Una metafora dello stato del Paese / L'Italia e quel fatto di Firenze

8 Marzo 2018

I commenti sulle elezioni confinano i fatti di Firenze nelle pagine interne, con tendenza alla minimizzazione. Eppure il destino ha servito su un piatto d’argento, a chi vuole leggerlo, il commento antropologico più chiaro allo stato del paese, di cui i risultati delle urne sono una conseguenza.
Cominciamo col conoscere Roberto Pirrone, lo sparatore. È un italiano piccolo piccolo, la cui ascendenza si può tranquillamente ascrivere al famoso personaggio di Cerami, e poi di Monicelli e Sordi. Lo chiameremmo borghese, se la lower middle class non fosse sparita con la globalizzazione. Ha una vita anonima, come ritualmente confermano i vicini dopo uno dei tanti fatti di “follia” che capitano nel paese. Non ha opinioni politiche conosciute, ma colleziona oggettistica ex-sovietica. Un uomo che, non solo per l’età (ha 65 anni), sembra essersi fissato sul passato. Il suo profilo Facebook è un mish-mash di acculturazione di massa, si passa da Buddha a Frida Kahlo alle citazioni delle canzoni pop: “La vita è un brivido che vola via…”. Pirrone una passione però ce l’ha, le armi. Non ossessiva: una cosa così, come i trenini, che spiega la presenza di una pistola e di un fucile in casa sua.


Come prevedibile, è sposato con problemi. Il matrimonio va come va, con qualche litigio che ogni tanto sentono controvoglia i vicini da dietro le pareti del condominio. Ma, soprattutto, Pirrone – come molti – ha guai di soldi. Quello che porta a casa non basta, i creditori incalzano.

 

 
Un giorno (e chissà se ha seguito le maratone elettorali della notte in tv, e se questo ha una relazione con quello che succede dopo) decide che questa normalità triste e scoraggiante non la sopporta più. Scrive un biglietto alla figlia, nel quale evita i toni drammatici che evidentemente gli sono alieni per natura: le da istruzioni su come comportarsi riguardo a carte di credito e pensione (come già il carabiniere Capasso, qualche giorno avanti, prima di ammazzare la famiglia, ha spiegato nell’ultima lettera come gestire l’eredità, compreso un assegno per l’amante).
Poi esce per strada, deciso ad ammazzarsi. Perché non decida di farlo in casa, lo si capisce poco dopo. In realtà, Pirrone non è personaggio da dramma. Come tanti, nel Paese, si sente vittima di un complotto ordito contro di lui. Forze oscure e convergenti l’hanno spinto lì. Come abbiamo detto, non sa darne una spiegazione politica o sociale. Né tantomeno personale. Ha però il senso vago che non è colpa sua. E si chiede: perché morire? Perché non ritorcere sul sistema gli effetti del mio fallimento?


Basta una passeggiata sul Lungarno e la decisione di suicidarsi si rovescia in un'altra determinazione, quasi biblica: uccidere un innocente, il primo che incontra, come capro espiatorio. Ma Pirrone è un italiano piccolo piccolo, come detto. Fa contemporaneamente un conto da ragioniere, come ammetterà poi agli inquirenti: finire in galera per non gravare sui suoi. Del suo mantenimento si occupi lo Stato. Non so se Pirrone è uno di quelli che pensano che le galere italiane sono hotel a 4 stelle, però sulla bilancia della sua decisione il piatto cade da quella parte. Una trama da commedia per uno scenario da tragedia. Forse un personaggio così lo troviamo in Pirandello…
Il racconto di Pirrone non ci risparmia una scena veltroniana. La prima persona che incontra, dice, è una mamma con bambino. Troppo anche per lui. Tira dritto, ma invece di riflettere che il destino gli ha offerto una possibilità per agire da uomo e ripensarci, precisa meglio il suo disegno. Trovare da ammazzare qualcuno che sia expendable, uno che non ti faccia avere troppi rimorsi, mentre te ne stai in galera a spese della collettività. Non ci vuole molto a trovare il bersaglio perfetto: un ambulante senegalese di 54 anni. Anche lui ha moglie e figli; anzi, “come in una sceneggiatura scritta male”, per citare Guccini, lui sta con la vedova di un altro senegalese ammazzato da un razzista qualche anno prima. Ma “tutto questo Pirrone non lo sa” (De Gregori, stavolta) – e anche se lo sapesse, cambierebbe? – e lo ammazza come previsto, non lesinando sui proiettili, che non si sa mai. I testimoni sentono prima tre colpi, poi una pausa, poi altri quattro. Pirrone è, evidentemente, un uomo metodico, che ama le cose fatte bene. Chissà se pensa anche che magari la gente si intenerisce per lui, piuttosto che per le vittime, come è successo a Macerata.
Lo fermano e lo arrestano. Racconta la sua storia, piangendo. La Questura si affretta a dire che non c’è un movente razzista, e probabilmente è vero. Poi i vari attori entrano in scena come da copione: il sindaco di Firenze invita alla calma, i senegalesi si incazzano, i centri sociali pure, la polizia interviene, ecc. ecc.. Salvini e gli altri politici non parlano perché ormai le elezioni ci sono state e il caso non serve più a nessuno.


La città è percorsa da un brivido di orrore, paura e sgomento; ma il fatto è che il giorno dopo c’è lutto cittadino per la tragica e improvvisa morte del capitano della Fiorentina Calcio, Davide Astori. Il cuore dei cittadini è lì, e lo spazio del dolore è già occupato.


Io credo che questa storia sia una metafora abbastanza precisa dello stato del Paese. Pirrone rappresenta benissimo il popolo italiano di questo millennio. Un popolo invecchiato e non cattivo, ma mediocre, per cultura generale e per capacità di autocoscienza. Un popolo che ha rinunciato a grandi orizzonti, che non sa immaginarsi un futuro ma che – dopo il berlusconismo – non ha nemmeno un legame forte con la sua straordinaria tradizione: e non parlo di Leonardo da Vinci, ma anche solo del Novecento. Un popolo ripiegato su una quotidianità fatta di piccoli problemi economici, in cui la famiglia è insieme rifugio e prigione; ma sempre più isolata rispetto alle grandi reti sociali di una volta. Un popolo che si esprime su internet vagheggiando suggestioni esotiche e versi di canzonette. Un popolo che, inconsapevolmente, sente un irresistibile richiamo all’autodistruzione, come confermano da anni tutte le statistiche demografiche; ma che poi, al momento di guardare in faccia la realtà – e cioè l’estinzione degli italiani come li abbiamo conosciuti - se la fa sotto e preferisce prendersela col primo che trova per strada. Che, anche solo per questioni statistiche, oggi come oggi è facile che sia un immigrato. Dopo, si chiede perdono: e anche questo fa parte dell copione. Tanto, prima o poi, riprende il campionato di calcio.
Intanto, abbiamo il primo senatore di colore della nostra storia: è stato eletto nelle liste della Lega. E anche questo ci dice quanto la politica italiana, più che letta con la logica dei commentatori di professione, dovrebbe essere interpretata da uno psicanalista. O da un criminologo.

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