Speciale
I felini di Wanda Gág / Milioni di gatti
Abbiamo affidato ai nostri autori la lettura di un classico che non conoscevano, da leggere come se fosse fresco di stampa.
Tre anni fa, a New York per una mostra di illustrazione alla Society of Illustrators di New York, ho approfittato delle fornitissime librerie della città, alcune delle quali specializzate in libri per ragazzi, per acquisti di picture book. In particolare titoli che da noi non sono pubblicati, ma che lì, oltreoceano, sono classici amati e celebri, che hanno formato generazioni di lettori. Così ho riempito una valigia e l'ho trascinata a Milano, fino a casa. Tuttavia i libri non li ho letti subito; alcuni sono rimasti in attesa. Come ogni cosa, anche i libri hanno necessità di un periodo di decantazione, acclimatazione, forse persino quarantena. Passare da una cultura all'altra, a meno che non si creda ciecamente nella globalizzazione, non è una questione così scontata, me ne sono accorta in dodici anni da editore alle prese con la vendita e l'acquisto dei diritti di edizione: al di là delle grandi, monumentali differenze culturali, vi sono una quantità di questioni più piccole, di sfumature, fattori che sembrano irrisori e invece hanno peso e si mostrano decisivi negli scambi. Ogni traslazione è una faccenda complessa che richiede tempo e pazienza. Non è diverso, in fondo, portarsi un libro a casa che poi significa introdurlo nella sfera della nostra attenzione. Molti di quei libri illustrati newyorkesi sono rimasti fino a oggi dove li ho sistemati, ovvero su un basso tavolino di vetro. Alcuni li ho letti, altri no, altri ancora solo sfogliati. Quando si è trattato di scegliere un classico per Doppiozero, ho compreso che per uno di loro, praticamente intonso, era venuto il momento di essere tirato fuori dalla pila.
Intuizione corretta e per due ragioni. La prima, una coincidenza: ho scoperto per caso che il libro da qualche giorno è uscito anche in edizione italiana; la seconda, documentandomi in merito, ho letto che si tratta del picture book più longevo del mercato americano, quello cioè che dalla data di pubblicazione, 1928, a oggi, non ha mai smesso di essere sugli scaffali delle librerie. Insomma, un classico vero.
L'edizione italiana, di Eliot, ha apportato diverse modifiche rispetto all'originale, per esempio nel font, nel formato, nell'impaginazione e nel colore di copertina.
Millions of cats, scritto e illustrato da Wanda Gàg, uscì negli Stati Uniti nel settembre del 1928 per i tipi di Coward-McCann, casa editrice giovane che, allora, sull'onda del grande fermento del mercato librario americano, era in cerca di nuovi talenti e idee. Ernestine Evans, direttrice del comparto ragazzi e insoddisfatta dallo stile della produzione corrente per bambini, scoprì il lavoro della Gàg a una esposizione alla newyorkese Weyhe Gallery, nel marzo del 1928. Le chiese se fosse disponibile a illustrare testi, ma Wanda rifiutò. O meglio, spiegò di avere una serie di storie sue proprie praticamente già pronte. Fra queste c'era quella destinata a diventare un incredibile successo: Millions of cats. Fino ad allora, gli editori a cui Wanda aveva proposto il proprio lavoro avevano risposto picche. Ma Wanda era tenace, oltre al fatto che fin da bambina aveva pensato che le sarebbe piaciuto illustrare storie e a dieci anni aveva avuto la soddisfazione di veder pubblicata una di queste sul supplemento ragazzi del quotidiano locale della cittadina in cui viveva, New Ulm, Minnesota. Cresciuta in un famiglia poco convenzionale, da genitori immigrati dalla Boemia - padre artista, fotografo, musicista; madre libertaria, decisa a educare i sette figli in modo personale, lontano dal bigottismo provinciale -, Wanda rimase orfana molto giovane e dovette occuparsi, parallelamente al procedere negli studi artistici, dell'accudimento delle cinque sorelle e del fratello. Approdata a New York nel 1917, grazie a una borsa di studio, in seguito cominciò lavorare come illustratrice per commesse commerciali, finché qualche anno più tardi, stufa di queste collaborazioni, stabilì di dedicarsi esclusivamente alla propria produzione artistica.
Millions of cats fu il suo primo picture book. Era così innovativo nell'impianto, nella grafica, nella struttura che, oltre a riscuotere immediato consenso, fu subito imitatissimo. Nathalie op de Beeck, nel capitolo Wanda’s Wonderland: Wanda Gág and Her Millions of Cats, in The Oxford Handbook Children's Literature, spiega che sebbene alcune novità introdotte da Gàg nel libro fossero già state utilizzate altrove (per esempio il modo di usare i testi in alcune strisce a fumetti sui quotidiani, o alcuni libri illustrati del medesimo formato orizzontale, o il caratteristico segno espressionista importato dall'Europa), fu in questo libro che, complessivamente, produssero un effetto esplosivo, e per la buona ragione che, a tenere tutto insieme, qui per la prima volta un autore aveva stabilito che testo e immagini avrebbero dovuto avere lo stesso peso, facendo procedere la narrazione secondo il principio sintetizzato anni dopo da Maurice Sendak: «Quello che le parole tacciono, lo dice l'immagine. Quello che tacciono le immagini, lo dice la parola».
Sfogliando e leggendo per la prima volta questo picture book, ancora senza il supporto delle informazioni che ho poi raccolto su di lui e sulla sua brillante autrice, ho pensato fosse abbastanza stupefacente che a tutt'oggi un libro con caratteristiche simili possa essere amato dalle giovani generazioni. Certamente in parte questo è ascrivibile al tradizionalismo della cultura americana che venera, rispetta e preserva i propri capisaldi, e a questo proposito va detto che Millions of cats nel 1929 vinse il Newbery Honor Book, premio che sancisce l'ingresso nell'Olimpo dei libri per ragazzi. Ciò nonostante rimane che questo libro ha immagini in bianco e nero, una grafica di eleganza impeccabile che nulla concede agli effetti speciali, appartiene vistosamente alla cultura e al gusto di un'altra epoca, racconta una storia sofisticata e surreale, priva di riferimenti e ammiccamenti alla realtà di un bambino di oggi: tutti aspetti interessanti, ma ostici, si direbbe, alla fortuna commerciale.
Certo, a ben vedere un punto di forza c'è ed è quel dirompente esercito di gatti che attende il lettore al cuore della storia, e di cui il titolo non solo non fa mistero, ma annuncia gloriosamente, ponendolo al centro delle aspettative del lettore.
Se a tutt'oggi su Facebook, a detta di tutti sondaggi volti a misurare in ogni angolo del pianeta la popolarità dei post, sono foto e video di gatti (anzi un milione di gatti o, meglio, qualche trilione di gatti), a detenere il primato dei più cliccati, forse non è sbagliato pensare che una parte del successo di questo libro strano e filosofico potrebbe essere ascritta alla potenza felina che abita nelle sue pagine.
Nel suo saggio Nathalie op de Beeck, spiegando le ragioni del successo del 1928, analizza la rete di riferimenti che si leggono fra le righe di questa storia, nonché la complessa personalità della sua autrice. Per esempio, il legame fortissimo di Gàg con le fiabe tradizionali e le narrazioni orali del patrimonio popolare europeo; o il suo amore per uno stile di vita essenziale e semplice a contatto con la natura alla base della sua scelta di lasciare la città per la campagna; la grande libertà che connotò le sue scelte private, sentimentali, sessuali, come la decisione di non avere figli per potersi dedicare al proprio lavoro, o il rifiuto del matrimonio e del crisma della fedeltà (in un passo del diario, Growing Pains: Diaries and Drawings for the Years 1908-1917, Gàg si chiese cosa avrebbero pensato i tanti ammiratori del suo lavoro per i bambini se avessero conosciuto alcuni dettagli della sua vita privata); una poco convenzionale affinità con i nuovi linguaggi della grafica, del design, dell'animazione, della pubblicità padroneggiati con grande sapienza in opposizione dichiarata all'approccio accademico tradizionale; il rifiuto dei nuovi stili di vita urbani americani contrassegnati da quelli che Gàg definisce come consumismo, individualismo, superficialità, violenza; il disprezzo per i linguaggi mediatici e i prodotti commerciali di qualità scadente, e fra questi in particolare quelli dedicati all'infanzia; la preoccupazione per le vicende storiche del periodo, fra guerre e nazionalismi, e per il decadimento dei valori etici e umanitari che accompagnava la nascita del mondo contemporaneo.
Millions of cats, storia di due anziani che decidono, come rimedio alla solitudine, di procurarsi un piccolo, tenero felino a cui dedicare cure e affetto, mettendo in moto, con la loro ingenuità e inconsapevolezza, una catastrofica e incontrollabile serie di eventi, appare dunque come il prodotto complesso di un periodo e di una autrice agitati da spinte molteplici e contraddittorie. La linearità e la freschezza della narrazione sono il risultato di una solida conoscenza dei meccanismi narrativi qui finalizzati a rivoluzionare il rapporto fra testo e immagine. Wanda Gàg fu una pioniera dei moderni libri con le figure e certamente è con lei che nascono i picture book contemporanei. Giocata sulla doppia pagina e sul ritmo del suo sviluppo che alterna grandi aperture ad azioni spezzate, entrambe tenute insieme dalla tessitura grafica del testo (scritto a mano dal fratello della Gàg e coerente con il segno delle illustrazioni), la storia procede acquisendo via via spessore e suspence. La bellezza del testo, ironico, semplice, fortemente ritmato e deliziosamente rimato, composto a imitazione di un avvincente racconto popolare orale, accompagna le immagini che emergono nitide, nere su sfondo bianco, ma anche pervase dalla forza incisiva e dalla inquieta vibrazione presenti nel segno xilografico della Gàg (che in certi momenti sembra precorrere gli allucinati omoni di Crumb). Il corteo di nuvole che accompagna il vecchio nella sua ricerca del gatto, che dal bianco volgono al grigio e infine a un nero pieno; lo svolgersi del cammino, fra salite e discese, in un paesaggio che si srotola come fosse vivo; la piccola caverna, all'apparenza graziosa, ma nella sostanza minacciosa, da cui sembra aver origine l'inarrestabile e innaturale moltiplicazione dei gatti avvertono il lettore che la storia che si sta raccontando deve mettere in guardia. Le molte incongruenze e contraddizioni che accompagnano il desiderio di bene, affetto e compagnia dei due vecchi, provocando un'ecatombe, seppur a lieto fine, stimolano nel lettore un'indagine ulteriore di significati, proprio come accade nelle fiabe classiche che con il loro andamento sospeso fra rassicurazione e sorpresa, introducono piccoli e grandi a temi cruciali dell'umano.
Wanda Gàg fu, infatti, una sostenitrice accanita di queste ultime che riteneva un perfetto antidoto alla pochezza e alla banalità dei passatempi infantili della propria epoca. Su The Horn Book, storica rivista americana dedicata alla letteratura per ragazzi, nell'articolo I like the fairy tales, stroncò il lungometraggio disneyano Biancaneve e i sette nani (Snow White and the Seven Dwarfs), diretto da David Hand, del 1937, denunciando l'interpretazione data da Disney alla fiaba dei Fratelli Grimm, a suo avviso sterilizzata, banalizzata, appiattita fino a ridurla a innocuo divertimento. In polemica con Disney, fra l'altro, Wanda Gàg, qualche anno più tardi, illustrò la medesima fiaba, oltre che un'edizione dedicata a una selezione dei Grimm.
Il fatto che il tempo abbia fatto giungere intatti fino a noi sia i minacciosi gattini della Gàg sia i rassicuranti uccellini della Biancaneve disneyana, potrebbe essere segno che la dialettica in atto fin dagli inizi del Novecento fra intrattenimento di massa e produzione artistico-letteraria alta, esattamente come all'inizio del secolo breve agisce oggi come allora nell'orientare le scelte di editori e lettori, tuttavia in grado di cogliere di entrambi il significato, senza precludersi lapossibilità di decidere per l'una o l'altro.
Una delle ragioni del successo imperituro del Millions of cats di Wanda Gàg, del resto, va identificata nell'aspetto amichevole e vecchio stile del libro, probabilmente il capostipite di tanti prodotti il cui amabile aspetto vintage è progettato al millimetro: un oggetto che evoca una qualità d'altri tempi, una fattura artigianale, una stampa manuale, e invece è un prodotto industriale. Nacque già nel 1928 con questo spirito, dalle mani di una donna libera e dotata di straordinarie intuizioni, ovvero più moderno e in linea con il futuro che mai.