"Tentate di spiegare il nome mela" / La mela: discordia, d'oro e d'amore
La mela, a modo suo, è cosa. È piccola (sta nel palmo di una mano), è rossa (non sempre, d'accordo), è profumata, è dolce. Sembra semplice da ritrarre, la mela, da parte del pittore della realtà, ma non è così, come ben spiega Jacques Prévert in un piccolo squisito poema del 1949 dal titolo Promenade de Picasso:
Su di un piatto ben rotondo di reale porcellana
posa una mela;
faccia a faccia si trova
un pittore della realtà
che prova, vanamente, a dipingere
la mela tale quale è
ma
mica si lascia fare, lei...
Sur une assiette bien ronde en porcelaine réelle
une pomme pose.
Face à face avec elle
un peintre de la réalité
essaie vainement de peindre
la pomme telle qu'elle est
mais
elle ne se laisse pas faire...
E no che la mela non se la lascia fare, la mela sul cui tema Prévert prosegue esibendosi in variazioni virtuosistiche cui partecipano Adamo, Eva e il serpente, Ercole, Wilhelm Tell e Isaac Newton; così il pittore comincia a capire che tutte le apparenze della mela sono contro di lui, e non sapendo più che fare per ritrarla tale e quale è, prende sonno. Passa di lì Picasso, che vede la mela e il piatto e il pittore addormentato:
“Che idea, di dipingere una mela!"
disse Picasso
e Picasso mangia la mela
e la mela dice: "Grazie!"
E Picasso rompe il piatto
e se ne va sorridendo
e il pittore, strappato ai suoi sogni
come un dente,
si ritrova tutto solo davanti alla sua tavola incompiuta
con, sputati tra le sue stoviglie rotte,
i terrificanti semi della realtà.
Quelle idée de peindre une pomme
dit Picasso
et Picasso mange la pomme
et la pomme lui dit Merci
et Picasso casse l'assiette
et s'en va en souriant
et le peintre arraché à ses songes
comme une dent
se retrouve tout seul devant sa toile inachevée
avec au beau milieu de sa vaisselle brisée
les terrifiants pépins de la réalité.
Altro che la realtà che torna pacificata a ricevere il cordiale benvenuto degli ingenui filosofi che pensano di poterla domare, ritraendola come realmente è, col loro realismo vecchio e nuovo! Quei terrificanti semini sono lì, a fianco dei cocci del piatto in frantumi, a presentarcene le sue molteplici sfaccettature e interpretazioni.
Ma non è soltanto il pittore della realtà di Prévert ad affannarsi intorno alla mela da dipingere come essa è, nella sua realtà e verità: «Tentate di spiegare il nome mela» (Wagt zu sagen, was ihr Apfel nennt), propone provocatoriamente Rainer Maria Rilke in uno dei suoi Sonetti a Orfeo (1, XIII), «non vi si sfanno, piano, i nomi sul palato?» (Wird euch langsam namenlos im Munde?).
Il fatto è che la mela è sì cosa, piccola, rossa, sugosa e gustosa, la mela è:
quella dolcezza che diventa densa
rinfrancandosi lieve nel sapore
per farsi chiara, vigile, vetrosa...
Diese Süße, die sich erst verdichtet,
um, im Schmecken leise aufgerichtet,
klar zu werden, wach und transparent...
ma è anche molte altre cose. La mela ha sempre colpito l'immaginazione dei nostri antenati: la forma rotonda evoca la testa, il colore rosso del frutto i «pomelli» delle guance cantati dal lirico greco Anacreonte.
Lanciare la mela all'amata o all'amato, nella Grecia antica, è una dichiarazione d'amore: pensiamo alle mele, colte nel giardino delle Esperidi, che Melanione lanciava ai piedi di Atalanta durante la sua corsa, mele che la ninfa cacciatrice si chinò a raccogliere perdendo così la gara; pensiamo al pomo della discordia, ovvero la mela lanciata da Eris (il cui nome significa discordia), sul tavolo del banchetto delle nozze tra Peleo e Teti, sulla quale era incisa la scritta «alla più bella»: chi la più bella, tra Era, Afrodite, Atena? O alla mela che il pastore Paride, il più bello dei mortali, chiamato a dirimere la contesa accesa da Eris, diede alla più bella delle dee, Afrodite, in cambio dell'amore della donna più bella del mondo, Elena, fatto che scatenò la terribile guerra di Troia.
E concludiamo con due eroi delle mele, Ercole e Guglielmo Tell (ma ce ne sono altri, non ultimi Newton e Steve Jobs). Una delle dodici fatiche di Ercole, la penultima, consistette nell'impadronirsi, per incarico di Euristeo, delle mele d'oro delle già citate Esperidi, le figlie di Atlante che vivevano nell'estremo occidente. Per permettere ad Atlante di recarsi senza sollevare sospetti nel meleto a raccogliere per lui i pomi d'oro, Ercole sostenne il cielo sulle spalle al suo posto. Atlante gli avrebbe anche lasciato volentieri l'incombenza in toto e in effetti stava per svignarsela all'inglese quando l'eroe, acuto anche d'ingegno, fece in modo che Atlante si rimettesse sulle spalle l'oneroso fardello, che da allora sempre sorregge. A Guglielmo Tell invece toccò di infilzare la mela con una freccia, proprio come la saetta di Cupido, nel gioco d'amore, trafigge il cuore della persona amata; e poi di penetrare col dardo di morte il cuore del tiranno, nella tragedia politica. La freccia della balestra era acuta come il suo ingegno, aguzzo come quello di Ercole; come la sua lingua tagliente, affilata e beffarda che fece sì che alla domanda del tiranno, a chi fosse destinata la seconda freccia, quella che aveva fatto scivolare sotto il gilé, Tell rispose che la seconda freccia sarebbe stata per lui, se avesse fallito il colpo.
Proprio la contiguità della mela e della testa sta alla base del dramma di Guglielmo Tell: la testa, prefigurata dal cappello del tiranno Gessler posto sul palo, al quale tutti dovevano dimostrare rispetto, diventa la mela/bersaglio sulla testa del figlio.
Non soltanto la testa umana richiama la forma rotonda e il colore rosso della mela, ma anche il cuore: lo si vede per esempio nell'incrocio tra le raffigurazioni classiche di Eros con arco e frecce pronte a mirare al cuore, e il Cantico dei Cantici, dove Salomone dice all'amata: «Hai ferito il mio cuore» (Vulnerasti cor meum). Mela trafitta dalla freccia sulla testa del piccolo Tell, cuore trafitto dalla freccia nella ferita d'amore della letteratura amorosa e mistica.
Adattamento da Francesca Rigotti, Le piccole cose crescono, in Nuova filosofia delle piccole cose, Novara, Interlinea, 2013. Si ringrazia l'editore.