Le donne di Vasco

25 Gennaio 2012

Si preannuncia un tutto esaurito a Zocca per la festa di compleanno di Vasco Rossi. Il 2011 è stato un anno intenso per il rocker: canzoni, malanni fisici, polemiche sul web, un’autobiografia. E soprattutto l’annuncio dell’abbandono dei concerti negli stadi che, secondo i media, ha gettato nel panico i fans. In effetti si può scindere il Vasco dalla rockstar? Per lo meno nella prima fase della carriera ne ha incarnato il vitalismo, l’esistenzialità dolente, l’autocombustione. Tuttavia, scorrendo l’ormai vasto repertorio del nostro alla ricerca dell’elemento decisivo che spieghi l’attaccamento transgenerazionale, si nota qualcosa di evidente ma forse un po’ snobbato: sono in gran parte canzoni d’amore. Dunque che modello di donna propone al pubblico femminile e maschile questa fitta galleria?

 

“È uscita col negro la troia”, cantava Vasco con doppia, formidabile scorrettezza nell’80, aggiungendo, con vocina imitante, che proprio lei, poco prima, gli aveva chiesto: “mi puoi portare a casa questa sera, abito fuori Modena” (Colpa di Alfredo). E lui, ora querulo e disilluso, c’era cascato come un pescione, mentre la fredda stronza manipolatrice (Žižek) pensava ai soldi e al macchinone del rivale. Si profila dunque, quale prima categoria, la siluetta di una dark lady basso padana, egocentrica e materialistica, un po’ Barbara Stanwyck un po’ Kathleen Turner. Siamo di fronte alla Strega (“quella che ai giudizi degli altri non fa neanche una piega”) che, governando dall’alto un festevole gruppo di giovani emancipate, soppesa i ganzi e si accaparra con cupidigia il migliore stallone (“quello è il maschio più bello non toccatemi quello”). Una terza versione del modello è “la bambina prepotente”, che già dominava il narratore nel 1981 e si è aggiornata nella Lolita catodica di Delusa, esposta agli occhi sbarrati dello spettatore e pure inafferrabile come ben descritto in quegli stessi anni da Aldo Nove. Qui Vasco fa centro rappresentando un esemplare di velina o puttanella arcoriana, poi assurta all’Olimpo politico, culturale, mediatico, caratterizzata dalla “grazia torbida, il fascino elusivo, mutevole, sfuggitore e misterioso” (Nabokov); insomma una parafrasi della merce.

 

Alle pulsioni imitative e distruttive del suo pubblico Vasco propone però anche l’antichissimo polo opposto: la promessa di salvezza. L’adolescente “chiara come un’alba, fresca come l’aria”, perfettamente conchiusa nell’espressione assorta e nella sua cameretta mentale; oppure Toffee, che nella luce mattinale e tra gli aromi del caffè già preparato, apparecchia un rilassato futuro da pascià al narratore, che la gratifica con un “saresti proprio una brava moglie”.

 

C’è un dato temporale a distinguere le tipologie. Di fronte a donne forti, ciniche e bugiarde (“diresti anche che mi vuoi bene anche se non me ne vuoi più”) prevale l’amarezza, l’invettiva del passato o la dipendenza d’un presente malamente strascinato (“telefonami!”). Il secondo modello si proietta nel futuro con sfumature da sogno, mentre è con il terzo (Ti prendo e ti porto via) che entriamo nell’attimo bruciante della mitologia rock: “dài che prendiamo il volo, che viviamo in un attimo solo” (Dimentichiamoci questa città). Qui le posizioni sono simmetriche rispetto alla categoria uno: la donna s’infantilizza, l’uomo s’ingigantisce: “quello che tu cerchi è già qui, è davanti a te, non lo vedi che sono il tuo destino/ sono ogni tuo perché” (Qui si fa la storia). La soluzione è un’auto, una moto, una highway, una fuga a due dal mondo regolare (“Chi può aspettare aspetterà, noi scappiamo fuori di qui”).

 

 

Se erano le arti seduttive della catwoman a soggiogare l’io cantante (“sei riuscita a farmi cadere/ con la tua logica di calze nere” Brava), ora il sesso è la carta giocata dal rocker-pigmalione: “con le mie mani tra le gambe/ diventerai più grande/ e non ci sarà più Dio/ perché ci sono io!” (Gabri); “E ti farò far l’amore sai/ come nessuno te l’ha fatto mai/ e resterò dentro di te/ fino a quando vorrai piangere” (Sei pazza di me). Si assicura spavaldamente un’esperienza ineffabile, trascendente, addirittura trasformativa: “Prova a star con me stasera/ E quando te ne andrai/ t’accorgerai che domani/ non sarà più/ la stessa cosa” (Stasera).

 

Fuori da questi tre redditizi e ben modulati filoni stereotipi pullulano una serie d’altri motivi rivolti a un tu anonimo e come vuoto. Petrarchescamente Vasco convoglia cioè in un codice d’amore già dato tutte le proprie reazioni esistenziali. Possono esserci la loda o la solidarietà (“La vita non è facile/ ma a volte basta un complice/ e tutto è già più semplice” Brava Giulia), ma più spesso il rapporto è contrastato. Lei talvolta si adagia nella finzione, nel quietismo ipocrita, mentre il rocker è più inquieto (“Questo è un amore grande sì/ vuoi che ti dica così/ ma io non sono come te” Ciao; “Non mi va/ che stai sempre bene/ che fai finta di godere” Non mi va). In altri casi lei appare più vitale, spensierata e positiva, laddove il navigato rocker la sa più lunga ma si mostra disposto con un po’ d’ironia a farsi smuovere (“Tu sei così sicura/ di tutto intorno a te/ che sembra quasi un’onda/ che si trascina me” Ridere di te). Il legame per solito traballa sul tango della gelosia o sull’infedeltà femminile preventiva (“io avevo messo tutto sì/ dentro questo patto/ ma tu avevi tenuto fuori/ una parte segreta di te” Diluvio universale; “anzi sono sicuro mi tradirai/ hai già deciso si fa così” Cosa importa a me), lasciando il protagonista al dopo del rimpianto e della scrittura della canzone.

 

Tra questa selva di testi rock, dove Vasco si muove quale incontrastato signore delle rime tronche, spiccano alcune canzoni agganciate a un nome, un poco più distese; vanno da Jenny è pazza (1978) a Sally (1995) nelle quali l’autore sembra mettersi nella pelle di donne meno schematiche e cinematografiche, meno facilmente polarizzate o ridotte a contenitori. E dunque chi sa che, sanamente scambiando per raggiunti limiti d’età lo stadio con palchi meno clamorosi, non ci possa essere un’accentuazione dell’approfondimento cantautorale. Ovvero che, dismessi gli occhiali neri della star, le donne del Vasco non coincidano più con le donne del rock.

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