Onde al Padiglione Italia

4 Giugno 2024

Il Padiglione Italia della Biennale d’Arte dei Venezia, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, quest’anno viene affidato, per la seconda volta, a un singolo artista, Massimo Bartolini, con la curatela di Luca Cerizza – la prima volta era stato nel 2022, con Gian Maria Tosatti e la curatela di Eugenio Viola.

Le due edizioni con un unico artista hanno sollevato delle critiche, mentre sono state apprezzate dalla stampa estera.

A Venezia per la presentazione di Sanlorenzo Arts, grande nuovo spazio espositivo che inaugurerà a breve accanto alla chiesa della Salute, in quelle poche centinaia di metri ad altissima concentrazione artistica che portano dalla Collezione Guggenheim a Punta della Dogana, ho avuto la fortuna, all’apertura, di venire guidato dall’artista toscano e dal curatore alla scoperta dei profondi significati del progetto.

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M.B. Qui siamo al centro un po' di tutto il progetto, intorno al lavoro che si chiama Conveyance, “convogliamento”. È una scultura circolare, minimalista, fatta da un anello su cui ci si può sedere con al centro una vasca con acqua e argilla in movimento a formare un’onda conica che si alterna da concava a convessa. Il movimento è lo stesso – in scala ridottissima e ripetuto in loop – di quello di uno Tsunami. Questo tipo di onda si chiama più precisamente “solitone”, ed in questo caso viene provocata in continuazione per il mantenimento della sua forma nel tempo. Questo centro geologico di acqua e argilla contenuto da una forma geometrica esatta è qualcosa che ci permette di guardare tutti insieme la stessa cosa nello stesso momento. È come guardare il fuoco in un caminetto, un’apparente ripetizione dello stesso fenomeno che agisce come macchina ipnotizzatrice.

In quest’area si può anche ascoltare ”integralmente” il pezzo dei due organi che si parlano da un estremo all’altro. Il centro, infatti raccoglie le due voci, cosa impossibile da fare quando ci si sposta all’interno del lavoro dove la vicinanza ad un estremo o all’altro di fatto parzializza l’ascolto.

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Due qui To Hear, Padiglione Italia, Biennale Arte 2024 © Andrea Avezzù, Courtesy: La Biennale di Venezia.

S.B. E qual è l’effetto che vuoi produrre con Conveyance?

M.B. È una architettura-macchina che alimenta una stasi, alimenta un effetto quasi ipnotizzante per favorire un distacco che alleggerisca la gravità…La musica sembra incorporarsi nella forma dell’acqua argillosa mentre l’acqua evapora trasportata dal suono nell’aria. In un certo modo qui si percepisce la similitudine tra Conveyance e Due Qui, proprio nel fatto che entrambe le opere hanno come particella fondante l’onda: quella sonora per l’organo Due qui, e quella fluida per Conveyance. 

S.B. Puoi raccontarci come quest’opera si colloca all’interno del tuo lavoro?

M. B. La caratteristica di questo progetto, e in generale di tutto il mio lavoro, è che non c'è rappresentazione: è un lavoro di pura presenza.  Si, c’è anche disegno, ma è difficile far essere presente un disegno. È un lavoro che necessita vera maestria. Mi riesce più facile rendere presente corpi. Tutte le cose che sono qui sono fatte di corpo. E succedono esattamente nel momento in cui tu le vedi. Non c’è differita né distanza ermeneutica tra te e questo lavoro: ci sei accanto, dentro.

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Due qui To Hear, Padiglione Italia, Biennale Arte 2024 © Agostino Osio AltoPiano.

S. B. E come si inserisce nello spazio in cui si trova?

M. B. Se usciamo nel giardino, vi accorgerete che la mostra è circolare: può essere vista sia partendo dal giardino, sia dall’ingresso principale dalle Tese. Qui in giardino vediamo e sentiamo il lavoro A veces no puedo moverme, “a volte non riesco a muovermi”. Il punto di partenza è la poesia di un poeta argentino, Roberto Juarroz, che ci narra delle radici condivise di un uomo con altri uomini, come se ci spingesse ad un’empatia totale con l’albero. È una breve poesia che mi ha molto appassionato e che ho dato a Gavin Bryars per essere musicata. Gavin è un grande musicista con il quale avevo già collaborato per la mostra Hagoromo al Centro Pecci di Prato un paio di anni fa, curata sempre da Luca Cerizza. Gavin ha realizzato questa composizione per tre voci, campane e vibrafono suonato con l’archetto. Queste tre sezioni musicali che compongono il pezzo sono state installate separatamente su tre alberi del giardino e vengono diffuse da tre gruppi di due Boomboox ciascuno. Questi sono appesi ai rami degli stessi alberi, un po’ come le scarpe che avvolte vedi appese alle linee elettriche in città.

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Due qui To Hear, Padiglione Italia, Biennale Arte 2024 © Agostino Osio AltoPiano.

S. B. La musica ha un ruolo centrale in questo progetto. Ce lo spieghi?

M. B. A me interessa come la musica possa costruire architetture. Nella Philosophie der Kunst, Schelling definiva l’architettura come Erstarrte Musik, “musica solidificata”. Io ho provato a rovesciare questa affermazione: fare un’architettura fluida senza pareti che rinchiudono ma con delle vibrazioni acustiche che distinguono una zona dal resto, conchiudendo un’area e ripulendo da altri suoni. Non so a te, ma stando qui, in questa zona, mi sembra di vedere di più e di sentire meglio. Guarda il verde delle foglie, la scala dello spazio, il grigio blu del cielo il canto degli uccelli, le voci al di la del muro, la campana di San Pietro di Castello, le magliette colorate delle persone...

L. C. Sì, questo componimento di Gavin ha un carattere quasi religioso (le tre coriste sono specializzate in musica antica) ma, al tempo stesso, una qualità ambientale. Ci aiuta a vedere meglio, o almeno in modo diverso, anche il paesaggio che abitiamo. 

Come diceva Massimo, il giardino è l’inizio o la fine di un percorso che abbiamo voluto circolare, delineando una struttura tripartita dove i due estremi sono più rarefatti, il suono più ambientale e statico, mentre al centro, nella tesa più grande, si è incoraggiati al movimento all’interno di un percorso quasi labirintico. È un percorso fisico che può essere letto anche come una metafora: la ricerca di un punto d’incontro con gli altri ma anche un confronto con sé stessi. Il percorso verso un punto di riposo, forse di pacificazione, tramite questa pulsazione continua di un elemento fluido, come di una scultura che non si fa mai, che è ritmo e forma allo stesso tempo.

S.B. Qual è il ruolo del giardino nel vostro progetto?

L.C. Fin dall’inizio ci è sembrato importante aprirsi al giardino, che normalmente non è usato dai progetti del Padiglione Italia. D’altronde, attraverso l’opera con Gavin e le performance nel giardino, era importante sottolineare il rapporto del lavoro di Massimo con elementi naturali e il paesaggio che risale praticamente ai suoi esordi. Se le opere e gli spazi posseggono differenze formali e spaziali, sono uniti dal suono, da musiche che sono nella stessa tonalità di la bemolle. 

D’altro canto mi piace pensare che ci sia una forte relazione, più profonda, più filosofica, tra la poesia che citava Massimo, e la prima Tesa. Ossia quel senso di immobilità, di apparente inazione che c’è nell’albero ma c’è anche nella figura del Bodhisattva sulla colonna. Entrambe figure che, dietro l’apparente immobilità, tentano e forse riescono a comunicare in modi più sensibili e più profondi con la realtà, con il tutto. Spiritualmente o fisicamente.

S.B. Mi sembra ci sia un’idea di accoglienza, forse di inclusione, del visitatore che entra in questi spazi.

M. B. La parola inclusione è un po' logorata dall’uso, oggi. Però ascoltare insieme fa la differenza. È una musica che non occupa posto ma “fa posto”. Non dice niente, non figura un sentire, non occupa posto. In generale tutto il mio lavoro “cerca di fare posto”. Vuole costruire uno spazio vuoto in attesa ed in questo vuoto c'è un’intensità che ordina. Quasi tutta la mostra è un po' così. C'è una stanza vuota, tu ci metti un’opera ed è più vuota di prima ma sorge una intensità, spero… 

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Due qui To Hear, Padiglione Italia, Biennale Arte 2024 © Andrea Avezzù, Courtesy: La Biennale di Venezia.

Ecco, questo atteggiamento guida sia me sia Luca Cerizza, che ha lavorato spesso con questa attitudine nei suoi progetti curatoriali. Così questo Padiglione – uno spazio per me veramente bellissimo – ci ha come istigato ad assumere anche il giardino, nella composizione generale degli spazi espositivi con le rispettive opere: un esterno rinchiuso da suono (A veces no puedo moverme), un interno che isola (Bodhisattva che pensa su La Bemolle) ed uno spazio di esterno-interno come un bosco di passaggio (Due qui).

L. C. Per la mia storia di curatore, e per quella di Massimo come artista, ci è sembrato naturale affrontare questi spazi per le loro possibilità intrinseche, senza provare a musealizzarli, ad “educarli” se vogliamo. Quindi non abbiamo aggiunto nessuna forma di display. Non abbiamo costruito nessun muro, anzi tagliato delle porzioni, dove possibile, per far meglio respirare l’architettura. Gli interventi sono installativi, in una lingua che è forse tra arte e architettura, dove il suono è corpo ma “scolpisce” e definisce lo spazio. 

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Due qui To Hear, Padiglione Italia, Biennale Arte 2024 © Agostino Osio AltoPiano.

S.B. Oltre a Gavin Bryars, ci sono altri musicisti che hanno lavorato alla musica della Tesa centrale.

M. B. Si, Caterina Barbieri e Kali Malone sono giovani protagoniste della scena elettronica e di ricerca internazionale. Caterina lavora con l’elettronica costruendo delle sequenze e delle sovrapposizioni di suoni emozionanti, Kali invece scolpisce letteralmente il suono degli organi, manipola l’aria in risonanze meravigliose. Insieme hanno composto un’antifona per i due organi che formano Due qui. I due organi si parlano e si rispondono “a distanza” alternando l’emissione delle voci da un punto all’altro del lavoro. Il pezzo si chiama Mute Vette ed è come una specie di saluto fatto da due persone che solo nel gesto del saluto possono unirsi. Ed è l’unione di cose apparentemente distanti che è al centro anche della mia pratica, come unire organi e ponteggi. Basta mettere vicino due cose per scoprire affinità. Il difficile forse è proprio metterle accanto…Il ponteggio è un'architettura prima di un’architettura, dà un'idea di impermanenza così come la musica è fisicamente impermanente, cosi come l’onda, ha bisogno dell’eccitazione di un fluido per formarsi…Insomma, è qualcosa che c'è ma che denuncia chiaramente che senza energia in azione deve sparire. La musica è uguale. C'è solo quando la si fa. In Due qui ci sono queste diverse impermanenze che vengono accostate e la vicinanza le rivela. L’organo ed il ponteggio condividono anche la funzione di coprire delle distanze: un ponteggio copre una distanza con la modularità costruttiva e la fisicità; così come la musica dell’organo lo fa’ con la matematica e l’attrito con l’aria. Entrambi servono a farci spostare da dove siamo. 

Tutta la mostra è percorsa da una figura del movimento: un’onda. Onda come la vibrazione del drone nella prima stanza che rimbalza sui muri, l’onda che pulsa in Conveyance al centro esatto della mostra come il battito di un cuore, un’onda vibrante percorre tutto il ponteggio anche dove le canne non suonano, per giungere al suono dilatato delle percussioni e delle voci che cambia la densità atmosferica del giardino… ed il pubblico, le persone, corpo risonante, risuona anch’esso, assorbendo ed emettendo suono dentro questa zona. Tutto risuona uno nell’altro.

S.B. E mi sembra che crei un’atmosfera quasi religiosa.

M. B. L'organo è in sé commovente. Ispira commozione. Innanzitutto perché è una vibrazione, e come vibrano le canne, anche noi vibriamo e vibrare vuol dire che qualcosa si muove…  che cosa, non so, però vedo tante persone commuoversi. Ma c'è anche un altro aspetto, scientifico e poetico. L’aria che alimenta il suono che esce delle canne è aspirata dalla stanza grazie a dei ventilatori ed è quella che noi respiriamo, che abbiamo buttato fuori da noi. Quindi in questo suono c’è probabilmente qualcosa che era dentro di te e che esce fuori sotto forma di nota che tu a tua volta respiri, come respirare due volte la stessa aria solo che la seconda volta è un suono. Così il nostro respiro nutre l’organo e l’organo il nostro respiro e questa musica scende nei polmoni risuona e attiva qualcosa di sconosciuto che forse ti scuote fino a che non si versa acqua dagli occhi. Il suono e la commozione sono entrambi prodotti dal movimento e forse nel corpo al suo interno “mettere in movimento” diventa sempre commozione. Questo rintocco del suono al nostro corpo è molto evidente nella Tesa più piccola, dove il suono che esce da una canna d'organo è una nota bassissima (32 hertz), al limite della soglia dell’udibile che si sente soprattutto come pressione corporea.

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Due qui To Hear, Padiglione Italia, Biennale Arte 2024 © Agostino Osio AltoPiano.

S.B. Ci sono filosofi a cui ti ispiri?

M. B. Il Bodhisattva si siede in piena grazia su questo suono. Questa figura fa quello che spererei il lavoro istigasse a fare quando una persona si siede su Conveyance per dieci minuti: niente. Uno se ne sta lì e fa niente con grazia. Meister Eckhart diceva: "essere per grazia ciò che Dio è per natura". Essere per grazia: essere, cioè, una persona retta. Una persona giusta è dove giustizia è attenzione. Si parla tanto di sostenibilità, ma io penso che la sostenibilità vera sia “non fare con grazia”. No “non fare e basta”, che può essere anche sciatteria. Occorre non fare con grazia… Il Bodhisattva è come una specie di istruzione: ti siedi e imiti il Bodhisattva anche tu a modo tuo, aiutato da Conveyance, questo oggetto di autoipnosi e di allontanamento da sé. Io credo che la grazia sia una sorta di giustizia interiore. Perché essere giusti significa accorgersi delle cose. Essere massimamente attenti. Io credo che i santi siano così. L'attenzione suprema è solo dei santi, dicono Simone Weil e Cristina Campo…E la grazia è il frutto di un grande esercizio, ed una grande tenacia nel mantenere la postura necessaria che la faccia apparire.

S.B. E voi artisti ci stimolate a cambiare atteggiamento nei confronti degli altri.

M. B. Noi artisti abbiamo la fortuna di fare un lavoro in cui mettiamo quello che desideriamo, non solo quello che siamo. Magari questo desiderio riesce a trapassare in qualcun altro…

In copertina, Due qui To Hear, Padiglione Italia, Biennale Arte 2024 © Andrea Avezzù, Courtesy: La Biennale di Venezia.

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