Salvatore Quasimodo / Il mio paese è l’Italia

4 Luglio 2011

 

Una delle nove poesie della raccolta La vita non è sogno, nella quale Quasimodo ribadiva la svolta ‘civile’ della propria scrittura (già testimonia nella precedente Giorno dopo giorno) Il mio paese è l’Italia venne composta, come le altre della silloge, negli anni dell’immediato dopoguerra. Sospeso tra ricordo e riscatto, tra lutto e tensione alla vita, il poeta è custode della memoria della tragedia bellica e dello sterminio e insieme fautore dell’utopia di una patria comune.

 

 

Più i giorni s’allontanano dispersi

e più ritornano nel cuore dei poeti.

Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno

con le colline di cadaveri che bruciano

in nuvole di nafta, là i reticolati

per la quarantena d’Israele,

il sangue tra i rifiuti, l’esantema torrido,

le catene di poveri già morti da gran tempo

e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,

là Buchenwald, la mite selva di faggi,

i suoi forni maledetti; là Stalingrado,

e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.

I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,

dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!

Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.

Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,

e io canto il suo popolo, e anche il pianto

coperto dal rumore del suo mare,

il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.

 

 

Edizione di riferimento: Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie [1971], Mondadori, Milano, 1996.

 

 

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