Salvatore Quasimodo / Il mio paese è l’Italia
Una delle nove poesie della raccolta La vita non è sogno, nella quale Quasimodo ribadiva la svolta ‘civile’ della propria scrittura (già testimonia nella precedente Giorno dopo giorno) Il mio paese è l’Italia venne composta, come le altre della silloge, negli anni dell’immediato dopoguerra. Sospeso tra ricordo e riscatto, tra lutto e tensione alla vita, il poeta è custode della memoria della tragedia bellica e dello sterminio e insieme fautore dell’utopia di una patria comune.
Più i giorni s’allontanano dispersi
e più ritornano nel cuore dei poeti.
Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno
con le colline di cadaveri che bruciano
in nuvole di nafta, là i reticolati
per la quarantena d’Israele,
il sangue tra i rifiuti, l’esantema torrido,
le catene di poveri già morti da gran tempo
e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,
là Buchenwald, la mite selva di faggi,
i suoi forni maledetti; là Stalingrado,
e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.
I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,
dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!
Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.
Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,
e io canto il suo popolo, e anche il pianto
coperto dal rumore del suo mare,
il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.
Edizione di riferimento: Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie [1971], Mondadori, Milano, 1996.