La cultura per una crescita sostenibile e solidale

19 Giugno 2013

La cultura è al centro della sfera economica e politica del progetto europeo. Da un lato, la cultura produce ricchezza, con un contributo di oltre il 3% al PIL europeo e la creazione di circa sei milioni di posti di lavoro (KEA 2006). Dall’altro, la cultura è anche fonte di creatività e innovazione, che favorisce il dialogo e la coesione sociale, nonché la trasmissione di valori di interesse comune.
 
Oggi più che mai, la rinascita dell’Europa passa dalla cultura. È senz’altro necessario ridare nuovo slancio all’economia, ma lo sviluppo senza coesione sociale rischia di essere fallimentare nel lungo periodo. Solo la cultura può aiutare i cittadini europei a riguadagnare fiducia nell’UE e a ricostruire un senso di appartenenza fondato su valori comuni.
 
L’attuale revisione dei programmi europei in vista del nuovo periodo di programmazione 2014-2020 offre l’opportunità di riflettere a nuove opportunità di finanziamento per la cultura, quale risorsa in grado di mantenere in vita il progetto Europa. Al di là dei programmi interamente dedicati alla cultura (Cultura e MEDIA, adesso aggregati sotto un unico programma, Europa Creativa), esistono infatti altre fonti di supporto, in particolare i fondi della Politica di Coesione, che contano su un budget complessivo di 347 miliardi contro l’1.1 miliardi di euro dei noti programmi Cultura e MEDIA (per l’audiovisivo) per il periodo di programmazione 2007-2013. Nonostante la c.d. “Politica di Coesione” risulti sconosciuta ai più, in realtà il concetto diventa immediatamente familiare se ci si riferisce ai fondi FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) ed FSE (Fondo Sociale Europeo). Questi due fondi altro non sono se non i principali strumenti di finanziamento della politica di coesione economica e sociale dell’UE, nata per promuovere uno sviluppo equilibrato, armonioso e sostenibile della Comunità, riducendo le disuguaglianze tra le diverse regioni europee e rendendole luoghi più attraenti, innovativi e competitivi dove vivere e lavorare.

 



Oltre sei miliardi di euro di Fondi Strutturali sono stati allocati a progetti culturali nel periodo 2007-2013. Diversi casi studio dimostrano l’efficacia di tale spesa in termini di conservazione del patrimonio locale, ma anche di sviluppo dell’economia e miglioramento della coesione sociale o dell’immagine di città e regioni.

L’Europa si accinge ad approvare la Politica di Coesione 2014-2020 (entro la fine dell’anno), con un budget possibilmente più elevato, pari a 376 miliardi di euro(1). Tuttavia, sembra che la nuova Politica non faccia sufficientemente tesoro delle buone pratiche di questi anni e che cultura abbia un posto piuttosto marginale rispetto al periodo di programmazione ormai in fase di chiusura.

Nel periodo 2007-2013, 347 miliardi di euro sono stati in totale allocati agli Stati Membri al fine di raggiungere gli obiettivi della Politica di Coesione. Il budget include i 70 miliardi di euro del Fondo di Coesione e i 277 miliardi di euro dei Fondi Strutturali (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale – FESR e Fondo Sociale Europeo – FSE). Un recente studio commissione nato dalla Commissione Europea (CSES 2010) fornisce un’analisi dell’impatto dei FS sulla cultura dal 2000 al 2013 e stima che, in totale, circa sei miliardi di euro (dei 347 totali) sono stati allocati a interventi di natura culturale, ossia circa l’1.7% del budget totale. Nonostante si tratti di una somma non indifferente, la quota di FS destinata a progetti culturali resta comunque inferiore al contributo della cultura all’economia europea (circa il 3% del PIL europeo e 6 milioni di posti di lavoro) e dunque ben al di sotto del potenziale contributo che la cultura apporterebbe all raggiungimento degli obeittivi della Politica di Coesione.
 
Dei sei miliardi di euro tre sono stati allocati alla protezione e conservazione del patrimonio culturale, poco più di due allo sviluppo di infrastrutture culturali, e 775 al supporto di servizi culturali (EC 2007). Tuttavia, i progetti sulle ICC, per esempio, sono stati finanziati sotto altri “capitoli di spesa” come innovazione, società dell’informazione o sviluppo di competenze. La percentuale dell’1.7% come quota dei FS investita in cultura rimane dunque certamente una sottostima(2).

Manca, tuttavia, un riferimento più ampio alla cultura, che prenda per esempio in considerazione la sua capacità di stimolare nuove forme di innovazione (non tecnologica) nonché la coesione sociale, la rigenerazione urbana, l’attrattività dei territori o, ancora, un’economia verde, nel rispetto dell’ambiente.

Questa “mancanza”, però, non ha frenato città, regioni e Stati membri nell’avviare progetti altamente innovativi, a favore di un concetto di cultura pienamente integrato nelle politiche di sviluppo economico e innovazione.

 


 
È il caso, per esempio, della città di Nantes Métropole, che ha investito circa 54 milioni di fondi FESR per il rinnovamento di un’interpolea area industriale della città, completamente abbandonata e ricca di edifici inutilizzati. Grazia all’azione di artisti e architetti, l’area è stata interamente ripresa e adesso accoglie l’ormai noto “Quartier de la Création”, che accoglie scuole d’arte, imprese creative e relativi servizi di accompagnamento, e spazi dedicati alla creazione artistica, mostre e spettacoli. Nantes, da città di passaggio si è trasformata in destinazione turistica, con un numero di visitatori che è passato da 140.000 nel 2006 a 220.000 nel 2011.

 

The Manny building in the Quartier de la Création

Berlino ha utilizzato in maniera consistente i fondi strutturali (circa 50 milioni di euro per investimenti direttamente legati al patrimonio culturale e 1.2 miliardi di euro in totale, per esempio per interventi destinati alle industrie culturali e creative – ICC(4) ) per finanziare diverse azioni a sostengo della cultura e della creatività. Ciò che contraddistingue Berlino è la volontà di fare della cultura elemento di differenziazione della propria strategia di sviluppo economico Berlino “Zukunft”, i cui assi strategici sono appunto le ICC e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). La Banca di Investimento di Berlino ha inoltre creato un Fondo di Investimento per le ICC, finanziato al 50% fa fondi FESR.

 


 
Esempi interessanti sono presenti anche in piccole città come Arnhem, piccola cittadina dell’Olanda di circa 150.000 abitanti. Arnhem ha rinnovato un piccolo quartiere periferico, oggi diventato vero e proprio “fashion quarter”. Il quartiere accoglie un incubatore di imprese creative che lavora a stretto contatto con l’università locale di fashion design al fine di attirare ma soprattutto i trattenere i giovani talenti che arrivano grazie a un’offerta di formazione in fashion design di alta qualità. Il quartiere oggi ospita boutiques ma anche bar e ristoranti che ne hanno “redinamizzato” la vita economia e sociale.

Nonostante la cultura abbia beneficiato in maniera considerevole dei Fondi Strutturali, i sei miliardi di euro restano pur sempre una modesta cifra rispetto al budget totale della Politica di Coesione.
 
A livello europeo, il modo in cui la “cultura” viene inserita nella Politica di Coesione ha un impatto diretto sul budget allocato ai vari progetti a livello nazionale e regionale. Per molte delle persone consultate, è necessario che la cultura venga inserita nei regolamenti in maniera chiara e nella sua più ampia accezione in modo da incoraggiare Stati membri e regioni (che dovranno poi preparare rispettivamente dei “programmi attuativi”) ad allocare un budget sufficiente a sfruttare appieno il potenziale economico e sociale della cultura.
 
La cultura deve dunque diventare parte integrante delle strategie di sviluppo intelligente, sostenibile e inclusivo, in quanto in grado di contribuire a nuove professionalità e nuove forme di impresa (si veda Kunstgreb), immagine e attratività dei territori (Nantes), crescita nel rispetto dell’ambiente e a favore dell’integrazione sociale (Arnhem e la ripresa di un quartiere periferico grazie all’avvio di attività economiche che attraggono professionisti e acquirenti finali di prodotti di moda).
 
Se l’Europa non ha saputo pienamente integrare il potenziale della cultura nella nuova Politica di Coesione, la partita resta ancora aperta a livello nazionale e regionale, almeno fino alla fine dell’anno. Stati Membri e regioni possono infatti meglio integrare la culturale nei programmi nazionali e regionali indicando chiaramente le azioni finanziabili in ambito culturale sotto le diverse priorità tematiche o nell’ambito della Strategia di Specializzazione Intelligente regionale. Perché questo accada pero, è necessario che assessorati e ministeri competenti si mobilitino e influenzino il negoziato Stato-UE, per la più parte gestito dai ministeri e assessorati economici. La partita non é ancora persa, ma resta ancora ancora poco tempo per giocare.

 

Questo articolo è stato pubblicato in forma estesa su Tafter Journal

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