cosa? Tra le varie ipotesi, Borges ne indica una che trascende il razionale. L'anima dell'imperatore, una volta crollato il palazzo, è penetrata nell'anima di Coleridge, affinché lo potesse ricostruire a parole.
Dream Lover, where are you?
Ma che fattezze dovrebbe avere questo palazzo? Quelle di un padiglione a cupola dedicato solo al piacere. Pleasure Dome. Potrebbe essere un cinema, oltre che una “chiesa”: insomma, un luogo di culto dove si compiono strani rituali. Ma per costruirlo serve che qualcuno prima lo sogni. Anzi, bisogna essere almeno in due a farlo. È necessario che uno lo proietti e che l'altro vi resti impigliato; catturato nel sogno dell'altro. Bisogna insomma possedere qualità oniropompe. Movimento di circolazione e corrispondenza. Desiderio, fantasmagoria, magia. E viene in mente la voce delle Paris Sisters in Kustom Kar Kommandos mentre cantano Dream Lover: «I wanna a Dream Lover / So I don't have to dream alone».
I sogni possono viaggiare temporalmente tra le anime? Qualcosa come una forza, fa incontrare certe figure. Kenneth Anger avrà mai sognato Kubla Khan? Chissà se Coleridge se lo è mai chiesto.
Nota di Lettura
Anger parla di A Midsummer Night's dream nell'appendice B della monografia di Robert A. Haller, Kenneth Anger, Mystic Fire Video, New York, 1980; l'intervista a Anger di Adriano Aprà e Bruno di Marino è stata pubblicata in Alias/Il Manifesto, il 30 dicembre 2006; per gli estratti del “Diario” di Samson De Brier rimandiamo a “On the filming of Inauguration of the Pleasure Dome”, Film Culture, n. 67-68-69, 1979; il sogno di Fireworks è riportato da Anger in “Modestie et art du film”, Cahiers du cinéma, n. 5, settembre 1951; le dichiarazioni a Tony Rayns la desumiamo da “Dedication to Create Make Believe. Kenneth Anger interviewed by Tony Rayns”, Time Out, 91, 12-18 novembre 1971, ora in J. Pilling, M. O'Pray, Into the Pleasure Dome. The Films of Kenneth Anger, BFI Publishing, Londra, 1989, e da T. Rayns, “Lucifer – A Kenneth Anger Kompendium”, Cinema, n. 4, Londra, ottobre 1969; il magnifico saggio di Jean-Claude Lebensztejn, a cui rimandiamo anche per l'intervista “occultista” svedese, è “Figures de culte. Beckford avec Anger”, apparso in Vacarme, n. 24, luglio, 2004, ora in J.-C. Lebensztejn, Propos filmiques, Macula, Paris, 2021; per “Il sogno di Coleridge” di Jorge Luis Borges, si veda J.L. Borges, Altre inquisizioni, Adelphi, Milano, 1996.