Madri, Padri e altri
"L'uomo è mente e cultura, l'uomo pensa" scrive Siri Hustvedt in Madri, Padri e altri – Appunti sulla mia famiglia reale e letteraria (traduzione di Gioia Guerzoni, Einaudi 2023). Lo dice con ironia, naturalmente, perché continua con: "La donna è corpo e natura, non sa pensare ma può fare figli". E inoltre, citando lo storico, filosofo e antropologo francese Jean-Pierre Vernant (1914-2007) che si rifà a Eschilo: "Non è la madre a dare alla luce quello che chiamiamo suo figlio: ella si limita ad allattare il germe seminato in lei. Chi dà la vita è l'uomo che la ingravida". Ogni lettore, inteso come maschio, dovrebbe soffermarsi su questo libro, provocatorio ma in modo pacato, allarmato dalla misoginia che straborda "ovunque": la prima a farne le spese è proprio lei, la scrittrice americana di origine norvegese, che il caso ha voluto si sposasse con Paul Auster, scrittore, poeta, saggista e regista più famoso di lei. Racconta Siri che "prima che mio marito apra bocca so già cosa dirà, e prima che io parli, lui sa cosa dirò io": nonostante questa fusione perfetta, questo gioco di specchi che rifrange la profonda sintonia tra i due, lei deve continuamente sentirsi apostrofare con frasi che suonano offensive al suo essere donna. "Credo che l'abbia scritto suo marito", le disse un giornalista quando presentò in Germania, nel 1993, il suo primo romanzo La benda sugli occhi: era convinto che Auster gestisse una specie di "fucina letteraria" a Brooklyn, dove vivevano.
Un'altra affermò: "Tutti sanno che le sue conoscenze in fatto di psicoanalisi arrivano da Paul Auster". E, in Cile, nel 2017: "Le sue informazioni sulle neuroscienze le derivano da suo marito, vero?". È costretta a raccontare di una lettera che scrisse a Djuna Barnes, eletta a sua mentore dopo aver divorato La foresta della notte, e dire che lei, il suo mito, le rispose; a rivelare che suo marito, presentato in un convegno come "un grande esperto di Jacques Lacan", aveva letto un unico saggio dello psicanalista francese forse nel 1966 e che lei, invece, aveva letto praticamente tutto di Lacan e quello che Paul raccontava "lo aveva preso in prestito da me". Deve per forza ripetere quel che Auster dice sempre: "Siri è l'intellettuale della famiglia, non io, e tutto quello che so di Lacan e Bachtin, per dire, l'ho imparato direttamente da lei".
Non è vero che suo marito "è il suo mentore" si umilia a ripetere, è la Barnes la sua "mentore letteraria, il tipo di mentore che non esce mai dalle pagine di un libro", sfinita dal rispondere a tutti quelli che la insolentiscono: "Non puoi averlo scritto tu. Non puoi averlo detto tu". Deve essere stato l'eroe-mentore-uomo. " È comico e tragico al tempo stesso. Concedere autorità alla moglie mina in un certo senso quella del marito, anche se il marito in carne e ossa non la pensa affatto così e lo ripete nero su bianco". Con queste premesse, il lettore maschio si sente un po' un intruso, procedendo nella lettura, tra la placenta che subito fanno scomparire, dopo aver dato alla luce sua figlia, come se fosse un organo sconveniente, da rimuovere; il corpo della madre nella dualità di contenimento di una entità doppia; quello della donna "cruciale per lo sviluppo fetale", fino alla narrazione del parto maschile visto come il sogno della mitologia greca di sottrarre la gestazione alla femmina, nel prevalere di un progetto centrale dedicato al significato di essere madre e, per estensione, a quello di essere donna.
Nel racconto forse più bello di questa miscellanea autobiografico-saggistica "Una passeggiata con mia madre" Siri Hustvedt la ritrae con amore filiale: nata in Norvegia nel 1923, Ester Vegan Hustvedt, sposata a un americano, vissuta nel Minnesota e morta nel 2019 ("Non ho mai provato un dolore così puro come quello che ho provato per la morte di mia madre"). "La maternità è stata ed è soffocata da così tante sciocchezze sentimentali e regole punitive su come agire e sentire che anche oggi rimane una specie di camicia di forza culturale", scrive a un certo punto Hustvedt per dire quanto gli stereotipi sulle madri abbiano contato nel mantenere le donne "sotto il controllo istituzionale maschile". Ma oggi Siri può capire il senso profondo di quella frase che la madre le diceva, ricordando quando si inginocchiava davanti a lei, per abbottonarle il cardigan e legarle una sciarpa intorno al collo, tirandola leggermente per sistemarla: "Voglio che i miei tesori stiano al caldo"; oggi che le madri vivono su Instagram, tornano subito al peso forma dopo il parto e "si aggirano in cucine impeccabili, coccolando la prole inconsapevolmente inserita in una competizione visiva globale che scatena invidie profonde".
Scritti tra il 2011 e il 2020 i saggi narrativi e autobiografici contenuti in Madri, Padri e Altri affrontano molti e diversi argomenti, tra scienza, Covid, sfide della traduzione, interpretazioni di capolavori come Persuasione di Jane Austen e Cime tempestose di Emily Bronte, un inaspettato ritratto della scultrice Louise Bourgeois, fino all'indagine sul fenomeno sociale del "capro espiatorio". Non si può non notare la preoccupazione di Siri Hustvedt di far sapere che ha letto molti libri giusti, con una predilezione per la cultura europea, da Virginia Woolf a Kafka, a Bruno Bettelheim, da Umberto Eco a René Girard ("Non mi pento di aver letto Omero, Dante, Milton, Shakespeare e Cervantes; Holberg, Hamsun, Ibsen, Undset, Vesaas, Strindberg..."). Nella competizione con Paul Auster sembra che lei debba dimostrare che il genio del marito può essere tenuto a bada solo dalla sua puntigliosa erudizione.
Nel "Futuro della letteratura" sostiene che il romanzo moderno è associato alle donne e le donne sono associate al corpo, alle emozioni e alla natura, a ciò che è stato tradizionalmente considerato "basso, disordinato, sporco, in opposizione alle cose alte, alla mente, all'intelletto e alla cultura, da sempre associate agli uomini". Sarà per questo che leggere la narrativa da parte delle donne significa arrendersi all'autorità di una donna mentre "se i veri uomini leggono narrativa, leggono narrativa scritta dagli uomini per darle il rassicurante sigillo della mascolinità, per rendere più salda una forma debole, femminile, emotiva, fin troppo sensibile". Insomma, lo studio e la lettura della letteratura di finzione si è femminilizzato e, mentre si femminilizza, si svaluta. È capitato – dice Hustvedt ormai scatenata – anche alla medicina, alla psicologia, alla giurisprudenza: "Non appena le donne entrano in massa in un particolare settore, lo status di tale settore precipita".
A un convegno in Australia, lei e suo marito vengono intervistati insieme da un giornalista letterario e: "quando ci ha presentati, si è rivolto a me e ha detto: 'Credo che potremmo definire la sua opera come domestica'. Poi, a mio marito: 'E possiamo definire il suo lavoro come intellettuale'. Dopo un attimo di stupore gli ho spiegato che non ero d'accordo". A volte le raccolte di saggi come questi – usciti in momenti diversi, su testate diverse – sembrano slegate, incoerenti. Ma i frammenti che compongono questo singolare volume di Siri Hustvedt hanno il collante della caparbietà dell'autrice nel cercare e nell'illuminare ciò che manca nell'universo femminile. Gli uomini hanno avuto tutto, sempre, dice in sostanza: ecco perché i maschi dovrebbero leggere questo libro, per entrare, senza essere visti, in quella stanza tutta per sé che le donne reclamano con Virginia Woolf dal 1929, per cercare di capire come mai non l'hanno ancora conquistata.