Le sette lune di Maali Almeida
Le sette lune di Maali Almeida di Shehan Karunatilaka (Fazi, traduzione di Silvia Castoldi) sta avendo una notorietà internazionale grazie al Booker Prize 2022, il più importante premio britannico che lo ha segnalato alla comunità letteraria. È la storia raccontata da un uomo defunto, un fotografo, gay clandestino che si trova, nell'aldilà, a chiedere conto all'autorità burocratica – che lo accoglie in una specie di "ufficio visti" celestiale – della sua morte: non ha idea di chi lo abbia ucciso e poter guardare in una sorta di flashback i sicari che lo hanno massacrato facendolo a pezzi con una mannaia e scaricandolo in un lago a imputridire non lo aiuta a chiarire il perché. Siamo nello Sri Lanka, ex Ceylon, l'isola al largo della costa meridionale del subcontinente indiano, detta "la lacrima dell'India".
La storia è raccontata a cavallo degli anni del conflitto tra la maggioranza singalese e la minoranza immigrata dall'India di etnia tamil che, dal '90 al 2000, provocò migliaia di morti. Il separatismo tamil resiste ancora oggi, in forme terroristiche, nonostante la convivenza con i singalesi, pacificata per forza da catastrofi naturali (il violento maremoto che venti anni fa devastò il paese) che hanno reso prioritaria la solidarietà e dato il via a un nuovo ordinamento politico. Un cambio che ha attenuato il clima di guerra civile ma non è riuscito tuttavia, nel tempo, a dominare la crisi economica e sociale: recentemente, nel 2022, la popolazione della città di Colombo ha preso d'assalto il palazzo presidenziale, costringendo alla fuga le massime cariche dello stato, e provocando l'elezione di un nuovo presidente. Perché sono utili queste informazioni nella lettura di Le sette lune di Maali Almeida?
Da qualche anno a questa parte i principali premi letterari anglofoni (il Booker Prize ma anche lo statunitense National Book Award) tengono viva l'attenzione verso scrittori outsider, segnalando testi militanti, oscurando per un momento l'euro-americanismo per illuminare le letterature dei paesi cosiddetti "minori". Shehan Karunatilaka è al secondo romanzo e si deve probabilmente alle sue origini la ragione per la quale i giurati lo hanno preferito alla favorita Elizabeth Strout. Le sette lune di Maali Almeida ha una struttura complessa. Anche nell’aldilà, luogo dell'azione, il tempo per Maali scorre veloce: ha a disposizione sette lune – sette notti – per provare a contattare l’uomo e la donna che più ama, metterli a parte di un segreto e condurli alla sua scatola nascosta di fotografie, una serie di immagini che potrebbero sconvolgere lo Sri Lanka.
Non è tanto la mitologia orientale che incombe sul libro, né il fatto che il lettore europeo sappia poco di questo paese e delle sue credenze, e neppure il realismo magico che molti critici hanno citato, accostando – forse avventatamente – questo libro a quelli di Garcia Marquez e Rushdie. Come accade sempre quando lo stile prende il sopravvento sul desiderio di raccontare è proprio l'accorgimento stilistico che Karunatilaka ha scelto a rendere difficoltoso "entrare nella storia" e seguirla con attenzione. Karunatilaka scrive infatti in seconda persona, una tecnica narrativa che vorrebbe coinvolgere il lettore, mentre l'io narrante resta sullo sfondo. Non si sa se siano stati i videogiochi (Karunatilaka a dire il vero non è giovanissimo, ha 48 anni, era ventenne quando la playstation fu lanciata sul mercato, nel 1994) e il mito dell'interattività, per cui, sia davanti a una consolle che davanti alle pagine di carta di un libro, il lettore – tecno o analogico che sia – è sempre chiamato ad essere protagonista; o la lettura di Italo Calvino o Jay McInerney (sono tra gli scrittori che hanno usato la seconda persona, in Se una notte d'inverno un viaggiatore e in Le mille luci di New York); forse, è più semplicemente il suo passato di "pubblicitario" a fargli scegliere questa modalità narrativa: la pubblicità, come si sa, "dà del tu".
Iniziare con "Ti svegli con la risposta alla domanda che fanno tutti" e proseguire per 459 pagine dando al lettore l'impressione di essere lui quello "la cui specialità nella vita era dare via il culo senza chiedere niente in cambio" (pagina 439), alla lunga lascia interdetti. Per non parlare dell'"essere morto" di morte violenta, non a tutti può far piacere. "Tu" ti svegli e "tu" sei morto, nel bel mezzo di un paesaggio affollato di anime. Ma il "tu" a cui lo scrittore si rivolge in quale corpo abiterebbe? Quello di un uomo o di una donna? O il lettore è asessuato per definizione? Sarà un esperimento di letteratura genderless? Domande che riguardano anche Calvino e McInerney ma che oggi assumono una pregnanza diversa, in tema di ideologia woke e data la preferenza sessuale del protagonista. Se avesse usato la prima o la terza persona noi lettori ci saremmo rilassati, leggendo e partecipando alle vicissitudini del fotografo di guerra Maali Almeida, senza avere l'impressione in ogni pagina di essere lui.
La sospensione dell'incredulità è abolita nei romanzi che usano la seconda persona: chiamato a condividere le sue esperienze fino al punto di entrare nella sua testa, il lettore e il personaggio sono una cosa sola, però per definizione, non per (eventuale) immedesimazione. Non che sia proibito usare la seconda persona, intendiamoci: ci sono esempi nobili, come accennavamo prima. Tuttavia, tenere per tutta la lunghezza della storia questo artificio, richiede una padronanza notevole dello stile: Karunatilaka ha aggirato la difficoltà cercando coerenza con i dialoghi, una serie ininterrotta di botta e risposta, che frammenta ancora di più la narrazione e impone a volte uno sforzo al lettore, allontanandone paradossalmente la complicità, quando l'intento sarebbe invece quello di trascinarlo con sé. Il romanzo è pervaso di sense of humor che riscatta la macchinosità dell'intreccio, è un apologo morale, rafforzato da prese di posizione controcorrente, sulla guerra, sull'identità di genere, sulla saggezza dell'ateismo: un po' troppe cose da sottoscrivere, se siamo noi a dover farci carico di tutte le preoccupazioni dell'autore.