Produrre e condividere
“Teste e colli. Cronache dell'istruzione ai tempi della Buona Scuola” è un progetto editoriale de il lavoro culturale che nasce dall'intreccio di riflessioni, spunti, interviste, connessioni nate fra autori che si occupano e lavorano nel mondo dell'istruzione pubblica in Italia e all'estero. Il titolo si richiama alla provocatoria immagine evocata dal filosofo Michel Serres per descrivere i ragazzi e le ragazze del XXI secolo: non più teste piene di nozioni o teste ben fatte, ma agili tronconi di teste aperte al vento di informazioni della Rete. I temi toccati sono i più svariati, come del resto impone un oggetto complesso quale è la scuola, dall'attuale progetto di riforma alla formazione degli insegnanti, dalla “migrazione digitale” nella didattica al tema abusato della valutazione, dalla retorica delle competenze e della prestazione scolastica alle politiche di inclusione a costo zero proprie delle visioni neo e ordoliberiste del welfare. Questa complessità è espressa anche da una forma inedita: non un saggio o una raccolta di saggi, ma interviste, glossari, saggi e narrazioni autobiografiche.
Anticipiamo un breve estratto dell'intervento Per un uso utile, consapevole e realistico delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) a scuola di Enrico Manera
Come è stato acutamente osservato il web «è un ipermedium, un medium verso il quale convergono tutti gli altri media» ed è un «medium interattivo»: [1] questo ha conseguenze rilevanti per il coinvolgimento nella progettazione e realizzazione di testi multimediali, perché permette di perseguire simultaneamente diversi obiettivi: gli studenti sono motivati perché svolgono materialmente la ricerca, imparano a ricercare e valutare fonti e a usare strumenti digitali, si confrontano con un gruppo di lavoro, con il coordinamento del docente e con la “pubblicazione” di un progetto che può essere visto in rete anche all'esterno del mondo scolastico.
A livello pratico questo significa usare in classe tablet e portatili in una connessione wi-fi ed entrare in un’ottica di condivisione che mette radicalmente in discussione la stessa organizzazione spaziale dell'aula, ad esempio con un diverso orientamento dei banchi e va da sé dell'organizzazione del tempo. I cosiddetti webware, software che funzionano online (non prevedono di essere scaricati ma chiedono la connettività mediante password associate alla mail), si prestano ottimamente per un “laboratorio digitale di storia”. [2] Per le loro caratteristiche, possono facilitare il lavoro collaborativo tanto in presenza quanto a distanza; sono indipendenti dall'hardware (risiedono nel web) e sono accessibili da qualsiasi dispositivo (smartphone, pc, lim, tablet) e quindi sono flessibili (raggiungibili da scuola come da casa), e – fatti salvi i requisiti di sistema – possono essere utilizzati anche in assenza di laboratori scolastici aggiornati e perfettamente funzionanti. Numerosi per tipologia e particolarmente versatili [3], i webware hanno potenzialità enormi che permettono di costruire mappe mentali e concettuali, fare brainstorming, creare ambienti con materiali di varia tipologia (come lavori di gruppo o webquest strutturati), lavorare in classi virtuali, costruire linee del tempo, scrivere testi in modalità collaborativa, elaborare poster e infografiche, editare siti, blog, video, presentazioni, podcast, ebook...
I software on line fanno coincidere l'essere digitali e l'attenzione agli aspetti metodologici perché implicano condivisione e lavoro collaborativo. Ricerca e utilizzo di simili strumenti sono la pratica possibile una didattica digitalmente aumentata che trova il suo guadagno, rispetto alla didattica tradizionale, nella coincidenza tra uso di software, metodologie e processi cognitivi.
In questo modo, da un lato si presenta agli studenti un uso delle tecnologie non dissimile da quello di chi lavora nel mondo della comunicazione, dell'editoria e della ricerca; dall'altro si amplia la prospettiva adolescenziale sul mondo digitale generalmente schiacciata sul gioco, sullo svago, sullo “slacking” e sulla comunicazione gergale e orizzontale tra pari.
Non ultimo, un progetto orientato in tal senso può perseguire l'obiettivo di includere i tanti studenti (e docenti) che si sentono esclusi dai processi di costruzione comune delle conoscenze.
Non resta, prima di concludere, che avanzare qualche considerazione sulla possibilità di uso dei social media, la cui diffusione e importanza nella società attuale è direttamente proporzionale alla necessità di riflettere sul modo di adottarli per l'uso didattico. I media sociali (come Facebook, Twitter, ma anche Wikipedia o YouTube) sono caratterizzati dall'ampia utenza, dalla facile accessibilità, dalla velocità comunicativa e dalla possibilità di embedment, cioè incorporazione/adozione di un contenuto all'interno di un altro; inoltre sollecitano i contenuti generati dagli utenti (user generated contents, UGC), che è poi l'aspetto qualificante del web 2.0. Tutto ciò si collega direttamente alla possibilità di partecipazione e al fatto che in rete si possa realizzare una forma di intelligenza collettiva che induce a riformulare le classiche gerarchie del sapere, ad esempio con l'esautorazione delle tassonomia in favore della folksonomia.[4] Tali aspetti rischiano di costituire un fattore critico per il mondo scuola, laddove l'asimmetria tra la relazione docente/discente è un dato costitutivo dell'insegnamento e la validazione dei saperi che si intende insegnare/ricercare/produrre deriva proprio dalla dimensione di autorità che il docente continua a incarnare, non fosse che da un punto di vista del controllo delle procedure metodologiche. In questo senso molte esperienze di scuola digitale privilegiano ambienti chiusi di condivisione come classi virtuali, spesso nella versione flipped classroom [5] per segnare una discontinuità con le pratiche pedagogiche frontali tradizionali.
Da più parti è emersa l'esigenza di confrontarsi didatticamente con i social media, proprio perché usati quotidianamente dagli studenti, al posto di altri ambienti virtuali che vengono in breve tempo disertati o perché si aggiungono ai tanti più “seduttivi” o in quanto connotati come esclusivamente scolastici. L’idea che caratterizza questo approccio è quella di un rovesciamento di prospettiva nel senso di un coinvolgimento degli studenti “dal basso”, fin dall’inizio del processo didattico. [6] Nonostante i limiti del mezzo se pensato come l’unico strumento, persino Facebook può essere un buon vettore di comunicazione, condivisione, motivazione e di avvio di processi di conoscenza. [7]
Naturalmente, la pagina Facebook per la classe deve essere quella di un gruppo chiuso, in cui bisogna definire i vari amministratori e gli account, con l'accortezza che più sarà ampio il gruppo, ad esempio se rivolto ad altre classi, maggiori saranno i problemi della relazione/comprensione reciproca in remoto.
I problemi principali risultano il fatto di tenere traccia degli scambi significativi, che scendono “a cascata” e non ad albero come in forum più sensibili, e il fatto che la condivisione dei materiali sia dispersiva e riguardi di fatto solo link, testi, immagini, video: Facebook può svolgere una buona funzione di comunicazione, in quanto per la sua popolarità tra gli studenti garantisce la maggior raggiungibilità dei destinatari; ma un qualsiasi ambiente di condivisione come Google Drive o Dropbox funziona molto meglio se il punto è lavorare insieme su materiali continuamente aggiornati.
Da altri punti di vista, le possibilità creative ed espressive di Twitter sono notevoli, ma qui i problemi rispetto al suo uso scolastico sono relativi al fatto che saper comunicare efficacemente con pochissimi caratteri è dono raro che richiede specifiche competenze di scrittura che si acquisiscono sul lungo periodo, e inoltre pochissimi "chiudono" gli account, che rimangono pubblici e vivono anzi proprio della dimensione virale che il sistema “hashtag (#) + soggetto” garantisce.
In ogni caso, non si insisterà mai abbastanza sul fatto che un ambiente digitale è vivo nella misura in cui esso si configura come la continuazione di un incontro o un discorso “reale”: in questo senso, va alimentato e seguito con la stessa “manutenzione” che si dedica ai rapporti personali “corporei”, non accentuando l’effetto di isolamento e atomizzazione che è il lato critico dell’uso del mezzo da parte degli adolescenti.
Anche per questo ambito, le parole chiave degli obiettivi che ci si deve porre sono la bonifica cognitiva degli ambienti digitali mediante contenuti di qualità per la progettazione di una didattica digitalmente aumentata, contro ogni retorica della vaghezza accompagnata dalla cattiva educazione digitale, della sciatteria del design e della comunicazione. Sono alcune delle precondizioni per trovare a scuola percorsi intelligenti dentro la tecnologia, con il giusto rapporto di cartaceo e digitale che ognuno vorrà dare alle proprie pratiche didattiche e cognitive.
[1] Pasetti M., La storia nella rete. Conversazione con Serge Noiret, intervista del 17 maggio 2006.
[2] Si veda per questo in particolare la documentazione relativa alle due edizioni (2013-2014 e 2014-15) del Corso di (in)formazione e coprogettazione didattica 2014 – 2015 Le Tic nella didattica attiva e nella ricerca storica a cura del Gruppo di lavoro sulla didattica e sulle nuove tecnologie dell'Istoreto. Si veda inoltre il programma del recente Convegno nazionale Insmli Didattica della storia e laboratori digitali. La guerra dei trent’anni (1914-1945), Torino, Campus Luigi Einaudi, 26-27-28 febbraio 2015.
[3] Si veda la mappa di risorse per la didattica della storia elaborata da Patrizia Vayola
[4] Per un'ampia rassegna di riflessioni sulla sociologia dei nuovi media cfr. i lavori di Bertram Niessen.
[5] Insegnamento capovolto; sul tema: Come sarà la scuola dei veri nativi digitali.
[6] Si veda ad esempio il recente progetto della Fondazione per la scuola San Paolo di Torino, che utilizza in un progetto di condivisione digitale la piattaforma Edmodo, pensata come medium sociale per la scuola:
TESTE E COLLI
Cronache dell'istruzione ai tempi della Buona Scuola
Avviso ai naviganti (Marco Ambra)
I. Quarant’anni da smantellare?
Una brutale assenza di cura: contro la scuola del naufragio e della prestazione (Marco Ambra)
Bestiario di una vita meritocratica dietro la cattedra (Roberto Ciccarelli)
Come insegnare per insegnare cosa. Omaggio a Valter Binaghi (Girolamo De Michele)
II. Irresistibile digitale
Agende senza parole: la Cultura di Destra e il discorso sulla scuola pubblica (Salvatore Marco Ponzio)
Per un uso utile, consapevole e realistico delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) a scuola (Enrico Manera)
Resistere al colonialismo interstiziale. Intervista a Roberto Casati (a cura di Marco Ambra)
Un glossario ragionato per affrontare la migrazione digitale (Roberto Casati)
L’appetito vien leggendo. Una settimana della lettura a scuola (Alessandro Lattanzi)
III. Due interviste, per un’altra lingua della valutazione
Tra colonialismo digitale e “valutazionismo”. Conversazione con Tullio De Mauro (a cura di Marco Ambra)
IV. Nessuno rimanga indietro. Fra inclusione e austerità
L’inclusione a costo zero. I Bisogni Educativi Speciali come tassello nella “riorganizzazione” neoliberista della scuola pubblica (Sara Biscioni)