Fabriano Fabbri: arte e stile / La carta astrale della moda
La moda è un universo di senso complesso, basato su un modello ciclico che oscilla tra espansioni e ritrazioni. Così come nell'universo comunemente inteso, la moda ingloba diverse materie, energie e corpi che percorrono traiettorie differenti, anche se vicine nello spazio e nel tempo.
In La moda contemporanea II. Arte e stile dagli anni Sessanta alle ultime tendenze (Einaudi 2021), Fabriano Fabbri sostanzia questa metafora cosmologica asservendola a un metodo di analisi strutturato sullo “strumento della generazione” ideato dal suo maestro Renato Barilli (cfr. Intervista a D.it - la Repubblica).
Per srotolare, spiegare, il tutt’uno della moda contemporanea ‒ attorcigliatasi su sé stessa nel corso dei decenni ‒ Fabbri propone una classificazione kepleriana degli stilisti a partire dalla decade di nascita. L’essere “nati attorno al” equivale al tipo di orbita adottata nel percorso creativo e artistico, vicina al nucleo valoriale e identificativo della generazione (perielio) o distante in termini di “orientamenti espressivi” e “poetiche” caratterizzanti (afelio). Tale prossemica orbitale sembra influire anche sulla velocità delle traiettorie creative: di evoluzione più rapida al perielio e più lenta all'afelio, dove sembrano meno soggette all’influenza sistemica di cultura e società. Sembrano perché nessuno è mai impermeabile allo Zeitgeist, motivo che spinge Fabbri a tracciare una carta astrale dove riporta la com-posizione di invarianti e varianti artistiche ricondotte al tempo di nascita degli stilisti, determinando origine e confini della loro creatività. La temporalità descritta da Fabbri è duplice, perché non solo descrive il ground comune delle generazioni, ma riporta anche le influenze del tempo individuale, quell'insieme di eventi che influenzano la specificità stilistica, varianze ricondotte a peculiari modi di esistenza come i cadaveri lavati per sbarcare il lunario dal coreografo e stilista Rudi Gernreich, o la vita parallela di ostacolista e velocista di Ottavio Missoni, intessuta su indumenti e accessori.
Fabbri vuole far sì che lettrici e lettori possano essere in grado di riconoscere la moda “originaria”, non originale, perché quest’ultima è una questione soggettiva, di altra pertinenza, non del ricercatore. Il processo di cristalizzazione di stereotipi e cliché ha ormai desemantizzato l’accezione di originalità di stili e tendenze. Non a caso Gilles Deleuze, come ricorda Fabbri, sottolinea la natura trasgressiva della ripetizione: rifare la stessa cosa non vuol dire riprodurre fedelmente, o copiare, ma aggiungere quella deviazione dalla norma, pure impercettibile, che infrange lo status quo iniziale. Allora, secondo Fabbri, per operare una classificazione più economica della moda e ovviare al cortocircuito del polistilismo, diventa necessario sistematizzare la competenza collettiva relativa alle forme di capi e silhouette ‒ una sorta di langue saussuriana ‒ realizzata individualmente da ogni creativo come atto di parole. Lo stesso Roland Barthes aveva usato tale dicotomia per descrivere il sistema moda in termini di costume e abbigliamento, ma Fabbri ingloba in tale prospettiva ciò che il semiologo francese aveva classificato in varianti, come il volume e l’aderenza al corpo.
Il modo di procedere di Fabbri dipana vari ordini di matasse riguardanti l’origine delle tendenze che vengono illustrate con una scrittura avviluppante il cui ritmo cambia in base ai movimenti tessutali caratteristici della stilista o dello stilista al centro della trattazione. Fabbri ora ammanta dolcemente il lettore con seta delicata, ora lo catapulta all'apice del climax creativo facendolo rimbalzare da una nube plastica all'altra, inebriandolo di cromie e pittoricismi. Il libro è costellato di sinestesie, che, in mancanza dell’indumento reale, innescano un’illusione referenziale facendo sentire gli oggetti raccontati e la loro relazione con il corpo. Fabbri riesce nel suo intento mediante una concezione sistemica della moda, interconnessa ad altri ambiti della conoscenza come filosofia e musica, tanto che, oltre alla lettura “canonica” propone altri due percorsi, distinguibili in base al linguaggio adoperato: visivo (fotografie e bozzetti) e musicale. Si può scegliere di leggere il libro, guardare le immagini oppure di fare un'esperienza immersiva dei decenni narrati ascoltando la playlist dei brani citati (sarebbe bello trovarla su Spotify). La ricchezza intertestuale e sincretica esprime una contemporaneità regolata dal fenomeno di entaglement, cioè la correlazione tra elementi e accadimenti di sistemi diversi, anche a enorme distanza, come dimostrano le ceneri degli incendi australiani divampati tra il 2019 e il 2020, che hanno dato vita al fitoplancton nell’Antartico (vedi qui). Una posizione organicista che rafforza lo statuto della moda come ambito di ricerca teorico da considerare “nel quadro di una vita associata” direbbero Algirdas Greimas e Jacques Fontanille.
Letteratura, filosofia, musica e moda sono accomunati da elementi distintivi trasversali, simboli che resistono al passare degli anni, che permettono di associare uno stile, un indumento o un accessorio a una firma o a un periodo storico. Per Fabbri sono sempre gli stessi “memi” ‒ le invarianti culturali ‒ a dominare e percorrere l’asse gravitazionale generazionale su cui "la moda polarizza i suoi volti tra gli intrecci del testo e gli intrecci del tessuto" (Fabbri 2021, p. 8). Come fa notare Fabbri, texĕre, etimo di testo e tessuto, vuol dire collegare, stabilire un legame tra più parti nel cui intreccio si cela un senso. Allora un tessuto è un testo, un indumento è un testo, indossato da un soggetto che “si disfa” al suo interno e si rende leggibile, attualizzando l’immaginario di cui si fa latore. E così, sempre a decenni alterni, comparirà l’abito carne del mondo, pulsante, cannibale e baconiano, à la Balenciaga, opposto all’indumento-scrittura, tematizzato rispetto a un certo repertorio figurativo, quello di Karl Lagerfeld e Valentino. A tutta la loro generazione Fabbri estende la categoria estetica “Grande Bellezza”, coniata ispirandosi alle atmosfere rarefatte del film di Paolo Sorrentino (2013), dove la citazione degli stilemi del passato, a mo’ di colonna vertebrale, garantisce la coerenza discorsiva e assume funzioni poetiche ed espressive, ispirando interpretazioni, associazioni emotive oltre che testuali. Quindi, a seconda del decennio pari o dispari, da un lato si avrà la propensione a eccedere, dall’altra a riossigenare la tradizione, con le dovute eccezioni che confermano la regola.
Il ragionamento per scansioni anagrafiche di Fabbri si fonda sulle due visioni di classico e del barocco sistematizzate dallo storico dell’arte Heinrich Wölfflin. Per visioni intendo, seguendo l’approccio di Jean-Marie Floch, vere semiotiche, identità visive dotate di piano dell’espressione e piano del contenuto. La visione classica predilige linearità, staticità, armonia, mentre la barocca vuole un predominio delle masse, intrecciate, diffuse, dinamiche. Per mettere alla prova tale classificazione procedo testandola sul dialogo (im)possibile tra Cristóbal Balenciaga e l’ultimo direttore creativo della maison Demna Gvasalia. Si può di certo affermare che Balenciaga ha prediletto una visione barocca, interpretata al meglio da Gvasalia, che ha saputo declinare il nero assoluto e l’iletismo del là e allora del sarto di Getaria nel qui e ora dell’haute couture streetwear. Gvasalia individua l’oversize come il suo “territorio” perché prima appreso da Martin Margiela, e poi diventato la tattica fondamentale della sua strategia di straniamento permanente, attuata da Vetements e Balenciaga dove approda per affinità memetica. Balenciaga e Gvasalia usano la materia amorfa per rappresentare il caos primigenio, per rendere la silhouette organica e perturbante, un corpo ulteriore che eccede la realtà e si dirige danzando verso la consunzione in quanto deperibile e soggetto ai capricci del tempo.
La carta astrale dell’universo moda tratteggiata da Fabbri serve proprio a individuare i memi culturali disseminati dalla comunità di creative director, andando oltre le “espressioni merletto” dei corpi alla moda, ragion per cui si consiglia la lettura congiunta con il volume del 2019 I. Arte e stile da Worth agli anni Cinquanta per avere una visione d’insieme. “Espressione merletto” è un’altra fortunata locuzione usata da Fabbri con lo scopo di descrivere le pose statiche e sdilinquite susseguitesi nel discorso di moda, oggi diffuse nel dinamismo forzato delle storie di Instagram da milioni di visualizzazioni. L’espressione merletto equivale a un pattern comportamentale, un modo di essere riconoscibile, ricorrente e rassicurante quanto l’accosciarsi davanti a uno specchio dei corpi modello dei social media.
Di conseguenza, tornando all’orbita Balenciaga-Gvasalia, finalmente si potranno comprendere i memi culturali e del Web (di cui Gvasalia è habitué) andando oltre il sembrare allestito dal marketing, per giungere all’essenza dell’indumento. Il Balenciaga della contemporaneità non si adatta alla musa transeunte Kim Kardashian, ma le fabbrica una personalità come ha fatto Givenchy con Audrey Hepburn, anche se il modo di essere dell’attrice di Sabrina ha finito per fagocitare l’identità d’immagine della maison, come evidenziato da Alexander McQueen in veste di direttore creativo. Allora non è importante che Kardashian vada al MET Gala 2021 vestita come uno dei dissennatori di Harry Potter, bensì quanto in quell’ensemble Balenciaga sopravvivano i tratti distintivi di uno stile e il loro grado di riscrittura.
Si tratta del continuo dialogo tra centro e periferia della semiosfera descritto da Jurij Lotman, per cui l’evoluzione del nucleo identitario (Cristóbal Balenciaga) coincide con l’innovazione che arriva dall’esterno (Demna Gvasalia). Kardashian allora possiamo guardarla come un corpo stagionale, che realizza l’orbita Balenciaga-Gvasalia facendosi puro iletismo. Certo, mi si potrà obiettare che Balenciaga non avrebbe mai confezionato passamontagna o balaclava, ma nel corso degli anni la metafora organicista può espandersi talmente da invadere tutta la superficie disponibile del corpo. L’eccesso di volume raggiunge il culmine del suo continuum trasformandosi in totale aderenza al corpo perché va oltre i comuni limiti dell’indumento ‒ polsi, collo, caviglie ‒ per diventare un unico organismo vivente, un tutt’uno avvolto su sé stesso, un universo.
La messa in discorso degli elementi distintivi di Balenciaga si intreccia con il tema del MET Gala “In America: A Lexicon of Fashion”, rappresentato da Gvasalia topicalizzando due pilastri della moda americana: la t-shirt e il divismo, magnificato dall’annullamento dei tratti caratterizzanti del volto, estremizzazione in pectore del mascheramento pandemico. Oltre a Kardashian, al MET Gala in Balenciaga c’era la cantante Rihanna che, invece, ha interpretato il corpo modello della maison grazie a una perfetta riscrittura di un capospalla del 1967, il cui bozzetto originale è riportato anche nel volume di Fabbri. I due corpi mediali dimostrano che si può portare avanti l’eredità stilistica riattualizzandola ‒ Rihanna ‒ oppure con una risemantizzazione estrema, che traccia una spaziatura e una differenza con il passato, che va nella direzione del cosa sarebbe accaduto se Balenciaga avesse vissuto nel presente.
L’esempio dei due outfit del MET Gala serve come esercizio di metodo, per provare che la moda contemporanea non emerge dallo scrolling di un feed, ma si deposita nella memoria collettiva comunicando un dato valore semantico proporzionale alla cultura e al punto di vista da cui si osserva il total look. Questa visione d’insieme, tout court, è prerogativa anche dell’ambizione semiotica, ovvero del suo essere in grado di spiegare non un singolo fenomeno, ma tutto il suo sistema. La moda si poggia su una “grammatica solida”, nonostante la presenza di alcuni codici deboli, che non servono a identificarla in quanto si modificano e scompaiono velocemente, evanescenti quanto le storie di Instagram. L’abbigliamento è un linguaggio che, parimenti a quello verbale, trasmette dei significati mediante dei significanti, i quali servono anche a veicolare ideologie e sistemi di valori. Ideologie e valori, come del resto i simboli, fluttuano in relazione al contesto in cui sono inglobati, tanto che lo stesso Umberto Eco in “L’abito parla il monaco” del 1972 esorta ad analizzare i codici vestimentari deboli nel momento della loro manifestazione, durante il loro discorso: la società parla anche attraverso l’indumento, bisogna solo saperla ascoltare.
Ecco che allora Kim Kardashian non si diffonde un meme ironico, ma anche culturale perché incarna lo stile Balenciaga-Gvasalia e la forma di vita che rispecchia la loro concezione della moda.
Riprendendo ancora Lotman, la moda, in quanto forma di creatività deve essere capace di far sentire, di movere e delectare, di tradurre tempi, mondi e galassie.
Ed è qui che Balenciaga entra a far parte di un sistema più complesso che va oltre la moda e tocca l’industria musicale tramite la sinergia finalizzata al lancio del recentissimo album del rapper Kanye West (ex marito di Kardashian), doppelgänger vestimentario di Gvasalia, con cui condivide balaclava di ordinanza e corporatura. Difatti, durante la sfilata-red carpet di Balenciaga del 2 ottobre 2021, si pensava fosse West e non Gvasalia a calcare il tappeto rosso-passerella, luogo topico dell’istituzionalizzazione del peso della celebrità nel sistema della moda. È sul tappeto rosso che la moda si mediatizza, diventa testo da consumare. Gvasalia, conscio di tale stratagemma narrativo, spinge ancora più l’acceleratore e si fonde con uno degli universi di senso più longevi al mondo: i Simpsons. Tutti gli abitanti di Springfield, per sopperire alla negligenza maritale di Homer vengono invitati a sfilare per Balenciaga al cospetto dei corpi modello Kim Kardashian e Kanye West, sotto l’egida legiferante di Anna Wintour.
L’americanità del Met Gala ritorna, questa volta sul corpo – finzionale – dell’americano medio, disinteressato alla fascinazione couture, ma ben contento di mostrarsi al mondo intero. I Simpsons indossano Balenciaga o è Balenciaga a diventare Simpson? La creolizzazione dei linguaggi si perfeziona sul piano interculturale: Europa, Usa e ex Unione Sovietica trovano finalmente un punto d’incontro nella moda e nel modo di essere.
La moda contemporanea sta tutta qui, nel dialogo con l’alterità, nell’incontro tra universi paralleli che generano inesauribili flussi di energia creativa.