Italo Lupi, l'eleganza del progetto
L’arte in cui Italo Lupi, scomparso ieri a 89 anni, ha eccelso è stata quella del guardare. Per lui, come ha detto Italo Calvino – entrambi con un nome così tanto italiano – parlando di sé stesso e della letteratura: “L’unica cosa che vorrei poter insegnare è un modo di guardare, cioè di stare in mezzo al mondo”. Se si sfoglia l’Autobiografia grafica che Lupi ha pubblicato in occasione dei propri 80 anni da Corraini Edizioni, si capisce quanto sia stato importante quel “stare in mezzo al mondo”. La prima cosa che si coglie nel suo lavoro, lì impaginato e costruito come un racconto, è l’importanza che ha avuto la cultura delle avanguardie dell’inizio del XX secolo; più il dadaismo che non il surrealismo, e insieme al movimento nato a Zurigo al Cabaret Voltaire anche il Futurismo, movimento che ha segnato la cultura artistica e visiva del nostro paese, la cui duplicità e ambiguità politica è stata elaborata proprio dagli architetti milanesi nati nel solco di Terragni, poi diventati antifascisti durante il regime e dopo la sua caduta nel 1943. Lupi veniva da lì, dai BBPR, compagni di studi di Saul Steinberg, poi finiti nei Lager nazisti, mentre il disegnatore romeno si rifugiava negli Stati Uniti per via delle leggi razziali, non senza aver lasciato un’impronta nel disegno e nella narrazione del fumetto italiano.
Le prime pagine dell’Autobiografia grafica, mestiere in cui Lupi è stato uno dei grandi maestri del Novecento, sono tutte all’insegna del collage e del montaggio secondo una ibridazione che non esagera mai, che non è mai guascona, o fuori misura, ma sempre moderata. La moderazione come stigma dell’eleganza in Lupi si è tradotta nella ricerca di un segno grafico che si facesse carico del suo desiderio di bellezza, ma anche di una difformità, per quanto sempre senza esagerazioni di sorta. Moderare ha voluto dire per Lupi trovare un modo, appunto, una misura, stabilendola non a priori bensì a posteriori per trovare in ogni suo lavoro il limite della forma necessaria. C’è un certo eclettismo nel suo segno di progettista di marchi e di loghi, che ha interpretato fino in fondo il mood di un’epoca anche sua, che è stata quella dei Beatles e del pop, e anche quella del recupero del segno grafico rinascimentale fino a quello piranesiano delle Vedute di Roma, un gusto elegante e insieme profondamente italiano nel tratto e nell’invenzione dello spazio grafico dentro il disegno.
Consumatore dei comics di Topolino, amante del segno nervoso di Guido Crepax, che gli fu amico, aperto alla scoperta di tutto quello che accadeva di nuovo nel mondo artistico e architettonico, Lupi si è trovato negli anni Sessanta a vivere il boom grafico della modernità italiana, quella che parte dalle pagine di “Il Politecnico” di Albe Steiner per passare attraverso la grafica neo-americana di Provinciali, per arrivare al postmodernismo degli anni Novanta, mai sposato in alcun modo, ma neppure posto al di fuori del suo lavoro per partito preso. Dagli anni Settanta Lupi ha avuto casa a Londra e da lì ha visto quanto di nuovo accadeva in Gran Bretagna, o meglio nella sua capitale, tra i Sessanta e i Settanta vero laboratorio di trasformazione della musica, della grafica e della moda beat.
L’eleganza è stata l’altra grande dote di Italo Lupi, sempre attento a trovare soluzioni adeguate ai propri committenti, fedele però a una sua speciale vocazione di stile e accuratezza. Ha esercitato un gusto specifico che conservava qualcosa d’infantile sia nel carattere personale che in quello strettamente grafico. L’aspetto quasi collezionistico di chi è legato al proprio passato, ma non in modo strettamente temporale, bensì attualistico: la grafica come atto continuo in fieri.
L’elemento ludico è sempre stato presente nei suoi marchi e anche negli allestimenti che ha realizzato nel corso della sua lunga carriera. L’aspetto della piacevolezza, della gradevolezza, non lo ha mai indotto a spingere eccessivamente le forme, ma a dominarle e a piegarle a un uso pratico e insieme giocoso. Uno dei piccoli capolavori di Lupi è il marchio di una delle griffe più di moda degli anni Novanta e Duemila: Miu Miu. Giocando su una sorta di minimalismo egli ha realizzato un marchio massimalista elidendo il nome inventato da Prada con un lettering in cui il più e il meno si equivalgono, e l’occhio è obbligato a chiudere forme che il grafico ha aperto e insieme reiterato. In questo senso quello che interessava all’architetto laureato al Politecnico di Milano alla fine degli anni Cinquanta, in un’epoca dominata ancora dal patriarcato architettonico ed editoriale Gio Ponti, è stato di applicare alle due dimensioni qualcosa che apparteneva alle tre, come si evince dal Logotipo della Triennale realizzato con Alberto Marangoni nel 1968, in grande anticipo su quei tempi, dove la T del nome diventa un contenitore multicolore di spazi che alterna le due e le tre dimensioni.
Ma la cosa che più ha avuto importanza per questo maestro è stata la sua passione per quella eleganza morigerata ed essenziale, che è stata definita britannica, che include sempre un tocco di eccentricità. Lui, pur non essendo eccentrico, ma un metodico figlio della cultura milanese e di quella piemontese, da cui veniva il ramo materno, ha sempre avuto un tocco attento alla deviazione dalla norma. Come ricorda una pagina in rosso bucata in bianco del suo progetto per le Olimpiadi invernali del 2006 a Torino, aveva voluto utilizzare una frase di Italo Calvino dedicata alla città in cui lo scrittore ligure era emigrato alla fine dei Quaranta: “Torino invita alla logica, e attraverso la logica apre la via alla follia”. Scegliendo quel rosso quasi magenta per impavesare di strisce verticali la città di frasi, parole, segni – la verticalità è stato un suo elemento decisivo del suo impaginato – Lupi sceglieva quel pizzico di follia che evidentemente lo tentava, così come tentava il ligure di Sanremo, ma da cui entrambi si tenevano a debita distanza, senza rinunciare a mostrare l’altro lato nel loro enunciato grafico e letterario.
Un altro aspetto fondamentale è stato il lavoro editoriale alla testa delle due più importanti riviste di architettura, design e grafica degli ultimi quarant’anni: Abitare, diretta per dodici anni, e Domus per sei. Una vera fucina di temi, argomenti, invenzioni, ma anche di firme e nomi nuovi proposti in quelle pagine. Un piacere editoriale esercitato anche questo con il lato ludico e infantile della sua personalità dove si intravede con evidenza sin dalle copertine il lato lieto ed entusiasta del comporre e del dirigere. Un elemento che pure non bisogna dimenticare dell’essere in mezzo al mondo di Lupi, è stata la sua concezione della vocazione democratica del design, che ha significato l’idea di rendere comprensibile la comunicazione senza mai semplificare o ridurre i cosiddetti contenuti dei messaggi veicolati da manifesti, marchi o pubblicazioni. L’idea, anche questa calviniana, di ipotizzare sempre un lettore-osservatore che ne sa più di lui, che significa lavorare per il futuro, per un pubblico ideale che si costruisce giorno per giorno con le proprie scelte e decisioni di lavoro. Democrazia del saper vedere, del guardare, del leggere e del comprendere. Un elemento che viene dritto dai suoi maestri che sono stati tutti legati all’idea di un progresso democratico, che fa leva nella comunicazione e nell’arte stessa su un fruitore che è responsabilmente coinvolto nel processo culturale e artistico, che mira non solo a rendere il mondo più bello ma nel contempo anche migliore grazie proprio a quella cosa che si chiama progetto, il cui etimo contiene l’idea di “gettare avanti”.
Quel meraviglioso album di figurine che è Autobiografia grafica non è solo il catalogo di quello che Lupi ha fatto, o di quello che avrebbe voluto fare, ma anche una dichiarazione di poetica mediante il doppio pedale della nostalgia, come sguardo verso il proprio passato, da cui non perdere mai contatto salvo isterilire le proprie fonti immaginative, e nel contempo dell’aspirazione a una eleganza che non sia mai fissità legnosa o stile da ripetere con deliberata volontà identitaria. L’identità di Italo Lupi riposa su un insieme multiforme di ispirazioni e aspirazioni, in un gioco continuo di incontri e rinvii, perché come è capitato a quel ligure di cui condivideva il nome, ad ogni incrocio si aprono mille strade possibili e nessuno vorrebbe mai rinunciare a nulla, bensì percorrerle tutte, cosa impossibile sia in letteratura come in arte, per cui l’album in cui Lupi ha incollato le sue immagini contiene anche il campionario della molteplicità possibile che la vera arte coltiva sino all’ultimo giorno come una ulteriore possibilità, che poi non è mai l’unica.